Si è soliti affermare che la sfida elettorale sia un gioco a somma zero: uno dei candidati vince mentre gli altri perdono. Ma in Kosovo, il buco nero d’Europa, anche i postulati della teoria dei giochi perdono valore e logica e il candidato uscito vincitore dalle urne può ottenere solamente la proverbiale vittoria di Pirro, mentre la regione sprofonda nel caos politico.
Preso atto dello stallo politico – decisionale dei lavori parlamentari, il 7 maggio scorso il Presidente del Kosovo Atifete Jahjaga ha ufficialmente sciolto il Parlamento di Pristina e indetto nuove elezioni in seguito al deciso “no” opposto dalla minoranza serba alla proposta fortemente voluta dal premier Thaci di trasformare le forze di sicurezza del Kosovo in un vero e proprio esercito effettivo e regolare. Opposizione dei rappresentanti serbi che ha impedito il raggiungimento del quorum necessario all’approvazione del disegno di legge in questione. (1) In materia, infatti, la Costituzione kosovara impone una doppia garanzia: una maggioranza dei 2/3 dei parlamentari e il voto favorevole dei 2/3 dei rappresentanti delle minoranze che siedono in Assemblea.
Nonostante la prospettiva di trasformare il “battaglione” di circa 5000 unità cui spettano compiti di polizia in vera forza militare nazionale sia una palese forzatura della Risoluzione 1244 dell’ONU (risoluzione che molti nella regione sembrano aver dimenticato), la proposta governativa di creare un esercito regolare può essere valutata come un ulteriore tentativo di Pristina di affermarsi come entità istituzionale autonoma e riconosciuta declinando la definizione weberiana di Stato quale comunità umana, che nell’ambito di un determinato territorio, riesce a conquistare e a detenere il monopolio della violenza legittima. Il monopolio della forza, quindi, come attributo essenziale dello Stato. L’esercito come simbolo di tale monopolio.
Il “no” serbo alla formazione di un esercito effettivo facente capo a Pristina ha – anche – radici di natura politico-elettorali: le elezioni legislative, infatti, si sarebbero dovute tenere nel mese di novembre e, in occasione di queste e in seguito alla pressante richiesta partita da Bruxelles, il Parlamento stava lavorando alla riforma elettorale che avrebbe portato all’abolizione del numero minimo di rappresentanti garantiti per le minoranze etniche della regione (garanzia preziosa per i serbi del Kosovo); questa riforma conteneva disposizioni che avrebbero assegnato il numero di seggi alle minoranze sulla base dei consensi ottenuti. Questo fattore ha spinto i deputati serbi a spingere per lo scioglimento del Parlamento e le elezioni anticipate al fine di mantenere il “privilegio” elettorale.
I risultati delle elezioni
Il voto dei Serbi
Le elezioni si sono tenute su tutto il territorio della regione in modo transparent and well-organised, and consolidated progress made in the 2013 municipal elections, according to the preliminary findings of the European Union Election Observation Mission. Election Day was calm and passed without major incident as voters cast their ballots throughout Kosovo, including in the north. (2)
Già di per sé questo rappresenta una notizia. L’altra è che le legislative dello scorso giugno sono state le prime elezioni in cui la comunità serba del Nord del Kosovo ha partecipato nonostante le schede riportassero i simboli identificativi delle non riconosciute istituzioni di Pristina.
Alla vigilia delle elezioni il premier serbo Aleksandar Vucic e il Ministro degli Esteri Dacic si erano prodigati per spingere i serbi del Kosovo ad una ampia partecipazione con il fine di permettere ai connazionali che abitano la regione di difendere i propri interessi: “la miglior scelta per i Serbi è di partecipare alle elezioni”. (3)
Come accaduto in occasione delle elezioni municipali dello scorso novembre, Belgrado ha dato vita ad una lista Srpska che, per la prima volta, presentava uniti sotto un unico simbolo le diverse anime politiche rappresentanti le istanze dei Serbi del Kosovo: quelle dei “patrioti” del Nord che gestivano le istituzioni parallele di Belgrado e quelle dei cosiddetti “traditori” del resto della regione che, in questi anni, hanno scelto la via della collaborazione con le istituzioni di Pristina. La necessità di un voto compatto e numeroso era dovuta all’importanza dell’obiettivo da raggiungere: 20 seggi in Parlamento per essere in grado di influenzare le politiche del Governo kosovaro. Nelle parole di Drecun, Presidente della Commissione Parlamentare su Kosovo e Metohija, c’era il bisogno di rafforzare la posizione e l’influenza nella provincia mentre il capolista della Srpska Stojanovic aveva invitato i serbi a non boicottare per l’ennesima volta l’appuntamento: “se boicottiamo, può facilmente accadere che i nostri 10 seggi siano presi dalle persone che vogliono formare l’esercito del Kosovo (KAF)”.
L’appello non ha, però, riscosso il successo sperato alla vigilia: 53.000 degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne, 15.000 di questi nella parte Nord della regione.
PDK: primo partito di minoranza
I risultati usciti dalle urne e ufficializzati dalla Commissione Elettorale Centrale del Kosovo hanno confermato il successo del Partito Democratico del Kosovo (PDK) del premier uscente Hashim Thaci che ha ottenuto il 30.38% dei consensi e che ha preceduto la Lega Democratica del Kosovo (LDK) di Isa Mustafa (25.24%) e il movimento nazionalista di Albin Kurti Vetevendosje! che ha conseguito il 13.59% dei voti. Il partito di Ramush Haradinaj, l’Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK) ha ottenuto il 9.54% mentre il neo soggetto politico di Fatmir Limaj, Iniziativa per il Kosovo (NISMA) fuoriuscito dal PDK di Thaci, al primo test elettorale ha superato la soglia di sbarramento fissata al 5% ed entra in Parlamento con il 5.15% dei suffragi. (4) Alla lista Srpska il 5.22%.
Così le forze politiche nella Kuvendi i Kosovës, l’Assemblea Parlamentare: su 120 seggi, 37 per il PDK di Thaci, 30 per LDK di Mustafa, 16 per il movimento nazionalista di Kurti, 11 quelli conquistati da Haradinaj, 6 a NISMA e 9 alla lista Srpska. I rimanenti sono riservati alle altre minoranze etniche della regione.
Pantano Kosovo: caos politico e costituzionale
Alla luce di quanto emerso dalle urne, non c’è stato alcun vincitore. I risultati elettorali ufficiali hanno fotografato una lotta politica mai verificatasi nella regione, lotta politica che ha alterato gli equilibri tra le varie forze politiche kosovare aprendo, così, una fase critica nella vita politico-istituzionale di Pristina. Un pantano in cui rischia di arenarsi la truppa guidata dall’incumbent Thaci, Primo Ministro in carica dal 2008, che ha riportato la proverbiale vittoria di Pirro: il 30.38% è bastato sì per poter affermare di aver vinto la battaglia elettorale, ma difficilmente gli consentirà – almeno in tempi brevi – di formare il nuovo esecutivo. Non sono bastati i proclami elettorali, la nuova missione, il miraggio di investimenti per 1.5 miliardi di euro e la promessa di 200.000 posti di lavoro per far dimenticare l’onta delle ripetute accuse di corruzione e di cattiva gestione della res publica rivolte al suo partito. Il PDK si ritrova, adesso, isolato e sotto attacco anche nell’Assemblea del Kosovo dopo che il fedele alleato AKR (Alleanza per il Nuovo Kosovo), il movimento guidato dal magnate ed ex Presidente del Kosovo Behgjet Pacolli (5), non ha superato la soglia di sbarramento del 5%.
Il PDK di Thaci si ritrova ad essere soltanto il primo dei partiti in minoranza che formeranno il prossimo Parlamento: difficile raggiungere la maggioranza parlamentare, 61 seggi, potendo contare sui propri eletti (37) e sul voto favorevole di alcuni rappresentanti delle minoranze etniche. Per consolidare il proprio potere Thaci necessiterebbe dell’appoggio di uno degli altri grandi partiti, l’AAK di Haradinaj e del LDK di Mustang, con questi spinti dalla comunità internazionale a cedere ad una alleanza con il rivale. Dapprima Thaci ha corteggiato il compagno di battaglia Ramush “Rambo” Haradinaj mentre, negli ultimi giorni, Dardan Mollicaj ha rivelato che il PDK ha offerto al proprio movimento Vetevendosje! (i cui 16 seggi sono necessari per sostenere qualsiasi alternativa di Governo) la carica di Primo Ministro oltre a sei ministeri. (6)
Sul piano puramente teorico il ragionamento non ha falle. Il discorso politico, però, segue rotte diverse da quelle battute dal ragionamento logico. AAK e LDK, infatti, hanno compiuto la prima mossa sparigliando le carte sul tavolo e scompaginando i piani dell’establishment del PDK e hanno stretto un patto con NISMA di Limaj (fuoriuscito proprio dal PDK) per opporsi ad un possibile governo Thaci Ter e al suo sistema di potere. La coalizione post-elettorale dovrebbe contare anche sull’appoggio esterno di Vetevendosje! che ha posto alcune condizioni al proprio voto di fiducia, come una maggiore lotta alla corruzione dilagante in Kosovo, la sospensione delle privatizzazioni in corso e lo stop al dialogo con Belgrado, da rinviare a tempi in cui il peso politico dello Stato sia maggiore. Il cartello delle opposizioni ha già espresso il suo candidato alla carica di Primo Ministro in Ramush Haradinaj, mentre Isa Mustafa andrebbe a occupare la poltrona di Presidente della Repubblica del Kosovo.
In questi lunghi anni di potere ininterrotto, supportato dalla compiacenza delle diplomazie internazionali più influenti come quella statunitense, agevolato da un inefficace sistema di bilanciamento dei poteri, da un Parlamento debole e asservito alle volontà del leader e da un controllo di istituzioni che la Costituzione vorrebbe indipendenti, il PDK ha potuto accaparrarsi le risorse del Kosovo tralasciando lo sviluppo della regione.
Nel sistema kosovaro di gestione della cosa pubblica chi perde il potere, perde tutto.
E Thaci non ha alcuna intenzione di passare la mano.
Lo stallo politico post-elettorale è arrivato davanti sino davanti ai giudici della Corte Costituzionale che, in questi giorni, sono stati chiamati ad esprimere un giudizio sulle disposizioni riguardanti i poteri del Presidente della Repubblica in materia di assegnazione dell’incarico di formare il nuovo governo. Al pantano politico si è aggiunto quello costituzionale.
Oggetto della disputa di diritto due commi dell’articolo 95 della Costituzione kosovara:
1. Pas zgjedhjeve, Presidenti i Republikës së Kosovës i propozon Kuvendit kandidatin për Kryeministër, në konsultim me partinë politike ose koalicionin që ka fituar shumicën e nevojshme në Kuvend për të formuar Qeverinë.
[1. Dopo l’elezione, il Presidente della Repubblica del Kosovo propone all’Assemblea un candidato a Primo Ministro, di concerto con il partito politico o coalizione che ha vinto la maggioranza nell’Assemblea necessaria per la formazione del governo.]
4. Nëse përbërja e propozuar e Qeverisë nuk merr shumicën e votave të nevojshme, Presidenti i Republikës së Kosovës, brenda dhjetë (10) ditësh emëron kandidatin tjetër sipas së njëjtës procedurë. Nëse as herën e dytë nuk zgjidhet Qeveria, atëherë Presidenti i Kosovës i shpall zgjedhjet, të cilat duhet të mbahen jo më vonë se dyzet (40) ditë nga dita e shpalljes së tyre.
[4. Se la composizione proposta del Governo non ottiene la maggioranza necessaria di voti, il Presidente della Repubblica del Kosovo nomina un altro candidato con la stessa procedura entro dieci (10) giorni. Se il governo non è eletto per la seconda volta, il Presidente della Repubblica del Kosovo annuncia elezioni, che saranno avviate entro e non di quaranta (40) giorni dalla data di annuncio.]
In base al comma 1, chi ha, dunque, il diritto di formare il Governo? Il partito che ha vinto e la coalizione formata prima delle elezioni oppure è possibile anche che sia una coalizione post-elettorale?
La corte Costituzionale ha espresso il proprio giudizio interpretando le disposizioni della Carta; il partito che ha ottenuto più voti in Parlamento deve avere il diritto di formare il Governo seguendo la via del combinato disposto con l’articolo 84.14 che indica al Presidente della Repubblica di dare l’incarico ad un candidato dietro proposta del partito o della coalizione che detiene la maggioranza dell’Assemblea (ovviamente una coalizione formata precedentemente il voto). Seguendo il parere della Corte, quindi, il Presidente del Kosovo ha incaricato lo stesso Thaci di formare il nuovo esecutivo che dovrà presentarsi in aula per la fiducia entro 15 giorni.
E se il primo tentativo di ottenere la fiducia parlamentare non avesse esito positivo?
Come disposto dal comma 4 dell’articolo in questione, sono soltanto due le possibilità per dare vita ad un nuovo esecutivo. In caso contrario si torna alle urne. Questo scenario, tutto da decifrare, appare il più probabile. Ancora da chiarire in tutta la sua portata la definizione dell’aggettivo altro candidato. Un secondo candidato dello stesso partito (coalizione) del PDK? Oppure un candidato facente parte di un’altra coalizione?
In caso di mancata fiducia al Governo proposto dal primo candidato indicato, logica vuole che il Presidente della Repubblica affidi il nuovo incarico ad una personalità in grado di attirare sul suo programma i favori della maggioranza dell’Assemblea. Allo stato attuale, solo un candidato espresso dalla coalizione anti-Thaci potrebbe riuscire nell’impresa di costituire un Governo se non propriamente stabile e con prospettive durature almeno alternativo al vigente sistema di potere.
Ma, come detto in precedenza, in Kosovo chi perde il potere, perde tutto. Per questo motivo non è fuori luogo ritenere che lo spettro di nuove elezioni si aggiri per i palazzi delle istituzioni di Pristina. Il PDK, in caso in cui non riesca a formare il nuovo esecutivo, farà in modo che nessuna soluzione alternativa possa prendere vita causando uno stallo politico che porterebbe ad elezioni anticipate. L’opposizione, sempre più unità, rivendica il proprio ruolo nelle parole di Isa Mustafa, leader di LDK: “La coalizione dell’opposizione kosovara ha il diritto di formare un gruppo parlamentare e di ottenere l’incarico di presidente dell’Assemblea nazionale. Abbiamo il diritto di creare un gruppo parlamentare congiunto e lo faremo”. (7)
Chi di spada ferisce, di spada perisce
La Storia spesso si va beffa delle vicende umane. Gli uomini politici non ne sono esenti.
Lo stesso Thaci che è diventato leader della regione autoproclamatasi Stato dopo aver combattuto strenuamente contro i Serbi: gli esponenti serbi che siederanno in Parlamento potrebbero mettere fine al suo potere. I deputati della lista Srpska possono giocare un ruolo centrale perché in grado di spostare gli equilibri e i rapporti di potere tra le varie forze entrate nell’Assemblea. Se la Srpska dovesse diventare elemento fondamentale nel nuovo Esecutivo, Belgrado sarebbe riuscita nell’intento di portare la leadership di Vucic all’interno delle istituzioni kosovare e fornire alla Serbia una testa di ponte all’interno del sistema di Governo del Kosovo in attesa della costituzione di quella Associazione delle Municipalità prevista dagli accordi di Bruxelles siglati nell’aprile del 2013.(8)
NOTE
1) Le difficoltà nei lavori parlamentari si erano palesate anche in occasione delle discussioni relative alla creazione del Tribunale Speciale per i crimini di guerra commessi durante gli anni della guerra e in occasione della privatizzazione delle Poste e Telecomunicazioni del Kosovo (PTK).
2) European union election observation mission Kosovo1 legislative elections 2014, Press release: eu observers find elections consolidate progress in democracy in kosovo, 9 giugno 2014.
3) A. Rettman, Ethnic serbs vote as normal in Kosovo election, Euobserver, 10.6.2014.
4) Qui i dati completi relativi alle elezioni anticipate: http://www.kqz-ks.org/en/home
5) L’AKR ha conquistato il 4.5% dei voti, non sufficienti per entrare in Parlamento. Il leader Pacolli ha richiesto alla Commissione Elettorale Centrale il riconteggio dei voti.
6) http://osservatorioitaliano.org/read/124954/interni-pdk-offre-a-vetevendosje-carica-di-primo-ministro-e-sei-ministeri
7) http://www.agenzianova.com/a/53bab50304c483.55117103/830413/2014-07-07/kosovo-mustafa-ldk-opposizione-ha-diritto-a-creare-gruppo-parlamentare
8) A Belgrado si aspettavano risultati maggiori nel Nord del Paese. Nel caso in cui l’affluenza fosse stata maggiore, Vucic avrebbe dato un segnale di forza, dimostrando di essere in grado di controllare i Serbi che abitano il Nord della regione.
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