L’Irannon è un paese per vecchi” o non deve diventarlo nel prossimo futuro. Sembra essere questa la massima di fondo che ha ispirato il discorso del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in occasione di una cerimonia d’inaugurazione di un piano per l’assistenza all’infanzia, organizzato il 27 luglio a Teheran. Dopo le critiche rivolte alla campagna per il controllo delle nascite, in atto in Iran da circa un ventennio, il leader iraniano ha annunciato la sua personale proposta al riguardo: incrementare il numero della popolazione. Come? Attraverso degli incentivi governativi destinati ai nuclei familiari in procinto di mettere al mondo dei figli o con un ridotto numero di figli a carico, ma propensi ad allargare la famiglia.

Nello specifico, il governo fornirà aiuti finanziari in termini di “compenso” a tutti coloro che metteranno al mondo dei figli durante l’anno in corso (cominciato secondo il calendario iraniano il 21 marzo). Ad ogni famiglia saranno versati 950 dollari in un conto governativo. A questo “sussidio” si aggiungeranno 95 dollari addebitati annualmente sempre dallo stato, fino a quando il bambino non avrà raggiunto i 18 anni di età. Una volta compiuti i 20 anni, il denaro potrà essere impiegato per finanziare gli studi o per sposarsi e mettere su famiglia, oppure per qualsiasi bisogno legato alla salute o per comprare una casa. Una certezza economica capace di coprire delle spese (ad esempio, quelle legate alla formazione scolastica e universitaria per i propri figli), che le famiglie iraniane allo stato attuale non sarebbero in grado di fronteggiare, a causa della crisi economica abbattutasi, seppur con riflessi minori, anche sulla Repubblica Islamica nell’ultimo anno.

La proposta avanzata dal Presidente, almeno nel suo impianto teorico non sembra fare una piega, giacché si rivolge in sostanza agli strati più poveri della società, gli stessi che lo hanno sostenuto alle elezioni del 2005 e del 2009. In poche parole, anche le famiglie meno abbienti, grazie agli aiuti di stato, potranno garantire un futuro alla propria prole. Ma la politica demografica propugnata dal presidente Ahmadinejad non si ferma qui. Fornire aiuti economici alle giovani coppie vuol dire, prima di tutto, incentivare le donne a mettere al mondo più figli senza incorrere nel rischio di possibili aborti dovuti a gravidanze indesiderate. Al di là di tutele e garanzie a vantaggio della salute pubblica, dietro la proposta si cela il progetto di dare avvio ad un processo di incremento demografico che, secondo le aspirazioni del suo stesso fautore, dovrebbe raggiungere punte elevate nei prossimi anni. Dai 75 milioni di abitanti attuali, l’Iran dovrebbe accogliere entro i suoi confini quasi il doppio della popolazione odierna: 150 milioni, secondo stime approssimative. Un vantaggio, oppure no?

È ormai noto che l’Iran sia un Paese dalla doppia anima: da un lato, la modernità che timidamente ricerca i suoi spazi vitali, popolata dai volti di 36 milioni di giovani – la cosiddetta “terza generazione” alla quale appartiene circa la metà della popolazione –dall’altro, la tradizione e le difficoltà legate ad un’economia instabile perché dipendente dalle risorse naturali di cui il sottosuolo dispone. Un deficit colmato in gran parte dalle relazioni commerciali con partner stranieri: Asia, Medio Oriente ed Europa che fungono da principali acquirenti di materie prime come gas e petrolio. Nulla toglie al fatto che, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, l’Iran è un Paese non solo moderno (per alcuni aspetti) ma anche ricco (per altri). La sua modernità viene difatti soppesata sulla base di una serie di fattori. Uno dei principali indicatori “di sviluppo culturale e passi da gigante nel processo di civilizzazione” è senza dubbio il livello di istruzione raggiunto dalla popolazione, e l’Iran in questa direzione registra un’elevatissima percentuale, pari all’88%, il più alto tra i Paesi musulmani.

Il secondo fattore di modernità è la folta presenza di giovani e giovanissimi con un’elevata formazione scolastica e universitaria. Sono in prevalenza laureati o dottori con master e specializzazioni post laurea. Titoli acquisiti in patria oppure all’estero, presso le università americane o inglesi. E circa il 60% dei laureati sono donne. Ingegneri, informatici, avvocati che vanno ad ingrossare le fila della nuova borghesia iraniana. Una forza – lavoro, la loro, fatta non solo di braccia e mani, ma soprattutto di idee e progetti da applicare ai vari settori della vita pubblica, preziosi per imprimere un impulso ad un’economia nazionale spesso lenta e soffocata, anche per i continui e ripetuti limiti imposti dai pacchetti di sanzioni varati dalla comunità internazionale.

Il terzo fattore è rappresentato dallo stato dell’economia nazionale che influisce, non senza conseguenze, sulla fisionomia del tessuto sociale iraniano. A tal proposito, proprio il 2009 è stato per l’Iran un “annus horribilis”, a causa del crescente livello di disoccupazione che nel trimestre dicembre – marzo ha sfiorato picchi elevati. Secondo i dati forniti dal Centro di Statistica Iraniano, il tasso di disoccupazione ha raggiunto l’11,3% registrando così uno scarto pari all’1,8% rispetto all’anno precedente. Il 2009 ha registrato un calo del prezzo del petrolio e la conseguente diminuzione della produzione di “oro nero” (in seguito ai tagli imposti dall’OPEC). Ciò ha influito profondamente sulla crescita reale del PIL e ha limitato l’azione del governo pronto a varare una politica fiscale di espansione, a sostegno dei consumi privati e a vantaggio di una crescita nella sfera degli investimenti. A questo si è aggiunto il crescente livello di disoccupazione, il più alto registrato negli ultimi cinque anni (2005-2010).

Nonostante le forti limitazioni imposte all’economia nazionale e provenienti tanto dall’interno quanto dall’esterno (import ed export), l’Iran ha dimostrato per molti versi di essere un Paese dinamico, determinato a mantenere inalterata la sua posizione privilegiata di “produttore di oro nero”. Infatti, circa il 10% delle riserve mondiali di petrolio sono prodotte dal sottosuolo iraniano. I guadagni legati alla produzione del petrolio forniscono ancora l’80% dei guadagni connessi all’esportazione e il 40/70% delle entrate governative. Nell’anno relativo al 2008-2009, l’Iran ha registrato entrate pari a 98 miliardi di dollari USA. Inoltre, il governo iraniano sta compiendo enormi sforzi nel tentare di dare impulso ad una diversificazione economica, puntando su settori per i quali si prevedono buone possibilità di espansione: l’industria petrolchimica e l’industria dell’acciaio.

Tra alti e bassi in campo economico, il governo iraniano, come si è detto, ha comunque deciso di inaugurare una politica demografica, volta in sostanza a promuovere un aumento della popolazione futura quindi un incremento delle nascite. Anche in questo caso, si possono prevedere effetti a breve e lunga durata, traducibili da un lato in un aumento della spesa pubblica e, dall’altro, ad un futuro ricambio generazionale. L’Iran è un Paese giovane. Più della metà della popolazione attuale ha meno di 30 anni. Plasmare una “quarta generazione” composta da giovani di età compresa tra i 20 e i 30 con un elevato livello di istruzione e professionalità, significa imprimere un impulso maggiore all’economia nazionale, attraverso un accrescimento del livello di competitività che si può tradurre, in molti casi, nello sviluppo di nuovi settori come ad esempio il settore informatico o quello tecnologico.

È pur vero che la principale fonte di sostentamento per l’economia iraniana è costituita dalla produzione di petrolio, ma occorre menzionare come in Iran stia fiorendo un vero e proprio mercato delle tecnologie d’informazione. Tradotto sul piano pratico, ciò corrisponde ad un forte impulso nello sviluppo di infrastrutture e servizi on-line: e- commerce, e-government, e-sanità, e-banche, e-formazione. A ciò si deve aggiungere la preponderante diffusione di Internet e la crescita di industrie deputate alla realizzazione di strumenti tecnologici. Si è calcolato che circa 550 aziende iraniane hanno contribuito negli ultimi tre anni a fortificare un mercato in espansione, ossia quello logistico e tecnico, che ha registrato una crescita annuale del 40%.  Ma forse non basta.

La proposta di Ahmadinejad deve pur tenere conto del Paese reale e del suo stato di salute. Se da un lato, la crescita demografica può essere sinonimo di rinnovamento generazionale e spinta economica dovuta all’aumento della competitività, dall’altro non può tralasciare il fattore negativo, ovvero l’aumento della spesa pubblica e la conseguente crescita esponenziale del livello di disoccupazione, al di sopra della soglia del 7% fissato dal patto di sviluppo economico. Certo, la manovra presidenziale potrà attingere al reddito derivante dal petrolio – per poter sovvenzionare i vari programmi interni – ma anche questo potrebbe non essere sufficiente. Un aumento della popolazione comporta necessariamente una crescita dei bisogni collettivi e individuali e dunque un flusso continuo di denaro per alimentare le spese ed evitare un forte disavanzo (e dunque il deficit spending).

* Pamela Schirru è laureanda in Filosofia Politica (Università di Cagliari)

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