“Israele ha la mentalità di chi pratica il terrorismo di Stato”. L’affermazione è del Capo del governo turco Erdoğan, in relazione all’incursione di Tel Aviv compiuta contro la Siria il 30 gennaio. “Una violazione totale e inaccettabile del diritto internazionale”, ha aggiunto, in cui l’asserito traffico d’armi verso il Libano “è soltanto un pretesto”.

Un cambiamento della strategia turca nei confronti della situazione siriana? È del tutto prematuro ipotizzarlo, ma le dichiarazioni quanto meno dimostrano la difficoltà del governo di Ankara nel proseguire l’attuale politica di ostilità nei confronti di Damasco, in ragione della disapprovazione da parte dell’opinione pubblica nazionale e del disastroso dispiegarsi della guerriglia terrorista nelle zone di confine con la Siria.  È una situazione di tensione che va accrescendosi a mano a mano che il conflitto siriano si ingarbuglia sempre più e la caduta del legittimo governo – da tempo preannunciata come inevitabile e imminente – si allontana.

Le dichiarazioni di Erdoğan dimostrano inoltre il permanere della frattura fra turchi e israeliani, in particolare riguardo alla valutazione della strategia da adottare nei confronti di Damasco. Tel Aviv, come di consueto, è per la soluzione di forza e l’accelerazione della crisi, ed è disposta a  far ulteriormente precipitare l’area nell’instabilità e nella frammentazione; Ankara invece è contraria a una crescita del livello di scontro militare e comincia a comprendere che il cambio di regime a Damasco – cinicamente perseguito dalla NATO e dallo stesso Stato ebraico – è difficile da realizzare senza un intervento diretto del tipo Iraq.

La rabbia per l’incursione israeliana tradisce l’enorme nervosismo e la preoccupazione per lo stallo della situazione siriana e il protrarsi di uno scenario che provoca solo danni alla Turchia.

Di questa incertezza e instabilità vi è traccia anche nelle recenti, esplicite denunce di Erdoğan contro la Unione Europea. Intervistato da “Today’s Zaman” – giornale vicino al governo – il Primo Ministro si è detto stanco dell’esasperante lentezza del processo di integrazione all’Europa: “Quando le cose sono tanto deludenti, se sei il Primo Ministro di 75 milioni di persone inevitabilmente cerchi altre strade. Per questo ho detto al Presidente Putin: ‘Prendici nel Gruppo di Shangai e noi diremo addio alla UE’ ”.

Anche in questo caso ha un ruolo importante l’opinione pubblica, decisamente raffreddatasi sull’ipotesi dell’ingresso nell’Unione Europea. Il sostegno turco alla campagna di aggressione contro la Siria, se ha in qualche modo provvisoriamente “protetto” il governo AKP da sgradite intromissioni delle Forze Armate nel campo politico, non ha però determinato  particolari aperture di credito da parte dell’Unione Europea. Resta infatti sullo sfondo una certa pregiudiziale “laica”, che l’orientamento generale dell’Adalet Kalkınma Partisi, ma soprattutto la realtà di un Paese a grande maggioranza islamico, non contribuisce certamente a mitigare.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.