Fino quasi alla fine degli anni ’90, la Argentina era vista come uno dei paesi che aveva avuto successo nell’applicazione delle ricette del Consenso di Washington. Tale era l’opinione del Fondo Monetario Internazionale (FMI), della maggior parte degli analisti ortodossi e anche del governo degli Stati Uniti. Le riforme strutturali dello Stato, che l’hanno ridotto al minimo, erano legate al contesto della globalizzazione finanziaria.
Eppure, il nuovo secolo ha trovato il paese nella più grande recessione dalla Prima Guerra Mondiale. Nessuno dei presunti benefici del neoliberismo si è manifestato.
La crisi finanziaria investì tutto il paese con la sua conseguenza: una gigantesca crisi sociale. Il tasso di disoccupazione ascendeva al 25%. Su raccomandazione del FMI, il governo cercò d’ effettuare le famose “politiche di aggiustamento”, nel vano tentativo di superare la crisi. Il taglio iniziale del 13% su stipendi e pensioni e l’aumento delle tasse non fecero altro che approfondire la recessione. Le dure misure fiscali furono coadiuvate dall’assistenza finanziaria esterna. “Il Blindaggio” (el Blindaje) fu uno dei tanti pacchetti di sostegno finanziario – pari a 40 miliardi di dollari statunitensi -, ma neppure questo fu utile, e lo Stato non poté evitare di dichiarare il default.
La peculiarità della soluzione alla crisi fu che, da quel momento, l’Argentina ruppe con il FMI e inaugurò un modello economico che includeva la produzione per il mercato interno, la diversificazione del sistema industriale e una forte regolamentazione statale.
La pianificazione e gestione della ristrutturazione del debito avvennero senza la sua interferenza, e il veloce recupero economico che comincio un trimestre dopo si verificò nonostante il FMI. L’atteggiamento negativo del FMI è rimasto per lungo tempo, e fu solo nel maggio del 2003 che Anne Krueger riconobbe pubblicamente l’errata diagnosi, dicendosi sorpresa dal rapido recupero.
La situazione che oggi vive l’Italia corrobora quella frase di Carl Marx: “La storia si ripete due volte, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. L’Argentina ha già attraversato nei primi anni del secolo l’esperienza che oggi tocca all’Italia; ovviamente il contesto è diverso.
Oggi si sta generalizzando il rifiuto delle raccomandazioni del FMI; le economie emergenti come la Cina si lamentano della mancanza di imparzialità; anche la stessa instituzione ha recentemente fatto una forte autocritica per i suoi errori nell’identificare le radici della crisi attuale.
Alla luce di ciò, cosa pensare di ciò che sta facendo Italia?
Come al solito, il FMI ha richiesto – lo scorso luglio – al governo italiano di applicare misure decise per ridurre il deficit fiscale, davanti ad una scenario nel quale i mercati sono scettici sulla sostenibilità del pesante debito.
L’Italia ha approvato in rapida sequenza due piani di aggiustamento. Il piano recentemente approvato garantirà un risparmio di 45.000 milioni di euro, cifra che si somma ai 79.000 milioni previsti dal primo piano.
L’obiettivo di entrambe le operazioni, che ascendono a 124.000 milioni di euro, è garantire che il deficit sia del 3,9% nel 2011, 1,6% alla fine del 2012 e dello 0% nel 2013 e così rassicurare i mercati sulle finanze pubbliche del paese mediterraneo.
Di nuovo, le decisioni politiche servono per salvare i mercati.
Il mercato finanziario è il primo responsabile della crisi ed è l’unico grande vincitore: i suoi attacchi speculativi creano paura e sono il mezzo attraverso il quale ottengono profitti straordinari, ogni volta più redditizi a scapito della sicurezza degli Stati e del sacrificio del popolo dei paesi interessati.
L’Italia d’oggi rispecchia il fallimento argentino del 2001 e lo manifesta nel contenuto dei due piani di aggiustamenti: il primo tenta d’ottenere un risparmio per la via tipica, tagliando pensioni e ritardando la età di accesso alle stesse. Inoltre, ha introdotto il “co-pagamento” nella sanità.
Il secondo cerca di diminuire la spesa e incrementare le entrate: le misure comprendono una maggiore facilità per il licenziamento, adattare la età di pensionamento alla speranza di vita, unire alcune feste con la domenica per aumentare la produttività, e diminuire la spesa della politica. D’altra parte, alle regioni e alle aziende municipali, lo Stato taglierà i suoi contributi di 9.500 milioni di euro in due anni.
Si è anche discussa la possibilità di liberalizzare i servizi pubblici locali e promuovere le privatizzazioni.
Un dato importante è che il debito italiano, superiore al 120% del Prodotto Interno Lordo, è il secondo più alto della zona euro dietro a quello della Grecia. Il tasso di crescita economico italiano è inferiore a quello medio, dunque mette a rischio il pagamento del debito nel medio termine.
L’Italia ha bisogno di molti soldi per soddisfare i suoi creditori. Deve vendere debito per 80.000 milioni di euro nei prossimi mesi, nonostante il mercato sia in calo.
Come si è visto, non parliamo di paesi periferici come la Grecia, l’Irlanda o il Portogallo, ma di uno dei tre più grandi d’Europa. Lo stesso presidente della Francia, Nicolas Sarkozy, ha ammesso che la caduta dell’Italia sarebbe la fine dell’euro.
Settimana scorsa si è celebrato il summit del G20 a Cannes. Lì, uno degli annunci più importanti è stato che l’Italia sarà sotto vigilanza del FMI. Ciò conferma che il FMI non ha ancora perso tutto il potere e che il governo italiano continuerà con la stessa politica a favore dei mercati.
Al contrario, il discorso della presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, forse per esperienza, è stato molto, molto diverso nei toni.
Ha chiesto di porre fine al “anarco-capitalismo finanziario” e ha accusato giustamente il sistema finanziario e i suoi gestori di avere la responsabilità della crisi; gli unici che beneficiano della caduta o del rialzo del mercato azionario.
Ora, non rimane molto da fare: solo che il governo italiano abbia il coraggio di difendere davvero gli interessi del popolo, e non si preoccupi solo di spogliare le risorse di milioni di italiani a vantaggio d’un gruppetto di manipolatori del mercato.
* Maximiliano Barreto è laureando in Relazioni internazionali all’Università Nazionale di Rosario (Argentina).
Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.