Russia e Corea del Nord sono unite da un legame speciale, poiché le origini del regime dei Kim risalgono agli anni dell’occupazione sovietica della Corea settentrionale. Nel corso dei decenni le relazioni bilaterali hanno conosciuto diverse fasi: dall’alleanza della guerra fredda al pragmatismo di Vladimir Putin, passando per l’inverno dei primi anni Novanta. La cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina ha segnato l’inizio di una nuova primavera. Il sostegno nordcoreano allo sforzo bellico russo ha infatti dischiuso nuovi e inaspettati ambiti di cooperazione, nel contesto del continuo consolidamento del multipolarismo.

 Le origini delle relazioni bilaterali e la guerra fredda

Mosca e Pyongyang sono unite da sempre da un legame speciale, anzi esistenziale. Infatti, le fondamenta della Repubblica Democratica Popolare di Corea (il nome ufficiale della Corea del Nord) furono gettate durante l’occupazione sovietica della Corea settentrionale, iniziata nell’agosto del 1945 e terminata nel dicembre del 1948. Per comprendere le origini di tale legame esistenziale bisogna quindi tornare alle fasi conclusive della Seconda guerra mondiale.

Come noto, dopo la guerra russo-giapponese del 1904-05 la Corea intera diventò prima un protettorato (1905) e poi una colonia giapponese (1910). La sconfitta nella guerra con il Giappone causò, tra le altre cose, l’estromissione della Russia dagli affari coreani.

Dopo quarant’anni di dominazione nipponica, le acque intorno alla Corea tornarono a muoversi con irruenza sul finire della Seconda guerra mondiale. Mentre gli Stati Uniti si apprestavano a sperimentare la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, l’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone e lanciò un’imponente offensiva terrestre finalizzata a conquistare i possedimenti nipponici dell’Asia nord-orientale, ovvero la Manciuria e la Corea.

Vedendo la velocità dell’avanzata dell’Armata Rossa e temendo che i sovietici liberassero l’intera penisola, il governo statunitense elaborò una proposta di spartizione della Corea: il nord sotto occupazione sovietica, il sud sotto occupazione statunitense, con il 38° parallelo a fare da confine tra le due zone d’occupazione[1]. I sovietici entrarono a Pyongyang il 24 agosto e, come da accordi con gli statunitensi, non si spinsero oltre il 38° parallelo, sebbene in quel momento nessuna forza militare potesse impedire loro di completare la liberazione della penisola.

Dopo una prima collaborazione infruttuosa con il nazionalista Cho Man-sik, i sovietici decisero di favorire l’ascesa di Kim Il-sung, un giovane guerrigliero comunista. Già durante gli anni Trenta Kim aveva preso parte alla guerriglia antigiapponese in Manciuria ma nel 1941, siccome era ricercato dai giapponesi, fu costretto a fuggire oltreconfine. Si rifugiò nella regione di Vladivostok, dove rimase fino alla fine della guerra e dove creò dei contatti con i sovietici. Questi ultimi lo ricompensarono favorendone l’ascesa politica durante il periodo dell’occupazione, culminata il 9 settembre 1948 nella proclamazione della Repubblica Democratica Popolare di Corea.

Anche se durante la guerra del 1950-53 non intervenne direttamente in aiuto della giovane repubblica nordcoreana, per tutta la guerra fredda l’Unione Sovietica, insieme alla Cina, fu il principale alleato della Corea del Nord. Nel 1961 Mosca e Pyongyang siglarono un trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza che, all’articolo 1, prevedeva una clausola di aiuto reciproco qualora uno dei due firmatari fosse stato attaccato militarmente[2].

I legami ideologici, militari ed economici (l’Unione Sovietica era il primo partner economico della Corea del Nord) non riuscirono tuttavia ad annullare le divergenze tra i due paesi. Tali divergenze erano soprattutto il prodotto del differente ruolo che i due Stati ricoprivano nel sistema internazionale. L’Unione Sovietica era la grande potenza del blocco socialista in competizione con gli Stati Uniti. La competizione geopolitica tra Mosca e Washington avveniva su scala globale e la Corea ne era solo uno dei tanti fronti. Inoltre, sebbene non si fosse giunti a un trattato di pace, l’armistizio di fatto stabilizzò la penisola, consolidando la divisione avvenuta nel 1948: il nord rientrava nella sfera d’influenza sovietica, il sud in quella degli Stati Uniti. Nell’ottica della suddetta competizione geopolitica, questa stabilizzazione non fece altro che rendere la Corea un fronte secondario agli occhi dell’Unione Sovietica.

La Corea del Nord invece era un paese diviso che, dopo essersi ripreso dalle devastazioni della guerra, dovette competere duramente con il proprio vicino meridionale per acquisire la legittimità internazionale. Tale competizione avveniva in un contesto regionale ostile dal momento che la Corea del Nord confinava con la sfera d’influenza statunitense. Inoltre, specialmente durante gli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, Kim Il-sung dovette impegnarsi per consolidare la propria legittimità nei confronti degli avversari interni.

A questo proposito occorre precisare che, nonostante la dipendenza di Pyongyang da Mosca, la Corea del Nord, essendo un regime nazionalista e dato il carattere autarchico dell’ideologia juche, non fu un mero fantoccio sovietico, né si appiattì acriticamente sul marxismo-leninismo propugnato dal Partito comunista sovietico. Inoltre, a differenza di Seul, Pyongyang si rifiutò di ospitare truppe straniere sul proprio territorio.

La Corea del Nord rivendicò e perseguì una linea autonoma sia dal punto di vista diplomatico, sia ideologico. Per esempio, nonostante la contrarietà dei sovietici, Kim Il-sung creò un proprio culto della personalità e adottò la prassi della successione dinastica, che era quanto di più distante dal centralismo democratico marxista-leninista[3].

Dal punto di vista diplomatico, durante gli anni Settanta Pyongyang espanse le proprie relazioni diplomatiche oltre il blocco socialista. Nel 1975 Kim Il-sung compì un lungo viaggio che lo portò a visitare Cina, Algeria, Mauritania, Romania, Bulgaria e infine Jugoslavia. Nell’agosto di quell’anno Pyongyang venne ammessa nel Movimento dei non allineati il quale però era diviso sulla posizione da assumere nei confronti della questione coreana.

Nella prima metà degli anni Settanta il regime di Kim cercò di instaurare relazioni commerciali anche con alcuni paesi capitalisti, in particolare Francia e Giappone, e sempre a quel periodo risalgono i primi tentativi di stabilire un canale di comunicazione diretto con gli Stati Uniti[4].

Questo attivismo diplomatico da un lato rispondeva alla logica della competizione per la legittimità internazionale con la Corea del Sud, dall’altro era una conseguenza del dissidio sino-sovietico. La rottura dei rapporti tra l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese non solo costrinse Pyongyang ad impegnarsi in un difficile esercizio di equilibrismo diplomatico, ma anche a cercare nuovi partner con cui approfondire le relazioni per favorire lo sviluppo del paese.

Le relazioni bilaterali tra Federazione Russa e Repubblica Democratica Popolare di Corea (1991-2022)

La fine della guerra fredda e il crollo dell’Unione Sovietica aprirono una nuova era nelle relazioni bilaterali. Nel 1990 il Cremlino riconobbe la Corea del Sud, una decisione che i nordcoreani definirono “disgustosa, vomitevole, inopportuna”. Kim si sentì tradito dal suo storico alleato[5].

Nei primi anni Novanta la politica coreana della Federazione Russa guardava soprattutto a sud del 38° parallelo. Il Cremlino era intenzionato a stabilire solide relazioni economiche e commerciali con la Corea del Sud, la cui prosperità economica la rese un partner appetibile per una Russia in difficoltà. La svolta si materializzò nel novembre 1992, durante la visita del presidente russo Boris Eltsin a Seul. In quell’occasione Eltsin confidò al ministro degli esteri sudcoreano che il trattato del 1961 con la Corea del Nord era in vigore solo sulla carta.

In effetti il ministero degli esteri russo, già nel gennaio 1992, comunicò alla controparte nordcoreana la sua volontà di rimuovere la clausola di mutua assistenza dal trattato. La diplomazia russa sollecitò uno scambio di note diplomatiche per revisionare il documento ma la Corea del Nord inizialmente si rifiutò. Mosca non voleva tagliare i ponti con Pyongyang ma allo stesso tempo non era più disposta ad essere vincolata da un impegno formale di assistenza militare.

Nel corso degli anni Novanta russi e nordcoreani negoziarono un nuovo testo. Il trattato di amicizia, buon vicinato e cooperazione fu firmato il 9 febbraio 2000, durante la visita del ministro degli esteri russo Igor Ivanov a Pyongyang. Il nuovo trattato cancellava la clausola di mutua assistenza e la sostituiva con una di mutua consultazione, come previsto dall’articolo 2.

Nel frattempo, la postura russa nei confronti della penisola coreana era mutata. L’approccio di Mosca divenne più equilibrato e pragmatico. Il governo russo comprese che, per poter essere influente nella penisola, avrebbe dovuto perseguire una politica basata sull’equidistanza. Rinnegare i rapporti con Pyongyang avrebbe aumentato l’influenza di Pechino e diminuito il prestigio di Mosca. Vantare buoni rapporti con il Nord era poi un’utile leva negoziale con il Sud.

Durante la seconda metà degli anni Novanta la Russia abbandonò progressivamente la sua politica filoccidentale nel tentativo di ritrovare un ruolo autonomo nella politica internazionale. Il cambio di approccio nei confronti della Corea si inserì in tale contesto. La figura che personificò questi cambiamenti fu Vladimir Putin, che il 31 dicembre 1999 subentrò ad Eltsin nel ruolo di presidente.

Putin dimostrò un notevole attivismo nei confronti della Corea del Nord. Nei primi tre anni della sua presidenza si incontrò ben tre volte con Kim Jong-il: la prima volta a Pyongyang (luglio 2000), la seconda a Mosca (aprile 2001), la terza a Vladivostok (agosto 2002). Questi vertici bilaterali servirono a Putin per riallacciare i rapporti dopo le turbolenze del periodo eltsiniano e per dimostrare che nella penisola coreana la Russia era ancora un attore da tenere in considerazione.

Nonostante il nuovo corso della politica estera russa, l’approccio della Federazione nei confronti della penisola continuava ad essere gravato da due vincoli. In primo luogo, la Russia non poteva più essere il principale fornitore di armi della Corea del Nord poiché ciò avrebbe danneggiato le relazioni con il Sud. In secondo luogo, la Russia non era più disposta a sussidiare l’economia nordcoreana come ai tempi della guerra fredda.

Durante l’età bipolare Mosca forniva aiuti economici a Pyongyang facendo dei prezzi di favore. Inoltre, il commercio tra i due paesi era fortemente sbilanciato in favore dell’Unione Sovietica. Di conseguenza la Russia ha ereditato un notevole credito nei confronti della Corea del Nord. I nordcoreani chiesero la cancellazione del debito ma inizialmente i russi si rifiutarono. Allora la Corea del Nord, per ripagare almeno parte del debito, inviò dei lavoratori nell’Estremo Oriente russo. L’invio di lavoratori in Russia, per lo più impiegati nei settori delle costruzioni e del legname, era una prassi consolidata già ai tempi dell’Unione Sovietica.

Lo scoppio della seconda crisi nucleare nordcoreana (2002) costrinse la Russia ad adottare un approccio più cauto nei confronti della Corea del Nord. Il Cremlino era contrario alla proliferazione nucleare ma allo stesso tempo si opponeva a un’eventuale azione militare statunitense finalizzata a distruggere i siti nucleari nordcoreani. Tale scenario avrebbe destabilizzato lo status quo, facendo salire in maniera grave il rischio di una guerra su scala regionale.

Pyongyang chiese la partecipazione di Mosca nei Colloqui a sei, a cui parteciparono anche Cina, Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti. Russi e cinesi coordinarono le proprie posizioni nell’ambito dei lavori negoziali. Il coordinamento russo-cinese divenne chiaro nel maggio 2003 quando il presidente cinese Hu Jintao andò a Mosca per incontrare Putin. I due presidenti concordarono che la risoluzione bellica della crisi nucleare era inaccettabile. Alla Corea del Nord bisognava dare assicurazioni in merito alla sua sicurezza nazionale e favorirne lo sviluppo economico. Allo stesso tempo Hu e Putin sottolinearono l’importanza del rispetto del regime di non proliferazione. Secondo i due capi di Stato, la riduzione della minaccia statunitense, unita all’invio di aiuti economici, avrebbe favorito il ritorno di Pyongyang nel trattato di non proliferazione[6].

Dal punto di vista economico, per la Corea del Nord l’importanza della Russia è calata nettamente in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Di conseguenza Mosca ha perso un’importante leva negoziale. Nel 1990 il commercio con l’Unione Sovietica valeva il 53,3 % del commercio estero della Corea del Nord, per un totale di 2,2 miliardi di dollari. Cinque anni più tardi tale cifra era scesa ad appena 83 milioni di dollari. Nel 2010 il valore del commercio tra i due paesi non superava i 100 milioni di dollari.

Ciononostante, i russi hanno dimostrato di voler approfondire le relazioni commerciali. Nel settembre 2012 fu finalmente raggiunto un accordo sul debito nordcoreano, che ammontava a un totale di 11 miliardi di dollari, interessi compresi. La Russia accettò di cancellare il 90 % del debito. Il restante 10 %, pari a 1,09 miliardi, sarebbe stato saldato nel corso dei successivi 20 anni[7]. La risoluzione di questa disputa non solo ha facilitato gli scambi commerciali ma ha permesso un generale miglioramento dei rapporti bilaterali.

In generale, a partire dall’insediamento di Putin fino al 24 febbraio 2022, la politica della Russia nei confronti della Corea del Nord è stata pragmatica. Il Cremlino ha voluto rimediare agli errori del periodo eltsiniano ma senza assumere alcun impegno formale a garanzia della sicurezza nordcoreana. In sostanza, il riavvicinamento tra Russia e Corea del Nord non si è tradotto in un ritorno ai fasti della guerra fredda. Inoltre, in sede di Consiglio di Sicurezza, la Russia non ha fatto mancare il suo voto favorevole alle sanzioni internazionali. Dal punto di vista russo avvicinarsi eccessivamente alla Corea del Nord avrebbe danneggiato seriamente le relazioni con l’Occidente e compromesso i rapporti bilaterali con la Corea del Sud.

Le relazioni bilaterali dopo il 24 febbraio 2022

L’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina segna un punto di svolta. Se la dissoluzione dell’Unione Sovietica causò un deciso raffreddamento dei rapporti bilaterali, specialmente nella prima metà degli anni Novanta, a partire dal 24 febbraio 2022 la relazione tra Mosca e Pyongyang ha conosciuto un netto miglioramento.

Fin dall’inizio il governo nordcoreano ha manifestato apertamente il suo appoggio alla Russia. La Corea del Nord è infatti uno dei cinque paesi che votò contro la risoluzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 2 marzo 2022. Quella risoluzione condannava l’operazione della Russia e chiedeva l’immediato ritiro delle truppe russe dall’Ucraina.

La posizione nordcoreana nei confronti della guerra russo-ucraina è coerente con il carattere radicalmente antiamericano della sua politica estera. Mosca, decidendo di invadere l’Ucraina, ha dimostrato di essere disposta a fare ricorso alla forza quando il proprio interesse nazionale confligge con quello di Washington. Questa affermazione di sovranità ai danni degli Stati Uniti non può che incontrare l’approvazione di Pyongyang. Kim Jong-un infatti ha offerto il suo “sostegno pieno e incondizionato” alla “lotta sacra” intrapresa dalla Russia contro l’Occidente[8].

Agendo coerentemente con questa posizione, la Corea del Nord non si sarebbe limitata ad appoggiare la Russia nei consessi internazionali, ma avrebbe contribuito materialmente al sostegno dello sforzo bellico russo. Secondo gli Stati Uniti e alcuni loro alleati, Pyongyang avrebbe fornito materiale militare a Mosca, in particolare missili e munizioni per l’artiglieria. Si tratterebbe di una netta inversione di tendenza rispetto ai tempi della guerra fredda: se l’Unione Sovietica era il principale fornitore di materiale militare della Corea del Nord, oggi sarebbe la Russia a importare armamenti nordcoreani. La guerra russo-ucraina avrebbe quindi creato inaspettate opportunità per l’industria bellica e per l’economia nordcoreana in generale, favorendone la ripresa dopo i difficili anni della pandemia.

Oltre ai presunti scambi di materiale militare, il miglioramento delle relazioni bilaterali è testimoniato dai recenti incontri di alto livello. Il 27 luglio 2023, in occasione del settantesimo anniversario dell’armistizio che pose fine alla guerra, il ministro della difesa russo Sergei Shoigu si è recato a Pyongyang, dove ha incontrato Kim Jong-un. Il leader nordcoreano ha colto l’occasione per mostrare al ministro russo l’arsenale missilistico, una risorsa fondamentale per la sicurezza nazionale nordcoreana.

All’incontro ha partecipato anche una delegazione cinese di alto livello guidata da Li Hongzhong, vicepresidente della Commissione permanente dell’Assemblea nazionale del popolo nonché membro del Politburo del Partito comunista cinese[9]. Settant’anni dopo la fine della terribile guerra di Corea, Cina e Russia si confermano quindi i partner di riferimento della Corea del Nord.

Un mese e mezzo dopo questo incontro trilaterale, Kim Jong-un ha varcato il confine con la Russia per incontrare il presidente Vladimir Putin. Il vertice tra i due capi di Stato (il primo dall’aprile 2019) è avvenuto il 13 settembre 2023 presso il cosmodromo Vostočnyj, nell’oblast dell’Amur, nell’Estremo Oriente russo. Non è un caso che l’incontro abbia avuto luogo in un cosmodromo. Kim e Putin hanno parlato di vari argomenti riguardanti l’attualità internazionale ma anche dei modi per approfondire le relazioni bilaterali, tra cui la cooperazione in ambito scientifico e tecnologico. La Corea del Nord è intenzionata a sviluppare il proprio programma aerospaziale, con particolare riferimento ai satelliti, e in questo settore la Russia è uno dei paesi più all’avanguardia[10].

Il supporto convinto dato dalla Corea del Nord alla campagna militare russa in Ucraina ha quindi fornito a Pyongyang un’utile leva negoziale, creando nuovi ambiti di cooperazione, nell’ottica di un progressivo approfondimento delle relazioni bilaterali.

Sulla scia dei bilaterali di luglio e settembre 2023, nel gennaio 2024 la ministra degli esteri nordcoreana Choe Son-hui si è recata a Mosca dove ha incontrato il suo omologo russo Sergei Lavrov. Dopo il loro colloquio di lavoro i due ministri sono andati al Cremlino per incontrare il presidente Putin. A margine dei lavori la ministra Choe ha espresso il suo apprezzamento per il miglioramento delle relazioni bilaterali: i ripetuti incontri tra i ministri degli esteri dei due paesi costituiscono “un’altra prova del fatto che la relazione amichevole tra Russia e Corea, con la sua lunga storia di amicizia e tradizione, sta progredendo energicamente in accordo con i piani dei rispettivi leader”[11].

19 giugno 2024: la svolta strategica della Russia segna l’inizio di una nuova era dei rapporti bilaterali

Questa serie di incontri bilaterali ha raggiunto il suo culmine lo scorso 19 giugno, quando Putin, dopo ventiquattro anni, si è recato a Pyongyang. La recente visita del presidente russo nella capitale nordcoreana è storica non tanto perché avviene dopo tanti anni dalla prima, bensì perché segna l’inizio di una nuova era nei rapporti bilaterali, che mette fine alla politica pragmatica seguita finora Putin.

In occasione della sua visita a Pyongyang, infatti, Russia e Corea del Nord hanno siglato un’alleanza che contiene una clausola di mutua difesa. Questo è sicuramente il punto più saliente della visita del presidente russo. L’alleanza bilaterale rientra in un più ampio accordo di partenariato strategico globale, che d’ora in avanti costituirà la base per lo sviluppo dei rapporti bilaterali[12].

I tempi in cui Eltsin sminuiva l’alleanza con la Corea del Nord ereditata dall’Unione Sovietica sono solo un lontano e spiacevole ricordo, mentre il trattato del 2000 di fatto ha perso efficacia. La cosiddetta operazione militare speciale ha innescato nientemeno che una svolta strategica nella politica coreana della Federazione Russa, che infine ha determinato l’inizio di una nuova era.

Sarebbe tuttavia un errore vedere nel repentino miglioramento dei rapporti bilaterali solo una conseguenza dei nuovi scenari internazionali generati dalla guerra russo-ucraina. Dal punto di vista politico, infatti, Mosca e Pyongyang condividono la stessa visione. Entrambe le capitali rifiutano l’egemonia statunitense, che intendono sostituire con un sistema internazionale multipolare.

Russia e Corea del Nord concordano inoltre nel ritenere la forza uno strumento da utilizzare per affermare la propria sovranità qualora l’interesse nazionale contrasti con quello degli Stati Uniti. Infatti, così come la Corea del Nord ha effettuato numerosi esperimenti nucleari e missilistici per dotarsi di un deterrente credibile, così la Russia ha deciso di invadere l’Ucraina con l’obiettivo di fermare l’espansione verso oriente della sfera d’influenza statunitense.

D’altro canto, qualora ci fosse bisogno di un’ulteriore conferma del deciso miglioramento dei rapporti bilaterali, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno immediatamente denunciato l’avvicinamento tra Russia e Corea del Nord. Washington, infatti, ha imposto sanzioni unilaterali[13] e intimato alla Corea del Nord di rivedere la sua politica nei confronti della Russia[14]. Dal canto loro, Kim e Putin hanno risposto alle intimidazioni statunitensi siglando un accordo di partenariato strategico globale che contribuisce in maniera considerevole a consolidare l’assetto multipolare del sistema internazionale.


NOTE

[1] Il 38° parallelo fu scelto come linea di demarcazione da due colonelli statunitensi, Charles H. Bonesteel e Dean Rusk, semplicemente perché divideva la Corea in due parti approssimativamente uguali e permetteva di tenere Seul, la città più grande della penisola, sotto il controllo statunitense. Nel 1896 Russia e Giappone siglarono un accordo segreto con cui divisero la Corea in due sfere d’influenza, utilizzando lo stesso parallelo come confine. Come nota lo storico Maurizio Riotto, si trattò di “una sinistra premonizione di quanto sarebbe accaduto circa cinquant’anni dopo e di quanto, purtroppo, perdura a tutt’oggi”. Maurizio Riotto, Storia della Corea. Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano, 2013, p. 307.

[2] Treaty of Friendship, Co-operation and Mutual Assistance Between the Union of Soviet Socialist Republics and the Democratic People’s Republic of Korea. Signed at Moscow, on 6 July 1961, documentcloud.org.

[3] Ha Yong-chool, Soviet Perceptions of Soviet-North Korea Relations, in “Asian Survey”, Vol. 26, N° 5, Maggio 1986, pp. 573-590.

[4] Antonio Fiori, Il nido del falco. Mondo e potere in Corea del Nord, Le Monnier, Firenze, 2016, pp. 22-31

[5] Eugene Bazhanov, Natasha Bazhanov, The Evolution of Russian-Korean Relations: External and Internal Factors, in “Asian Survey”, Vol. 34, N° 9, Settembre 1994, pp. 791-792.

[6] Leszek Buszynski, Russia and North Korea: Dilemmas and Interests, in “Asian Survey”, Vol. 49, N° 5, Settembre-Ottobre 2009, pp. 809-830.

[7] Liudmila Zakharova, Economic cooperation between Russia and North Korea: New goals and new approaches, in “Journal of Eurasian Studies”, Vol. 7, 2016, pp. 151-161

[8] Song Jung-a, Anastasia Stognei, Kim Jong Un pledges support for Russia’s “sacred fight” in Ukraine, ft.com, 13 settembre 2023.

[9] North Korea’s Kim hosts Russia’s Defense Minister Shoigu, dw.com, 27 luglio 2023.

[10] How could Russia help North Korea build a satellite?, reuters.com, 13 settembre 2023.

[11] Guy Faulconbridge, North Korean minister lauds “comradely” ties with Russia, meets Putin in Kremlin, reuters.com, 16 gennaio 2024.

[12] Josh Smith, Ju-min Park, Russia’s Putin and North Korea’s Kim sign mutual defence pact, reuters.com, 19 giugno 2024.

[13] Si veda, per esempio, The United States Takes Action in Response to DPRK-Russia Ballistic Missile Transfers and Testing, 11 gennaio 2024, state.gov.

[14] Christy Lee, US warns North Korea against providing Putin platform for war aims, voanews.com, 7 giugno 2024.


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Massimiliano Palladini, dopo la laurea triennale in Scienze politiche, sociali e internazionali (Università di Bologna) ha conseguito la laurea magistrale in Relazioni internazionali ed europee (Università di Parma). Si interessa di politica internazionale e storia delle relazioni internazionali. Nel 2019, insieme ad alcuni compagni di corso dell’Università di Bologna, ha fondato Civitas Europa, associazione di studi sull’integrazione europea e la politica internazionale.