Descrizione
DOSSARIO: LA GEOPOLITICA DELLE RELIGIONI
Nella storia della Cina moderna, nata dalla lotta rivoluzionaria culminata con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese del 1949, confucianesimo e socialismo hanno vissuto, un rapporto tanto controverso quanto originale. Se in epoca maoista – ed in particolare nella fase della Rivoluzione Culturale alla metà degli anni Sessanta – le due filosofie parevano porsi su orizzonti culturali ed ideologici antitetici, con l’affermarsi della linea riformatrice in seno al PCC si è assistito ad un recupero parziale e corretto di alcuni elementi del confucianesimo. Basti pensare a concetti quali “sobrietà”, “armonia”, “unità”, ai quali la quinta generazione di dirigenti del PCC sembra affidarsi per governare la complessità sociale di una Cina sempre più proiettata verso un ruolo da protagonista sullo scenario globale.
La salita al potere di Narendra Modi, oggi a capo del governo indiano come Primo Ministro, è il risultato di un’evoluzione culturale e politica della maggioranza indù della popolazione che è iniziata negli anni Ottanta. Dopo aver ottenuto l’indipendenza dal regime coloniale britannico, l’India ha iniziato un lungo percorso di recupero e integrazione della propria identità nazionale, ma solo in tempi relativamente recenti si è arrivati alla consapevolezza della necessità di una radicale decolonizzazione della mentalità popolare. Il Risorgimento induista ha dovuto e dovrà ancora superare grandi difficoltà interne ed esterne, nonché momenti di violenza e di tensione, anche a causa della mancanza di informazione adeguata e addirittura della propaganda ostile degli schieramenti politici convenzionali e del negazionismo storico e religioso delle istituzioni accademiche. Ma se l’esperimento riuscisse, come sembra probabile, sarebbe una svolta epocale, non solo per l’India ma anche per il resto del mondo.
Parlando di religione in Asia centrale è importante evitare il fraintendimento che, quasi automaticamente, scaturisce dall’apparente sinonimia di Islam e islamismo. Il primo termine si riferisce alle modalità in cui questa religione si è manifestata nella storia, il secondo alla sua reificazione in feticcio da parte delle moderne categorie di pensiero. Col passaggio di consegne dalle antiche credenze dei Turchi preislamici alla sintesi rappresentata dal sufismo di Ahmed Yassawi, l’Islam ha assunto una sua forma specifica e caratteristica della regione centroasiatica. L’odierno Kazakhstan, con le iniziative fautrici del dialogo interreligioso e interculturale volute dal presidente Nursultan Nazarbayev, intende essere un modello per l’intera regione.
Dopo l’esordio meccano e medinese, Bassora e Kufa diventarono le culle delle scienze derivate dal Corano e dalla Sunna e furono anche i primi centri urbani che annoverarono un cospicuo numero di sufi. Dalla Mesopotamia islamica il sufismo si propagò rapidamente in tutto l’orbe musulmano e spesso costituì il veicolo della diffusione dell’Islam.
Dopo alcuni secoli di oblio politico, preceduti però dallo splendore dell’epoca safavide e non solo, l’Islam sciita è tornato alla ribalta, prima grazie alla rivoluzione iraniana del 1979, poi per via di una rete di alleanze regionali con movimenti e paesi guidati dalla componente sciita. La diffusa presenza sciita è quindi la principale risorsa cui può ricorrere, per esercitare la propria influenza, una nazione come quella iraniana, volenterosa di riprendere il suo storico ruolo imperiale. Il principale concorrente geopolitico dell’Iran nel mondo musulmano è il governo neoottomano di Ankara, determinato anch’esso a svolgere di nuovo, come in passato, un ruolo centrale nella regione che fu culla della religione islamica.
“Gratta un Russo e troverai un Tataro”, dice un proverbio russo. Sovente descritto come un luogo di convivenza pacifica tra Cristiani e Musulmani, il Tatarstan sembra smentire i paradigmi sullo “scontro di civiltà” e sull’indigeribilità dei Musulmani. Va però detto che il clima di tolleranza che caratterizza il Tatarstan odierno è il frutto di secoli di convivenza e talora di contrasti fra Russi e Tatari.
Gli ordini sufici Tijaniyya e Muridiyya hanno svolto in Senegal un ruolo molto importante, non solo nell’ambito propriamente religioso, ma anche come mediatrici nei rapporti con il potere politico, prima con quello coloniale e poi con quello instaurato dopo l’indipendenza (1960). I discepoli di queste confraternite dedicano la loro vita alla comunità religiosa prendendo come punto di riferimento spirituale il capo religioso, chiamato serign, shaykh o marabut. I discepoli credono che solo attraverso il rispetto delle regole della confraternita impartite dal Serign sarà possibile ottenere il perdono di Dio e di conseguenza il Paradiso. L’influenza della Muridiyya, in particolare, è vasta e si estende ad ogni campo della vita di chi ne fa parte e in alcuni casi la parola del Marabut arriva ad essere legge indiscutibile.
La plurisecolare storia russa, che trae origine dalla trasformazione dei principati russi nel grande impero zarista, evidenzia l’importanza dell’Ortodossia come pilastro dell’identità nazionale e culturale. Pur tuttavia, da sole la crescita economica russa e la dirigenza politica russa non sono sufficienti per riaffermare una comune identità per le popolazioni slave ed ex comuniste, un tempo riconducibili all’ideologia sovietica ed oggi attratte dalle sirene del capitalismo occidentale e dalla globalizzazione atlantica. Il recupero della centralità dell’Ortodossia assume quindi fondamentale importanza per la rinascita russa, oggetto di continui attacchi identitari e socioculturali fin dal disfacimento dell’Unione Sovietica.
In Russia la salvaguardia dei fondamenti delle religioni tradizionali e il sostegno governativo alle istituzioni ecclesiastiche hanno una stretta relazione con la stabilità politica e sociale. Studiosi di dottrina dello Stato, teologi ed esperti di relazioni internazionali negli ultimi tempi dibattono sul tema del rapporto fra le autorità dello Stato russo e la Chiesa Ortodossa Russa. Il presente articolo prende in esame l’interazione tra le istituzioni della Chiesa Ortodossa, il governo dello Stato e la società russa.
Che l’Ortodossia rimanga oggi un fattore geopolitico di primaria importanza lo si constata facilmente nell’ambito geopolitico della Serbia. Nella stessa ultima Costituzione di quella nazione, promulgata il 15 giugno 2008, si afferma che il Kosovo e Metohija è parte integrante della Serbia e non se ne riconosce l’indipendenza. Le ragioni di questa “ostinazione” si spiegano con la storia secolare di quel popolo, per il quale le radici cristiano-ortodosse e i relativi riferimenti simbolici rimangono un fattore identitario ineludibile.
Il ritorno del fattore religioso sulla scena internazionale ha portato al ripensamento delle relazioni tra Stati sulla base dell’inserimento dell’azione – morale e politica – esercitata dalle istituzioni religiose quale variabile primaria. Per il Cattolicesimo, l’elezione di Papa Francesco ha rinnovato l’interesse per gli affari vaticani e spinto a interrogarsi sul ruolo (geo)politico della Chiesa di Roma, che in questo scritto (breve e senza presunzione di essere esaustivo) viene trattato in una prospettiva storica: partendo dalle origini sino ad arrivare ai recenti sviluppi, analizziamo i ripetuti spostamenti spaziali, geografici e politici che hanno caratterizzato l’evoluzione della Chiesa Cattolica.
Le linee di confine di quelle che vengono percepite e presentate come aree di diverse civiltà sono spesso artificiali. La persecuzione dei cristiani della Siria e dell’Iraq è finalizzata ad eliminare la funzione dell’Asia sudoccidentale quale ponte fra diverse civiltà e a tracciare una invalicabile linea di frontiera tra il mondo islamico e quello cristiano, nel quadro della strategia statunitense dello “scontro delle civiltà”.
La rappresentazione dell’Occidente imposta dall’egemonia statunitense e supinamente accettata dall’Europa prevede generalmente l’adozione di una mentalità laica e secolarizzata, alla cui formazione hanno però contribuito l’etica protestante e particolarmente la dottrina delle chiese riformate di impronta calvinista e puritana. Si tratta di una contraddizione solo apparente, perché tali disposizioni di carattere religioso hanno determinato l’adozione di comportamenti e di stili di vita contraddistinti dall’affermazione del primato dell’economia e dalla ricerca del successo mondano, nonché da quella “autonomizzazione dell’individuo” che è alla base dell’individualismo moderno. Indipendentemente dal giudizio che si voglia dare complessivamente sulla Riforma luterana e singolarmente sulle diverse declinazioni del protestantesimo, l’importanza degli apporti considerati ci sembra costituisca un tratto caratteristico di quella entità geopolitica strumentale e ambigua denominata Occidente.
La particolare aggressività dell’imperialismo statunitense è sempre stata una caratteristica della “Nazione sotto Dio”, a partire da quando i primi emigranti inglesi sbarcarono sulla costa atlantica dell’America settentrionale per impiantarvi quelle che sarebbero poi divenute le Tredici Colonie. Motivato da solidi agganci nella tradizione veterotestamentaria, riportata in auge dalle sette protestanti e in particolare dal Puritanesimo, l’espansionismo americano ha assunto ben presto caratteri messianici che nel corso del tempo l’hanno reso, più che una minaccia, un pericolo concreto per il mondo libero.
Mentre la maggior parte dei musulmani americani è costituita di immigrati di prima, seconda o terza generazione, in America c’è una comunità islamica vecchia di secoli, quella afroamericana, che si ritiene rappresenti un terzo o anche una metà della popolazione musulmana d’America.
Il sionismo non è solo un “nazionalismo ebraico”. Ridurre l’ideologia sionista ad una mera questione di politica territoriale è un errore politico, storico e storiografico. Anche se il sionismo è un fenomeno moderno, le sue radici più autentiche vanno rinvenute nella Bibbia ebraica, nel Talmud e nella letteratura rabbinica.
A partire dagli anni Duemila, la setta neoprotestante “Chiesa della Fede” (Hit Gyülekezete) esercita sulla vita politica ungherese una tale influenza che, senza una conoscenza dei suoi orientamenti fondamentali, la politica interna ed estera dell’Ungheria sarebbe alquanto incomprensibile. La setta, dichiaratamente sionista, esercita sui governi ungheresi una pressione univoca a favore di una sempre più stretta dipendenza da Israele e dagli Stati Uniti. La Chiesa della Fede, che agisce dal 1979, in seguito all’approvazione della nuova legge sulle comunità religiose (2011), si è venuta a trovare sullo stesso piano della Chiesa Cattolica Ungherese, della Chiesa Riformata d’Ungheria e della Chiesa Evangelica d’Ungheria, delle quali è indiscutibile l’importanza storica nel Paese danubiano. Ciò è dovuto ad un parlamento in cui è largamente maggioritario il Fidesz, un partito conosciuto come conservatore e di destra.
INTERVISTE
Esperto in materie storiche, Guglielmo Duccoli ha legato il suo nome alla direzione editoriale di riviste quali “Civiltà” e “L’Illustrazione Italiana”, di cui ha anche curato la ricerca e la digitalizzazione della collezione storica completa. Attualmente collabora al “Progetto Sinapsi” del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la gestione e la valorizzazione del patrimonio culturale digitale delle biblioteche e degli archivi italiani.
RECENSIONI
Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica è un saggio di grande spessore sia sotto il profilo filosofico-culturale che sotto quello geopolitico-strategico, perché spiega in maniera piuttosto esauriente i presupposti, i contenuti e le finalità che l’eurasiatismo si propone di ottenere, smontando un pezzo alla volta le teorie statunitensi riguardo alla cosiddetta “fine della storia”, che secondo i suoi promotori avrebbe inesorabilmente fatto scivolare il pianeta verso un ordine mondiale democratico e liberale.