La presentazione (4 ottobre 2007) al Centro svizzero di Milano dei testi “Neutrale contro tutti – La Svizzera nelle guerre del ‘900” di Jean-Jacques Langendorf e “La Svizzera alla berlina ? Testimonianze e bilancio dopo la pubblicazione del Rapporto Bergier”, a cura del GLSV (Gruppo di Lavoro Storia Vissuta) ** ha ispirato le seguenti nostre note.

Tra gli anni Novanta e l’inizio del XXI secolo – gli anni della folle corsa alla guerra e della mortificazione del diritto internazionale da parte dei neo cons americani – una pagina assolutamente non secondaria del “libro nero” degli Stati Uniti ha riguardato la Confederazione Elvetica, Paese ideologicamente affine agli USA, legato a essi da un passato di consolidata amicizia.
E’ una pagina storica esemplare, un altro pesante attacco – sul piano politico, finanziario e culturale – portato dal “Nuovo Mondo” alla “Vecchia Europa”.

A metà degli anni Novanta si sviluppa negli USA – segnatamente da parte del Congresso mondiale ebraico, ovvero da un’organizzazione privata e non istituzionale – una virulenta campagna mediatica contro la Svizzera, accusata di avere favorito – con la sua neutralità – il regime nazionalsocialista nel corso della Seconda guerra mondiale, di avere respinto i profughi ebrei nonché di essere diventata una sorta di grande banca al servizio dei capi del Terzo Reich, che vi avrebbero depositato i fondi estorti agli ebrei.
Nel dicembre 1996 il governo elvetico approvò la costituzione di una Commissione indipendente di esperti (CIE), incaricata di redigere un rapporto in relazione alla questione “Svizzera/Seconda guerra mondiale”.
Il Rapporto Bergier (dal nome del presidente della Commissione) definiva in 25 volumi e in circa 12.000 pagine i termini della questione, con risultanze fortemente critiche verso il comportamento svizzero, in maniera assolutamente conforme a quanto auspicato dai suoi committenti d’Oltreoceano : non per nulla, nel bel mezzo dei lavori della CIE, lo stesso Bergier riceveva il premio “Mount Scopus” dall’Università ebraica di Gerusalemme, mentre il Presidente della Confederazione e Ministro degli affari esteri Flavio Cotti si recava in visita di espiazione nell’ufficio privato di Edgar Bronfman, presidente del Congresso ebraico mondiale – la fondazione ebraica Fischhof gli riconoscerà in seguito un premio di 50.000 franchi, prontamente accettato !

Alla campagna “revisionista” antisvizzera partecipano attivamente il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e la moglie Hilary, il Ministro degli esteri Albright, il senatore D’Amato come pure il magnate della stampa Murdoch. Il capo dello staff di D’Amato, Gregg Rickman, in un libro del 1999, Swiss Banks and Jewish Souls (Banche svizzere e anime ebraiche) non cela affatto lo spirito dell’operazione :
“Il nostro obiettivo era semplice. Avremmo trascinato i banchieri svizzeri davanti a un tribunale. Non davanti a un tribunale del tipo di quelli in cui erano abituati a difendersi, ma davanti al tribunale dell’opinione pubblica, di cui avremmo controllato l’ordine del giorno. I banchieri svizzeri erano sul nostro territorio e noi, praticamente, eravamo giudici, giurati e giustizieri” (corsivo nostro, ndr) (1).
Ancora più chiaro ed esplicito il senatore D’Amato : “Gli Stati Uniti hanno la responsabilità morale di occuparsi di questi problemi … Il senso morale americano non domanda altro”. (2)
E il sottosegretario di stato Stuart Eizenstat, in un crescendo allucinante, formula nell’occasione la nozione di Rough Justice, “giustizia sommaria” : “La nozione stessa di ‘giustizia sommaria’ è una novità, una nuova teoria per permettere dei negoziati politici non più basati su un principio legale” (3), “Questo nuovo concetto potrebbe in futuro essere applicato qualora ci siano importanti violazioni dei diritti umani” (4). Aggiunge : “E’ un termine che ho adottato per i reclami dall’esito giuridicamente incerto, ma moralmente indiscutibili” (corsivo nostro, ndr) (5).
Le conclusioni di questo uomo di Stato sono del seguente tenore : “Considerando la mancanza di prove, l’ammontare della giustizia sommaria sarà determinato da un mercanteggiamento duro e non da un calcolo oggettivo” (6). D’altra parte, “le prove legali che avrebbero potuto dare una legittimità a un valido regolamento, facevano totalmente difetto … Le pressioni esterne e l’intervento del governo degli Stati Uniti controbilanciarono le serie deficienze giuridiche di questo caso” (7).
Ancora Rickman esprime il senso di questa “giustizia sommaria” americana : “Il mondo intero (sic) ha già emesso la sua sentenza. Gli Svizzeri sono colpevoli. Noi discutiamo adesso della pena e la pena deve corrispondere al crimine” (8).

Nonostante le proteste di una parte cospicua dell’opinione pubblica svizzera, nonostante l’assoluta mancanza di prove documentali relative alle asserite colpe (9), nonostante il regalo dell’adozione di una vergognosa legislazione “anti-negazionista” che mette in galera i ricercatori storici dell’Olocausto, la Svizzera è moralmente colpevole e attraverso le sue banche deve – prosaicamente – pagare.
Nell’agosto 1998 viene concluso un Accordo globale (Global Settlement Agreement) tra le banche svizzere presenti negli USA e i delegati della World Jewish Restitution Organization (organizzazione ebraica mondiale per la restituzione); tale proposta di transazione – sottoscritta anche da legali di singole sedicenti vittime della persecuzione nazista – prevede un corrispettivo di 1.250 milioni di dollari, corrispettivo riconosciuto dalle banche che, pur contestando la veridicità delle accuse loro mosse (in merito alla questione dei fondi ebraici giacenti nelle loro casse), ne accettano l’imposizione. Nell’agosto 2000 l’Accordo globale viene ratificato dalla Corte federale distrettuale per il distretto Est di New York (US District Court Eastern District of New York) e dal suo Chief Judge Edward Korman.

Nel gennaio 2005 a Berlino, in occasione della “giornata di commemorazione delle vittime dell’Olocausto”, Israel Singer, alto esponente del Congresso ebraico mondiale, dichiarò che la neutralità della Svizzera nel corso della Seconda guerra mondiale rappresentò un crimine.
L’Accordo globale, dunque, non ha posto fine a possibili ricatti nei confronti del piccolo Stato europeo, un tempo lodato da Churchill per “non aver leccato gli stivali” al potente vicino germanico in tempo di guerra.
Si tratta dello stesso Singer che ha definito “bandito di strada” il presidente iraniano Ahmadinejad e che si è spazientito per l’eccessiva attenzione dimostrata dalla stampa internazionale per Guantanamo.

P.S.: Leggiamo su un quotidiano del 28 marzo 2007 (10) “il segretario generale del Congresso mondiale ebraico, Israel Singer, è stato licenziato. Il presidente Edgar Bronfman ha detto che l’espulsione del rabbino Singer è legata a una complessa vicenda di utilizzo di fondi della sede svizzera senza gli ‘adeguati controlli finanziari’. Per ora nessuna denuncia è stata sporta contro Israel Singer che dovrà, comunque, rimborsare 300.000 dollari di cui si sarebbe appropriato indebitamente come rimborso spese (…).L’avvocato del rabbino Singer, Stanley Arkin, ha detto : ‘Israel Singer ha molto da dire e lo farà nel momento opportuno raccontando la storia del WJC (Congresso mondiale ebraico) e delle persone che vi lavorano’”.


Note:
** Al dibattito, introdotto dal Console generale di Svizzera a Milano, hanno fra l’altro partecipato Sergio Romano, Jean-Jacques Langendorf e Maurizio Cabona.

1 – Gregg Rickman, Swiss Banks and Jewish Souls, New York 1999, p. 50
2 – Michael Bazyler, Holocaust Justice.The Battle for Restitution in America’ s Courts, New York 2003, p. 301
3 – Stuart Eizenstat, Imperfect Justice. Looted Assets, Slave Labours, an Unifinished Business of World War II, New York, 2003, p. 137
4 – Ibidem, p. 353
5 – Ibidem, p.130
6 – Ibidem, p.137
7 – Ibidem, p. 177
8 – G. Rickman, op. cit. p. 148
9 – Si veda al proposito La Svizzera alla berlina? Testimonianze e bilancio dopo la pubblicazione del Rapporto Bergier, a cura del GLSV (Gruppo di Lavoro Storia Vissuta”), Locarno 2006. Il GLSV è un’associazione apolitica e aconfessionale composta di cittadini svizzeri che hanno direttamente vissuto gli anni della guerra mondiale; ne fanno parte o ne hanno fatto parte – fra gli altri – ex ambasciatori, politici, alti funzionari e giornalisti
10 – “L’Indipendente” del 28 – 3 – 2007

 


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.