Le elezioni tenutesi lo scorso novembre 2012 negli Stati Uniti hanno portato alla ri-elezione del presidente uscente, Barack Obama. La vittoria sul candidato repubblicano Mitt Romney ha delineato un significativo cambiamento nelle preferenze degli elettori. Gli elettori “bianchi” e gli ispanici sono stati coloro che hanno maggiormente cambiato la propria scelta elettorale. Come si giustifica, quindi, la recente proposta di riforma della legge sull’immigrazione?
Le elezioni presidenziali di novembre: considerazioni generali sui cambiamenti nel voto
A novembre 2012, gli elettori statunitensi hanno espresso la propria preferenza fra il candidato repubblicano Romney e l’uscente presidente, nonché candidato per il Partito Democratico, Barack Obama. Quest’ultimo ha ottenuto nuovamente la fiducia degli elettori, ma si sono registrati dei significativi cambiamenti nelle tendenze di voto dell’elettorato.
Un primo dato fondamentale che emerge è che il Partito Repubblicano è uscito da queste elezioni come “too old and too male”, poiché ha ottenuto circa il 56% dei voti fra coloro che superano i 65 anni di età e il 52% fra gli uomini (solo il 44% fra le donne). Dalle analisi condotte a seguito della rielezione di Obama, è anche risultato che il 59% degli elettori bianchi (white voters) ha preferito dare il proprio voto ai Repubblicani, stabilendo il primato di percentuale più ampia di preferenze a un candidato non divenuto presidente. Obama, dunque, ha vinto le elezioni nonostante abbia perso, rispetto al 2004, circa il 19% dei voti fra gli elettori bianchi, dando seguito al trend negativo del 2008, quando la perdita ammontava al 12%.
D’altro canto, però, Obama ha ottenuto un’ottima percentuale di voto femminile, mantenendo il 55% dei consensi, così come era stato quattro anni prima. Allo stesso modo, il neo rieletto presidente si è aggiudicato la maggioranza dei voti di coloro tra i 18 e i 29 anni, soprattutto in Florida (uno degli stati chiave) e Arizona, sebbene in una percentuale complessiva leggermente minore rispetto al 2008.
Il dato più interessante, però, deriva dal voto delle minoranze etniche, vista la costante diminuzione percentuale dei cittadini bianchi sul totale degli elettori. Nel 2012, infatti, questi ultimi ammontavano al 72%, mentre le minoranze ispanica, afroamericana e asiatica registravano un costante aumento. Le statistiche affermano che proprio il contributo degli ispanici, i cosiddetti latinos, abbia portato Obama alla vittoria in stati importanti quali la già citata Florida e il Colorado, uno degli swing states. Nel primo caso, infatti, l’attuale presidente ha ottenuto il 60% delle preferenze fra gli ispanici, in crescita rispetto al 57% del 2008 e al 44% del 2004. Nel secondo caso le preferenze sono state del 74%, rispetto al 61% del 2008.
Nel complesso, quindi, i latinos hanno dato a Obama il 44% dei voti (un incremento di 8 punti percentuali rispetto al 2008) e gli hanno assicurato, insieme alle minoranze asiatica e afroamericana, la vittoria (1).
Perché il presidente rieletto debba tenere in grande considerazione gli ispanici è, dunque, ovvio. La comunità latinoamericana, infatti, con 53 milioni di persone rappresenta circa il 17% della popolazione statunitense ed è in rapidissima crescita: basti pensare, infatti, che è cresciuta del 43% solo nello scorso decennio. Nondimeno, vi è un consistente progressivo aumento di elettori ispanici in stati fondamentali quali Florida, Virginia, North Carolina, Ohio, Colorado e Nevada. Alcuni di questi stati sono a maggioranza repubblicana e, dunque, favorevoli alla conservazione delle tradizioni patriottiche e tendenzialmente ostili a un’apertura verso l’ingresso di nuovi immigrati nel Paese; tuttavia, la tendenza generale che si è avuta sino alle ultimi elezioni presidenziali vedeva gli ispanici votare principalmente per il Partito Repubblicano, più vicino ad alcuni valori di cui la comunità latinoamericana (e dunque in gran parte cattolica fervente) è portatrice. Ne è un esempio l’elezione presidenziale del 2004, quando Bush ottenne il 44% dei consensi fra i latinos; nelle ultime elezioni 2012, invece, Romney ha ottenuto solo il 27% dei loro voti.
Diverse sono le cause di questo cambiamento nel voto: da un lato, Romney aveva basato la sua campagna elettorale sulla necessità di aumentare la sicurezza del Paese e respingere quanti più immigrati possibile, vagliando l’ipotesi di allontanamento anche dei circa 11 milioni di clandestini che vivono stabilmente negli Stati Uniti. Dall’altro lato, gli ispanici hanno creduto nelle ricette di Obama per uscire dalla crisi economica e lavorativa, affermando che i democratici avevano maggiormente a cuore il loro voto e, dunque, erano più sensibili verso le questioni che li riguardavano.
Il Partito Repubblicano, perciò, se vorrà essere realmente competitivo nelle prossime elezioni presidenziali del 2016 dovrà cambiare il proprio approccio e rivolgersi maggiormente alla comunità latinoamericana: “It’s about simple math and basic moral decency”, così affermava acutamente già alcuni anni fa l’ex direttore politico di George W. Bush, Matt Schlapp, rispetto alla “questione ispanica”. Questa semplice dichiarazione, infatti, centra appieno due aspetti fondamentali, da un lato è una questione “matematica”, poiché il numero degli elettori di origine ispanica è in costante aumento (ed è plausibile che in alcuni stati, nel giro di 30 anni, diventi la maggioranza), dall’altro lato, è una questione morale, poiché i latinos voteranno chi sarà più attento alle loro esigenze. La stessa cosa è condivisa dall’attuale Senatore Marco Rubio, di origine ispanica e rappresentante dei Repubblicani, nonché possibile prossimo candidato per le elezioni presidenziali del 2016. Egli, infatti, ha affermato che è necessario far comprendere ai latinoamericani presenti negli Stati Uniti che il Partito Repubblicano condivide molti dei loro valori e, dunque, riguadagnare la fiducia fra l’elettorato che ha votato Obama.
La “Gang of Eight” e la proposta per una riforma della legge sull’immigrazione
Durante la sua campagna elettorale, Barack Obama aveva annunciato la volontà di riformare l’attuale legge sull’immigrazione, così da permettere ai clandestini che vivono stabilmente negli Stati Uniti di raggiungere un giorno la cittadinanza.
Su questo tema, infatti, c’è stato un dibattito acceso sin dal 2004, anno in cui l’allora Senatore democratico Ted Kennedy e il Senatore repubblicano John McCain iniziarono a lavorare per raggiungere un testo di riforma condiviso fra i due partiti. Da un lato, il democratico si impegnava a delineare un “pathway towards citizenship”, ovvero un percorso al termine del quale gli immigrati potessero ottenere la cittadinanza statunitense; dall’altro lato, il repubblicano si impegnava a organizzare un sistema che rendesse la frontiera con il Messico maggiormente controllata, così da intensificare la lotta all’immigrazione clandestina. Il testo subì vicende alterne e, dopo essere stato approvato alla Camera dei Deputati nel 2006, si arenò definitivamente nel 2008, con il cambio di Presidente.
Questo testo è stato recentemente rivisto, grazie al lavoro della cosiddetta “Gang of Eight”, ovvero un gruppo di otto esperti del Senato che hanno tentato di riformulare un testo che possa essere in linea con la situazione sociale e politica attuale, e che possa essere finalmente approvato. Nell’aprile 2013, in effetti, è stata presentata una proposta per una “comprehensive immigration reform” di circa 900 pagine, che prevede al suo interno 4 punti cardine: un’intensificazione nel controllo delle frontiere; un guest worker program, che preveda l’ingresso di una quota di lavoratori stagionali, così da mantenere attiva l’industria agricola (2) e permettere un’apertura verso gli immigrati che desiderano lavorare nel Paese; un sistema di sanzioni più pesante per coloro che fanno lavorare degli immigrati clandestini; infine, un percorso verso l’ottenimento della cittadinanza della durata di 13 anni. Quest’ultimo, nello specifico, prevedrebbe che gli immigrati clandestini imparino l’inglese, siano sottoposti a una specifica ricerca su precedenti penali, paghino le tasse e tutte le imposte connesse alle pratiche legali per la regolarizzazione della loro posizione nel Paese.
Quali future sfide politiche si aprono?
Da quanto sin qui detto, appare sempre più plausibile che una riforma della legge che disciplina l’immigrazione sia approvata. Questo perché il Partito Democratico ha basato parte della sua campagna elettorale proprio su tale aspetto, ma soprattutto perché il Partito Repubblicano non può più ignorare una realtà che lo circonda e che sta guadagnando, di anno in anno, un’importanza sempre maggiore.
Se, quindi, è plausibile una riforma dell’immigrazione, è d’altro canto vero che Obama dovrà fronteggiare altre problematiche inerenti a: economia, unioni di coppie omosessuali e riforma sanitaria. In effetti, di circa il 55% degli elettori che affermano che il sistema economico statunitense favorisce i ricchi, il 70% ha votato per Obama; un 39%, però, ha affermato che l’attuale sistema è giusto e non favorisce alcuna categoria specifica; di questi, il 75% ha votato per Romney.
Sulla questione delle unioni omosessuali, il 49% degli elettori si è detto favorevole all’introduzione di questa possibilità nel proprio stato di appartenenza, contro un 46% che si è espresso contro questa opzione.
La riforma sanitaria, infine, è quella che spacca in due l’elettorato: solo il 50%, infatti, afferma di volerla, mentre il restante sarebbe favorevole a una sua revisione.
Queste brevi statistiche ci dicono, quindi, che l’opinione dell’elettorato è molto eterogenea e, in alcuni casi, praticamente spaccata a metà. Tutto ciò suggerisce un cammino presidenziale non semplice per Obama, poiché le divisioni che si sono riscontrate nei recenti periodi non sono mai state così grandi. Nondimeno, il dato più interessante riguarda la spaccatura fra coloro che ritengono George W. Bush responsabile dell’attuale crisi economica, e chi vede in Obama colui che, pur non essendone la causa diretta, non è stato in grado di fronteggiare le problematiche della nazione, né di dare risposte concrete a coloro che hanno perso il lavoro e vivono sulla soglia dell’indigenza.
Ecco perché è molto probabile che il presidente tenti di dare delle risposte alla crisi economica, cosa che in parte sta facendo con la revisione del calcolo del PIL nazionale. Allo stesso tempo, è plausibile che la riforma sanitaria sia revisionata, per far fronte alle opinioni di un elettorato discordante.
*Eleonora Peruccacci è collaboratrice di Eurasia e responsabile dell’area anglosassone del CeSEM
Fonti:
http://it.euronews.com/2013/01/29/usa-immigrazione-l-ispanico-american-dream/
http://elections.nytimes.com/2012/ratings/electoral-map
http://www.nytimes.com/video/2013/01/29/politics/100000002032216/obama-speaks-on-immigration.html
http://immigration.about.com/od/usimmigrationhistory/f/What-S-In-The-Comprehensive-Immigration-Reform-Bill.htm
(1) Il 10% dei votanti è ispanico e il 71% di essi ha votato Obama; i cittadini di origine asiatica rappresentano il 3% della popolazione complessiva e per ¾ hanno votato a favore del candidato democratico; allo stesso modo, gli afroamericani, 13% della popolazione USA, per il 93% hanno dato la loro preferenza ai Democrats.
(2) La maggior parte dei lavoratori dell’industria agricola, soprattutto nelle piantagioni di tabacco, sono di origine ispanica o, più in generale, immigrati.
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