A proposito del tentativo di golpe in Turchia, “Eurasia” ha sentito l’opinione di Aldo Braccio, esperto di questioni turche e redattore della rivista.
La Turchia da tempo era nel mirino del “terrorismo”. C’era da attendersi questo tentativo di golpe? La Turchia non è nuova a colpi di Stato militari, ma quali sono le specifiche caratteristiche di quello appena fallito?
La Turchia ha effettivamente subito e continua a subire cruenti attentati provenienti dall’estremismo salafita legato a Daesh e dal separatismo curdo; il governo turco ha significativamente contribuito al peggioramento della situazione con la sua schizofrenica posizione e le sue gravissime responsabilità in ordine allo scatenamento della barbarie in Siria.
Per quanto riguarda il tentativo di colpo di Stato della notte fra il 15 e il 16 luglio, i primi dati successivi al colpo di Stato delineano un quadro abbastanza chiaro: se la responsabilità di Fethullah Gülen come organizzatore non risulta per ora direttamente provata, la contiguità alla NATO e agli Stati Uniti d’America degli alti ufficiali turchi arrestati è indiscutibile.
Erdal Öztürk – comandante della terza armata dell’esercito – e Adem Huduti – comandante della seconda – provengono da assidue frequentazioni nell’ambito atlantico: il primo aveva anche incontrato in visita ufficiale il Presidente Obama, nel 2006 era capo dell’intelligence turca e tra il 1993 e il 1996 è stato responsabile militare in Israele; il secondo ha passato anni in Italia al servizio delle forze NATO nel sud dell’Europa.
Il generale d’aviazione Bekir Ercan Van operava nella base NATO di Incirlik; il generale dell’Aeronautica (ex capo di stato maggiore) Akin Öztürk aveva in particolare legami con alti ufficiali italiani conosciuti nell’ambito NATO; aveva operato nello scacchiere jugoslavo (Bosnia, per la precisione) negli anni Novanta e aveva conseguito onorificenze e riconoscimenti dalla NATO.
La propaganda filogovernativa parla di macchinazione orchestrata dall’America dal ricco religioso Fethullah Gülen. È credibile tutto questo? Si tratta cioè di uno scontro tra “ideologie islamiche”, oppure è solo un paravento per non citare direttamente qualcun altro?
Il ministro del Lavoro turco, Soylu, ha coraggiosamente ed esplicitamente nominato gli Stati Uniti come responsabili del tentativo di colpo di Stato, mentre il Capo del governo Yıldırım e il Presidente Erdoğan hanno in prima battuta accusato Gülen e, di conseguenza, chi indirettamente lo sostiene. Non si tratta, come magari qualcuno maliziosamente cerca di far credere, di uno scontro ideologico sorto all’interno del mondo islamico, ma di un attacco alla sovranità – o ai residui di sovranità – di uno Stato.
Da più parti si insinua che si tratterebbe di un golpe-farsa, ideato o incoraggiato e poi sfruttato dallo stesso Erdoğan per poi incassarne i dividendi una volta sventato. Ma a me pare che i golpe-farsa siano quelli “all’italiana”, come quelli di De Lorenzo o Borghese, i quali effettivamente portarono ad un rafforzamento del dominio atlantista nel nostro Paese.
Concordo. Aggiungo che a quest’idea del golpe-farsa e da operetta che sta prendendo piede su certi media si accompagna – ed è un’abitudine consolidata della propaganda occidentale – ad una sorta di personalizzazione dello scontro in atto: una specie di “Erdoğan contro tutti”, in cui l’unica contrapposizione contemplata è quella fra il “sultano” aspirante dittatore (per alcuni anzi dittatore già bello e fatto) e i sudditi repressi in cerca di democrazia e di modernità. Analogo procedimento è in corso nei confronti dello “zar” Putin… Più in generale c’è sempre un “cattivo” da indicare come parafulmine, affinché faccia perdere le tracce delle ragioni più profonde di uno scontro.
Come ne escono – al di là delle roboanti affermazioni post-golpe – le relazioni turco-americane? Si sa dell’arresto del capo della base di Incirlik, perché, tra le altre cose addebitategli, sarebbe il responsabile dell’abbattimento del jet russo…
Le relazioni turco-americane escono certamente indebolite, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica, che a maggioranza non ha mai simpatizzato per i potenti alleati-padroni d’Oltreoceano. Sottolineo un particolare curioso che sul Corriere della Sera di martedì 19 luglio l’”insospettabile” Paolo Mieli si è permesso di richiamare: la solidarietà di Obama (e della Merkel) al governo turco è giunta CON GRAVE RITARDO, E SOLO QUANDO È APPARSO CHE IL COLPO DI STATO ERA FALLITO.
Successivamente sia il Presidente Obama che il Segretario di Stato si sono invece affrettati a criticare la reazione turca al tentativo di golpe. “La NATO vigilerà sul comportamento democratico della Turchia”, ha letteralmente affermato Kerry! Sappiamo che la vigilanza democratica dell’Alleanza Atlantica è molto stretta e appassionata; certamente non sarà facile reclamare spazi di sovranità e di libertà per i Turchi.
La Turchia ospita basi e personale della Nato, ma a differenza dell’Italia non è ridotta ad un suo puro zerbino, ed anche stavolta l’ha dimostrato. Cambierà qualcosa nei rapporti con la Russia oppure è troppo presto per parlarne? Guarda caso – come mi fa notare l’amico Giorgio Vitali – solo all’inizio di luglio la Russia stava per ottenere il permesso di utilizzare la medesima base di Incirlik, e sempre, guarda caso, erano arrivate le “scuse” turche alla Russia per l’abbattimento del jet.
Il cambio di governo Davutoğlu/Yıldırım ha portato ad un cauto ma significativo riposizionamento della Turchia nei confronti della Russia e della questione siriana, riposizionamento che i fatti drammatici del 15/16 luglio hanno consolidato; il prossimo (prima settimana di agosto, a quanto è stato annunciato) incontro fra Erdoğan e Putin sarà molto importante per definire il cammino della Turchia nello scenario vicino-orientale. Faccio riferimento anche a quanto espresso con chiarezza da Alexandr Dughin in questa occasione: http://www.eurasia-rivista.org/retroscena-del-tentativo-di-colpo-di-stato-in-turchia/22680/
E come si evolverà – se si evolverà – l’impegno turco nella cosiddetta “crisi siriana”?
La questione siriana – con il suo tragico scenario di distruzione e di morte – è il vero banco di prova di un cambiamento di rotta, ed è un segno miracoloso che questa piccola e sventurata nazione abbia ancora la forza di resistere. Ora almeno un senso di opportunità potrebbe favorire un nuovo e diverso ruolo turco: se alla base dell’intervento anti-Assad c’era la previsione dell’incipiente caduta del “regime”, la valutazione attuale dovrebbe aver fatto comprendere che tale previsione si è rivelata errata, mentre l’esperienza di Daesh nell’area siriano-irachena sembra obbiettivamente volgere al termine. Rinunciare a ogni ingerenza per un tracotante “cambio di regime”, ecco quello che il governo turco dovrebbe riconoscere: il popolo turco del resto è sempre stato nettamente contrario alla politica di intervento nello scenario siriano, su questo non c’è dubbio, e questo può aiutare. Le parole di Yıldırım delle scorse settimane fanno ben sperare.
Veniamo alle questioni interne. Per quanto riguarda l’epurazione della Magistratura, c’è poco da ridere se si pensa che in Italia da oltre vent’anni si fa “politica” a colpi di “inchieste”. Ci sono delle ragioni nell’operato di Erdoğan nei confronti di certi magistrati che possono dare conto di un comportamento che, letto con gli occhiali della mentalità democratica, è visto unicamente come “dispotico”?
L’alta magistratura in Turchia ha sempre costituito l’altro pilastro (oltre alle Forze Armate, voglio dire) della lobby “laico-atlantista”. Sono stati messi al bando nel dopoguerra un’infinità di partiti politici, tutti o di ispirazione religiosa (islamica, ovviamente) o espressioni della comunità curda – entrambe le categorie sono invise alla mentalità kemalista. Si pensi poi al vergognoso insabbiamento operato nello scorso aprile dalla Corte d’Appello riguardo al processo Ergenekon, dal nome dell’organizzazione accusata di golpe e comprendente anche alti ufficiali dell’Esercito: tutte le condanne inflitte nel 2013 in primo grado sono state cancellate, perché le intercettazioni, le perquisizioni e financo le deposizioni utilizzate nel processo sono state considerate illegali.
Adesso siamo alla “resa dei conti”. Inizialmente Erdoğan, com’è d’uso in questi frangenti, la spara grossa, mandando a morte migliaia di congiurati. Ma credo si tratti di carte da giocare con calma sul tavolo delle trattative con tutti gli attori coinvolti, interni ed esterni.
Naturalmente non si vuol dire che tutti gli ordini di arresto o le destituzioni sancite in questi giorni dall’esecutivo turco siano comunque giustificati, o che eccessi dispotici non siano avvenuti: le singole situazioni vanno serenamente e obbiettivamente valutate, ed è anche da osservare che certe condanne e provvedimenti presi negli ultimi anni nei confronti dei giornalisti lasciano perplessi.
Alla fine in Turchia ha vinto la “democrazia” come titolano pappagallescamente le nostre superficiali testate giornalistiche oppure la “lezione” è ben diversa? Chi ha vinto e chi ha perso?
Ora plaudono – come sempre – alla “democrazia”, ma sono convinto che buona parte dei nostri mezzi di comunicazione di massa avrebbe – dopo qualche riserva iniziale – velocemente accolto di buon grado la vittoria dei golpisti, nel segno del fine che giustifica i mezzi… Le Forze Armate avrebbero di nuovo salvato la nazione dall’oscurantismo islamico e – ecco la personalizzazione di cui si diceva – dalla mania di onnipotenza del “sultano”.
La realtà, come abbiamo visto è ben diversa, e per una volta sembra determinare svolte positive e importanti di cammino verso la riconquista della sovranità: se fosse così avrebbe vinto la Turchia e perso questo “Occidente” a stelle, strisce e colpi di Stato: questo è quello che ci auguriamo.
(Intervista a cura di Enrico Galoppini)
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