Christian Bouchet: Jean Géronimo, chi è lei?
Jean Géronimo: sono dottore e ricercatore in economia, specialista ed esperto di questioni relative al pensiero economico e strategico russo, presto la mia attività di ricerca presso l’università Pierre Mendès France di Grenoble II e contribuisco frequentemente a riviste e siti di geopolitica francesi, russi (e della CSI) ed italiani.
Cosa l’ha portata a scrivere “Il Pensiero strategico russo fra riforme e inerzia”?”
Dai tempi della mia tesi di dottorato intitolata “Ruolo e legittimità del Partito comunista nella regolazione del sistema sovietico” ho letto e appreso moltissimo sulla “questione russa”. Ho avuto occasione di conoscere sovietologi rinomati, grandi intellettuali francesi ed esperti di Russia. Ciò ha stimolato in me grande interesse e la curiosità di capire la società nuova che nasceva sotto i nostri occhi. Ho provato a svelare ciò che altri non hanno voluto o potuto fare: l’implicito e i giochi nascosti del “ritorno russo”, così come le aree di interesse della sua strategia internazionale. Ho voluto anche mostrare la sopravvivenza di pratiche sovietiche nella condotta della politica estera e strategica russa. Per esempio, il ruolo persistente della forza nucleare nel posizionamento internazionale del paese.
A mio parere, il crollo dell’URSS, nel Dicembre 1991, non costituisce la morte dei valori “sovietici”; questi permangono nei riflessi, orientamenti e comportamenti dei dirigenti della Russia attuale. Tali valoro sono profondamente ancorati nella cultura e nell’inconscio immaginario del popolo russo. Da ciò l’esistenza di “inerzie sovietiche”.
Da dove nasce questo interesse peculiare per la Russia?
E’ un interesse maturato da tempo, dal mio ultimo anno di scuole superiori presso il liceo Champollion di Grenoble negli anni ’80, ai tempi dell’URSS. Presi allora coscienza del ruolo centrale della Russia sovietica nella difesa di un’ideologia che, alla base, è nobile e umanista. Ricordo certi slogan leninisti dell’Unione sovietica, “in difesa dei popoli oppressi” e “avanguardia del proletariato mondiale” anche se, a mio parere, l’ideologia comunista è stata tradita e deviata dai suoi obiettivi iniziali.
In seguito, tanto la mia tesi di dottorato del 1998 sull’economia sovietica, quanto l’incontro con specialisti della Russia, mi hanno portato ad analizzare la configurazione post- Guerra fredda dei rapporti di forza internazionali. Mi sono interrogato in particolare sull’idea del configurarsi di una Guerra tiepida, forma attenuata della Guerra fredda, ancorata nella periferia russa e centrata su specifiche variabili (controllo di risorse, circuiti energetici e zone economiche strategiche; estensione delle zone d’influenza mediante soft power ; costruzione di spazi di sicurezza, etc.).
Ma perché mai difendere la Russia?
La Russia è un mondo a parte, il cui comportamento è spesso mal compreso perché, nella maggior parte dei casi, percepito con degli a-priori negativi ereditati dal passato; essi sono ripresi attualmente da una ideologia neo-liberista a vocazione egemonica. Quest’ultima, dopo la famosa opera del 1991 di F. Fukuyama, è persuasa d’aver definitivamente vinto la battaglia ideologica della Guerra fredda contro “l’asse del male” comunista e, per tale ragione, giunge alla concezione della “fine della storia”: il liberismo sarebbe ormai la nostra unica salvezza.
Tuttavia, vista dal prisma occidentale, la Russia resta una minaccia potenziale, desiderosa di ritrovare il proprio spazio imperiale. E’ sorta pertanto la preoccupazione americana di “contenere” il suo ritorno. In questo delicato contesto, Vladimir Putin ha avuto l’enorme merito di far risollevare la Russia, resa estremamente fragile dalla transizione disastrosa del post-comunismo. Di fronte all’unilateralismo della politica americana ed alla sudditanza europea, ha restituito una dignità ed una voce al paese e anche se non tutto procede alla perfezione, egli ha ripreso l’idea della “grandeur” russa.
Il dissolvimento dell’URSS, IL 25 Dicembre 1991, costituisce secondo lei “la più grande catastrofe geopolitica del secolo”?
A mio parere si tratta di una data centrale e determinate per l’avvenire del mondo. Tale rottura fu una catastrofe da un duplice punto di vista.
Anzitutto lo fu per le genti, i popoli, i movimenti sociali e politici sorti in difesa degli ideali egalitari ed assetati di umana giustizia. Il movimento operaio si ritrovò traumaticamente orfano. Questa “caduta finale” ha ucciso un sogno, ha troncato delle spinte ideali; la gente non ha più qualcosa in cui credere e ha perso i propri punti di riferimento. Tale configurazione ha favorito l’ascesa degli estremismi e dell’instabilità a livello globale.
Si è inoltre trattato di una catastrofe per gli equilibri geopolitici planetari: il crollo dell’URSS ha permesso da un lato la consacrazione dell’unilateralismo armato dell’iperpotenza americana e dall’altro ha rinforzato l’asimmetria ideologica del Nuovo Ordine Mondiale. La potenza sovietica costituiva l’unico effettivo contropotere alla potenza americana ed era così il “catenaccio” dei grandi equilibri internazionali. Il suo dissolvimento ha favorito l’emergere di una nuova forma di conflittualità, “periferica”, nel mondo con l’affacciarsi di micro-crisi nazionaliste, religiose ed etniche. Lo sviluppo del radicalismo religioso, tanto cristiano quanto islamico, trova qui origine. La gente è alla ricerca di valori alternativi ai grandi modelli ideologici, per strutturare la propria storia ed identità. Possiamo vederne oggigiorno gli effetti…
Cosa pensa dei possibili disaccordi fra Medvedev e Putin?
Non vi sono disaccordi di fondo, ma di forma. I media occidentali hanno una visione molto “da marketing” della Russia e troppo spesso obsoleta, nutrita da vecchi stereotipi anticomunisti. E’ normale assistere oggi all’affermazione politica del presidente Dimitri Medvedev, la quale provoca delle frizioni con il suo primo ministro Vladimir Putin. Ciò è un bene per la Russia e dimostra anche che, checché se ne dica, esistono dibattito e pluralismo nel paese, anche ai più alti livelli della sua direzione politica. La dialettica fra due personalità di questo tipo, se resta entro soglie “tollerabili”, promuove il progresso della democrazia nel paese. Entrambi questi leader hanno come progetto centrale quello della riaffermazione della Russia sulla scena mondiale. Vogliono anche farne un paese moderno, una democrazia politica ed economica credibile, dando così una chance a tutti i russi. Entrambi mirano a riequilibrare l’ordine mondiale a favore di un asse eurasiatico, di cui farebbero parte Cina, Europa e Russia. Da cui la volontà dei dirigenti russi di creare strutture economiche e progetti di sicurezza comuni con l’Europa, così come estendere gli assi di cooperazione con la Cina. Sanno che un simile riequilibrio implica la messa in discussione dell’egemonia americana.
Cosa ne pensa del recente riavvicinamento fra NATO e Russia?
Un tale riavvicinamento è meramente formale e d’altronde è guidato dall’amministrazione americana. Si tratta di un riavvicinamento “strategico” nella misura in cui soddisfa, momentaneamente, gli interessi di entrambe le parti (scudo anti-missile ABM, trattato di riduzione nucleare START, ripresa del consiglio NATO/Russia, cooperazione militare in Afghanistan).
Tutto si gioca in Asia centrale; questa regione trabocca di risorse energetiche e presenta un interesse geopolitico evidente, in quanto parte integrante del vecchio Impero sovietico. Attualmente, la guerra in Afghanistan minaccia gli interessi americani e russi nella misura in cui favorisce lo sviluppo del “terrorismo internazionale”, del business della droga e della “minaccia islamista”, secondo la terminologia ufficiale. Per stabilizzare la regione, messa in pericolo da crescenti rivolte nazionaliste ed etno-religiose, tutte le parti in causa devono reciprocamente comprendersi e farsi delle concessioni. Si tratta di un patto tacito, che spiega l’apertura dello spazio russo agli occidentali e l’installazione di basi americane o NATO nello spazio periferico russo, nel nome della lotta al “terrorismo” o alle “mafie della droga”, per esempio. La Russia teme un infiammarsi della regione e, in questo senso, la presenza militare occidentale è utile per la sua sicurezza – la qual cosa oltretutto fa risparmiare Mosca sulle spese militari. Ma la verità è che l’accerchiamento continua.
L’accerchiamento?
Sì, da un lato, sin dalla fine della Guerra fredda, la NATO ha perseguito l’obiettivo di estendersi all’area post-sovietica; obiettivo sancito dall’installazione di basi militari nella regione. D’altro canto, il Partenariato per la pace (PPP) della NATO permette ora una forma di controllo soft sulle ex-repubbliche sovietiche, mediante la loro partecipazione a programmi comuni. Infine, l’amministrazione americana persegue la sua “cooptazione” degli Stati pivot dello spazio ex-sovietico, suscitando la collera e l’incomprensione di Mosca, storicamente legata al suo “vicinato straniero” che considera come zona di proprio dominio riservato. Questo accerchiamento sempre più serrato attorno a Mosca tende, nel lungo periodo, a istigare una forma di conflittualità latente, che non aspetta altro che esplodere. La Russia è dunque condannata ad una veglia strategica permanente, nel cuore dell’Eurasia.
L’idea, avanzata dal geopolitico yankee Parag Khanna, di un mondo futuro dominato da tre grandi potenze (USA, Cina, Russia) e nel quale la Russia non avrà più un grande peso, le pare credibile?
Non condivido questa visione parziale e semplicista, che non tiene conto della realtà delle alleanze. Il problema è più complesso.
Anzitutto, la Cina e l’Europa fanno parte delle alleanze geostrategiche potenziali della Russia (l’asse eurasiatico), si tratta dunque di potenze che potrebbero teoricamente mobilitarsi contro l’America. In futuro, la Russia peserà ancora di più grazie all’arma energetica, che resta un fattore di dipendenza cinese ed europea nei suoi riguardi.
Ricordiamo anche che l’Europa politica non esiste e non esisterà in un futuro prossimo, tanto più che non dispone di strutture militari proprie e di una strategia di sicurezza consolidata. Invece la Russia è coinvolta in un processo di recupero economico e tecnologico molto spedito, che rinforzerà le basi della sua potenza e dunque il suo status internazionale.
Infine, l’America è in declino, giacché si trova in sempre maggiore competizione con le nuove potenze emergenti, sul piano economico e militare – e vede la propria dipendenza energetica accrescersi pericolosamente, per non parlare dell’abissale deficit esterno. In quanto emittente della valuta internazionale, che le conferisce un forte potere politico ed economico, l’America non è subordinata alle stesse regole degli altri paesi e manifesta al riguardo una certa noncuranza. Ma essa sopravvive proprio grazie al dollaro.
Allora, la Russia potrà un domani diventare attore primario della politica internazionale?
A breve la Russia peserà maggiormente sulla governance mondiale ed approfitterà della sua ascesa come potenza per riuscire nei suoi riassestamenti di alleanze ed accrescere la propria influenza nel nuovo ordine internazionale. Essa ha due pezzi fondamentali da giocare sulla scacchiera eurasiatica, contro la potenza americana, cinese ed europea: l’indipendenza energetica e la potenza nucleare. Inoltre, la sua crescita economica resta elevata, superiore alle altre economie occidentali e sempre più trainata dal suo sviluppo tecnologico – che ne riduce il gap rispetto alle economie avanzate.
Il chiaro obiettivo della Russia moderna, ripreso dal presidente Medvedev, è l’abbandono del suo stato di economia di rendita, che fonda la forza della propria crescita sulle sole risorse energetiche. Tale configurazione rinforza l’autonomia della sua strategia politica sulla scacchiera mondiale. La Russia ha dunque tutte le carte in mano per tornare ad essere a breve un attore primario sulla scena internazionale. Essa vi avrà maggior peso. Inevitabilmente.
Traduzione di Giacomo Guarini
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