La Somalia ha vissuto gli ultimi venti anni senza un governo effettivo, amministrata dai locali signori della guerra e distrutta da un tremendo conflitto civile. Si tratta insomma di un “Stato fallito” da ricostruire: ai problemi economici e istituzionali si affiancano e si aggiungono quelli della sicurezza del Paese. Infatti il gruppo ribelle somalo al-Shabaab non è ancora stato sconfitto e mira ad approfittare del vuoto di potere, giacché il controllo del governo federale dell’attuale presidente Hassan Sheikh Mohamud non va oltre la periferia di Mogadiscio.
Lo scorso agosto ad Addis Abeba si sono svolti i negoziati fra le autorità centrali della Somalia e quelle della regione autonoma dell’Oltregiuba (nota come Jubaland) per definire un accordo comune che possa porre finalmente fine al periodo d’instabilità della città di Chisimaio. Il suo porto costituisce uno dei principali elementi d’importanza strategica della relativa regione, poiché permette commerci leciti e illeciti nel settore della pesca e del commercio del carbone vegetale e, soprattutto, quelli riguardanti gli aiuti umanitari. Questa condizione ha attirato da sempre gli interessi di gruppi politici e clan locali, e in particolare del gruppo gihadista Harakat al-Shabaab al-Mujahideen, o semplicemente al-Shabaab.
Dopo aver conquistato Chisimaio nel settembre del 2006, stabilendovi la seconda base più importante dopo Mogadiscio, al-Shabaab ha sviluppato numerosi traffici, soprattutto rubando gli aiuti umanitari e gestendo le attività della pesca di frodo. Il successivo intervento dell’Etiopia in Somalia nel dicembre dello stesso anno ha interrotto il controllo sulla città da parte del gruppo gihadista, costretto a una disordinata fuga nelle vicine aree rurali. Tuttavia il governo etiope non ha saputo garantire un adeguato controllo della regione e la lotta di potere fra i clan locali ha favorito clamorosamente il gruppo islamista, che è ritornato a Chisimaio nell’agosto del 2009. Negli anni successivi, la città è diventata la loro nuova roccaforte somala sino al settembre del 2012, quando è stata liberata grazie all’intervento del Kenya, sostenuto militarmente dagli Stati Uniti e dalla Francia, e al sostegno di alcune milizie locali ostili alle forze gihadiste[1].
Si trattò di una pesante sconfitta per al-Shabaab, che dovette abbandonare le proprie roccaforti urbane dell’Oltregiuba, ripiegando in aride aree rurali non ancora controllate dalle forze governative e dai caschi verdi dell’AMISOM (African Union Mission in Somalia). Ciononostante, la minaccia derivante dalle loro attività è ancora presente e concreta, come dimostrato sia dalle sporadiche ma sanguinose azioni terroristiche compiute solitamente a Mogadiscio sia, soprattutto, da attentati “spettacolari” come quello di Nairobi dello scorso settembre, realizzato per vendicare l’intervento militare keniota in Somalia, e che ha causato oltre 60 morti e centinaia di feriti[2].
Dopo la caduta di Chisimaio, il gruppo ha perso di fatto il controllo delle attività illecite collegate ai porti sulla costa meridionale e, soprattutto, si è ritrovato sfaldato sul piano organizzativo, dato che aveva perso gran parte dei militanti a causa di una feroce guerra intestina. Al momento, il capo è Moktar Ali Zubeyr (noto anche come Ahmad Abdi Godane), il quale pare si sia impegnato soprattutto a reprimere ogni tipo di opposizione all’interno dello stesso gruppo, generandone involontariamente la progressiva disgregazione. Questa condotta si è riflessa anche negli aiuti che tradizionalmente la rete del gihadismo internazionale riusciva a consegnare in Somalia ad al-Shabaab, giacché sono drasticamente diminuiti. A sua volta, ciò ha spinto i dirigenti del gruppo ad approfittare dell’impostazione delle note “tasse rivoluzionarie” nelle aree controllate per sostenere le proprie unità combattenti, ma ciò ha causato la più feroce ostilità da parte delle popolazioni civili.
L’unica possibilità di sopravvivenza economica del gruppo islamista si basa sul commercio del carbone. Secondo un rapporto dell’ONU, al-Shabaab ha intascato più di 25 milioni di dollari statunitensi dal commercio del carbone nel 2011: le esportazioni illegali di carbone valgono più di 360 milioni di dollari statunitensi sul mercato internazionale, che per il gruppo gihadista sono necessari per finanziare le proprie attività. L’ONU, pertanto, ha annunciato l’intenzione di bloccare il flusso di denaro necessario ad al-Shabaab, sollecitando i Paesi del Vicino Oriente a mettere fine al commercio multimilionario di carbone che lo finanzia. Infatti, proprio i Paesi del Golfo Persico (in particolare gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita) sono i principali importatori del carbone somalo, nonostante il divieto del Consiglio di Sicurezza[3].
Nel frattempo, a Bruxelles si è svolto un incontro internazionale che ha visto la partecipazione proprio dei Paesi del Golfo Persico e dell’Unione Europea, di Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone, oltre alle principali organizzazioni internazionali. In occasione dell’incontro è stato approvato un programma da attuare entro il 2016, che prevede la donazione di 1.800 milioni di euro che serviranno a stabilizzare la Somalia e a ripristinarne l’economia. Sebbene ci siano numerosi interessi che ruotano intorno alla Somalia (petrolio e non solo), ci si è nuovamente occupati della “questione somala” quando si è diffuso al largo del golfo di Aden il fenomeno della pirateria, una delle principali fonti di finanziamento di al-Shabaab. Pertanto è stata messa a punto una missione marittima (operazione Atalanta) per arginare il fenomeno, che mette seriamente a rischio il flusso di commerci nei mari al largo del Corno d’Africa: soprattutto quello del petrolio proveniente dal Golfo Persico.
[1] Anon., Troops lay siege to Somali rebel bastion, “Al Jazeera”, 28 settembre 2012.
[2] Anon., Somalia’s al-Shabab claims Nairobi Westgate Kenya attack, “BBC”, 22 settembre 2013.
[3] K. Manson, UN pushes Gulf to cut off al-Shabaab economic lifeline in Somalia, “Financial Times”, 13 settembre 2013.
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