L’isola e il continente nel periodo colombiano (XV-XIX)

Il geografo francese Yves Lacoste definisce la geopolitica come «quella situazione nella quale due o più attori politici si contendono un territorio»1 e, inoltre, come lo studio dei condizionamenti geografici sull’azione dello Stato. Si può verificare facilmente e con un caso esemplare il condizionamento del fattore geografico e del fattore interpretativo. La Francia fu unificata prima della Germania poiché la rete fluviale francese si sviluppa secondo una forma radiale che ha come epicentro Parigi. Ciò ha permesso ad un centro di potere con sede a Parigi di estere il proprio potere e di assorbire le altre entità politiche presenti nello spazio francese; tale unificazione è avvenuta durante la moderna epoca postmedievale, poiché si erano registrati degli sviluppi tecnologici che resero possibile l’unificazione politica di territori più ampi rispetto alle dimensioni delle entità politiche del Medio Evo. L’unificazione della Germania da parte della Prussia, invece, non avvenne in contemporanea a quella francese poiché la rete fluviale tedesca si sviluppa secondo una forma parallela, che sfavorisce l’unificazione politica. La Prussia riuscì ad organizzare intorno a sé tutte le varie entità politiche tedesche solo in seguito ad ulteriori sviluppi tecnologici, in particolar modo di tipo ferroviario, che permisero alla Prussia di ovviare alle proprie costrizioni geografiche.

Lacoste ha successivamente arricchito la propria definizione aggiungendo una componente interpretativista, secondo cui la conoscenza approfondita del proprio spazio geografico e del modo in cui l’attore politico interpreta il proprio spazio influisce nel modo in cui tale attore politico orienta la propria azione nel mondo. È possibile anche qui mostrare la cosa attraverso un caso esemplare. Intorno al XV secolo, Inglesi e Cinesi disponevano di tecnologie piuttosto simili in ambito navale. Tuttavia, gli Inglesi, come scrisse Carl Schmitt, passarono dall’essere un «popolo di allevatori di pecore» all’essere un «popolo di schiume di mare e corsari, [di] figli del mare»2, laddove invece i Cinesi, come rileva Friedrich Hegel, rimasero un popolo che vedeva il mare come il luogo in cui semplicemente finiva la terra3. L’Inghilterra si tramutò in una potenza marittima e fondò un impero transoceanico, mentre la Cina rimase una potenza continentale, senza rivoluzionare la propria immagine dello spazio, nonostante il livello di sviluppo tecnologico navale fosse, in Cina e in Inghilterra, molto simile.

La rivoluzione spaziale inglese del XV è descritta da Schmitt come una trasformazione che ha reso l’Inghilterra «un’isola», un territorio che «divenne soggetto e centro della elementare svolta della terraferma verso l’alto mare […] erede di tutte le energie marittime allora scatenate […] divenne isola in un senso nuovo e fino ad allora sconosciuto»4, distaccando «il suo sguardo dal continente» e anzi alzandolo «sui grandi mari del mondo»5, e generando il conflitto tra Mare (l’isola inglese, potenza marittima) e la Terra (gli Stati europei, potenze continentali).

Anche il contemporaneo di Schmitt Antonio Zischka emette un giudizio simile, affermando che «durante l’epoca romana e nel Medio Evo, l’Inghilterra non ebbe importanza alcuna» ma che con la Guerra dei Cent’Anni (1337-1453), essa «recis[e], per così dire, il cordone ombelicale» che la legava all’Europa e, così facendo, «la sua natura insulare si affermò nettamente»6. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Johann Von Leers scrive che «in tutto il Medioevo le isole britanniche hanno avuto poca importanza per la storia dell’Europa», allorquando in seguito alla conquista normanna (1090), gli Inglesi «valorizzarono l’insularità inglese, il vantaggio di essere in una terra senza vicini e inattaccabile, come politica di potenza»7.

L’inglese e contemporaneo di questi autori Halford Mackinder definisce tale trasformazione spaziale come una trasformazione che aprì un periodo storico diverso rispetto a quello medievale, il «periodo colombiano». Questi è un periodo storico in cui le «scoperte colombiane» resero «il Nord Atlantico […] un bacino arrotondato» e in cui «la Gran Bretagna», per via della «posizione centrale» che cominciò a godere in tale bacino, unita alla «posizione insulare […] al largo del grande continente […] gradualmente divenne la terra centrale, piuttosto che quella marginale, del mondo»8. Ottenuta questa centralità nel bacino atlantico, Mackinder sottolinea come l’Inghilterra ottenne il «predominio sul mare», ovvero riuscì a dominare, grazie alla propria flotta, alla propria potenza economica e alle varie basi navali e transoceaniche che gettò lungo tutta «la grande strada dell’oceano»: l’Inghilterra divenne una potenza marittima che, nei confronti del grande continente da cui si era staccata donandosi al mare, mantenne la «politica tradizionale [di] stipulare alleanze con Stati minori in opposizione ad ogni grande Stato che minacciava di sconvolgere l’equilibrio di potenza in Europa»9.

Claudio Mutti, nel ricostruire in che cosa fosse consistita la politica dell’equilibrio di potenza, scrive che essa fosse più uno «scaglia[re] le nazioni europee le une contro le altre» nell’ottica di «impedire l’unificazione politica dello spazio continentale»10 (e di qui la scelta inglese di sostenere la nazione debole contro la nazione forte) che non in una vera e propria difesa dei deboli. Tiberio Graziani ha riassunto la politica di potenza inglese verso il continente tenuta durante il periodo colombiano come una «secolare politica di potenza volta a contenere e vanificare le intese di amicizia e/o di integrazione tra le nazioni del continente europeo»11. Tale era la strategia inglese perché, scrive Jean Thiriart, «la formazione di un’Europa unificata […] porterebbe alla creazione di una forza in grado di invaderla»12.

Affermando la propria insularità, la strategia generale inglese era consistita quindi nel mantenere il proprio predominio marittimo e, contemporaneamente, mantenere il continente in una situazione di divisione. Tale strategia è stata generalmente definita dalla letteratura anche come del «l’isolazionismo», ma è bene specificare che essa non deve essere equiparata, per esempio, alla politica di chiusura del Sakoku giapponese, con il quale l’Impero dei ciliegi in fiore (anch’esso un gruppo di isole che affianca un continente) intendeva minimizzare ogni tipo di contatto con le altre potenze. L’isolazionismo inglese fu invece una vera e propria politica di potenza, un isolazionismo che «fu invero molto estroverso»13. Durante il periodo colombiano, la potenza egemone fu così l’Inghilterra, l’isola egemone nei confronti del continente.

L’isola e il continente nel periodo postcolombiano (XX-)

Tra il XIX e il XX si registrarono tuttavia dei cambiamenti e sviluppi tecnologici che, come quelli che avevano causato il passaggio dal mondo medievale a quello colombiano (che si era caratterizzato sia per l’apertura europea verso il mondo sia per l’unificazione delle microstrutture politiche medievali in Stati moderni), portarono alla nascita del mondo postcolombiano, in cui non vi furono più terrae nullius e caratterizzato dall’unificazione di imperi continentali. Tali trasformazioni resero l’Inghilterra una «piccola isola [che non ha] la produttività sufficiente per fondare un impero che possa reggere il confronto con i grandi imperi continentali che stanno nascendo»14 (Russia, Stati Uniti, potenzialmente Cina, India e Brasile).

Inoltre, scrive Mackinder, «il continente congiunto di Europa, Asia e Africa è» diventato «effettivamente e non solo teoricamente un’isola: […] l’Isola-Mondo»15. Le altre macroregioni del mondo (Nord e Sud America, Australia, domini inglesi), essendo terre molto più piccole e dotate di molte meno risorse naturali e di popolazione rispetto all’Isola-Mondo, sono viste da Mackinder come «satelliti» dell’Isola-Mondo. L’Isola-Mondo è per Mackinder formata da un centro chiamato «cuore della terra» e da quattro appendici (la mezzaluna interna) che si sviluppano intorno ad esso: la peninsulare Europa, l’Asia sud-occidentale (Vicino e Medio oriente, Nordafrica), l’India e la Cina; queste quattro zone sono appendici ma comunque parti integranti dell’Isola-Mondo. Le appendici saranno successivamente chiamate «terre di confine» (rimland) da Nicholas Spykman. Il potenziale di potenza racchiuso nell’Isola-Mondo è tale che se una qualsiasi potenza o concerto di potenze locali riuscissero ad organizzare l’Isola-Mondo, essa o esse avrebbero a disposizione «l’impiego di vaste risorse continentali per la costruzione di flotte, con la conseguente possibilità di conquistare il dominio mondiale»16. L’epoca postcolombiana è diventata, per Mackinder, l’epoca degli «imperi continentali», in cui le strutture politiche moderne si uniscono ulteriormente in Stati di dimensione continentale.

I radicali cambiamenti in atto tra il XIX e il XX furono individuati anche da Alfred Thayer Mahan, «il primo a teorizzare la strategia marittima [e] a mettere in risalto l’importanza della geopolitica contemporanea del “dominio del mare”»17 e colui che doveva diventare il padre della dottrina geopolitica statunitense. Egli è il padre della dottrina militare statunitense perché è colui che ha sistematizzato la strategia marittima degli Stati Uniti per il mondo postcolombiano e indicato le costanti strategiche da seguire per gli Stati Uniti al fine di trasformarsi nella «vera isola contemporanea», la «isola continentale» del XX secolo e oltre. Scrive Mahan:

Gli Stati Uniti sono a tutti gli effetti una potenza insulare, come la Gran Bretagna. Abbiamo solo due frontiere terrestri, il Canada e il Messico. Quest’ultimo è irrimediabilmente inferiore a noi in tutti gli elementi della forza militare. Per quanto riguarda il Canada […] i numeri indicano chiaramente che l’aggressione non sarà mai la sua politica. […] Noi siamo, si può ripetere, una potenza insulare, dipendente quindi dalla marina. Un potere navale durevole, inoltre, dipende in ultima analisi dalle relazioni commerciali con l’estero18

Seguendo la stella polare indicata da Mahan, gli Stati Uniti promossero una doppia linea di espansione, verticale ed orizzontale, al fine di trasformarsi nella vera isola contemporanea. Con il taglio del Canale di Panama, fortemente caldeggiato da Mahan, gli Stati Uniti ottennero la condizione della bi-oceanità con i litorali connessi via mare. A sud gli Stati Uniti promossero l’espulsione delle potenze europee, rendendo il Mar Caraibico e del Messico un mar interno americano, egemonizzato dagli Stati Uniti, e, tramite una declinazione aggressiva della Dottrina Monroe, favorirono, come scrive Tiberio Graziani, la «unità geopolitica per [l’America] settentrionale [e] una eccessiva frammentazione per quella centromeridionale»19.

Riguardo all’espansione orizzontale, Mahan insiste sull’unità del potere mercantile e militare delle potenze marittime, sostiene la necessità di ereditare l’impero marittimo inglese, mantenere l’equilibrio di potenza in Europa affinché non nasca uno sfidante, mantenere l’equilibrio di potenza nel Mar Mediterraneo di modo da avere «libero accesso al Canale di Suez», ovvero la «ferrovia marittima»20 che connette il Mar Mediterraneo con il Golfo Persico perché per il suo tramite si raggiunge per mare l’Oceano Indiano, il Pacifico e, tramite il Canale di Panama, di nuovo l’Atlantico. Esercitando l’egemonia marittima su queste rotte, si crea ciò che Mahan definisce «l’oceano unito», che secondo l’ammiraglio è la principale sede del potere mondiale; egemonia, questa, che può essere parzialmente sgravata e condivisa con potenze marittime secondarie. Il Medio Oriente e l’Asia devono essere mantenuti in un equilibrio di potenza in maniera simile a quanto conviene farlo in Europa.

Le rilevazioni marittime di Mahan sono state sviluppate da Isaiah Bowman, il quale rinforza la tesi circa l’interconnessione dell’America Latina con gli Stati Uniti nell’ottica di incrementare gli sbocchi commerciali statunitensi nel Sudamerica e di diminuire quelli europei nel continente verticale e, dall’altra parte, sviluppa l’analisi dei processi geoeconomici e delle operazioni finanziarie di controllo dei mercati sui rapporti politici interstatali nell’ottica di eleggere gli Stati Uniti al ruolo di garante dell’equilibrio mondiale, così facendo unendo a doppio filo la potenza navale statunitense con la potenza finanziaria21.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la geopolitica di Mahan è stata ulteriormente sviluppata da Nicholas Spykman, autore con cui si raggiunge «il compimento della geopolitica classica anglosassone»22, il quale sposta la sede del potere mondiale dall’oceano unito alle terre di confine eurasiatiche (rimland) e aggiunge un «permanente conflitto» tra «nuovo mondo», ovvero l’America, e «vecchio mondo», ovvero l’Isola-Mondo mackinderiana, la quale, disponendo di un potenziale di potenza maggiore rispetto a quella del nuovo mondo, deve essere dagli Stati Uniti mantenuta in una situazione di neutralizzante equilibrio installando in quelle zone basi militari statunitensi e legando l’economia di quelle zone a quella americana, di modo che esse non volgano il proprio sguardo verso il cuore della terra eurasiatica23. Secondo Spykman, nel periodo postcolombiano gli Stati Uniti si trovano davanti all’Eurasia nello stesso modo in cui durante il periodo colombiano l’Inghilterra si trovava davanti all’Europa.

Le opere di Mackinder, Mahan e Spykman formano ancora oggi il fulcro della dottrina geopolitica statunitense, la stella polare che guida l’azione degli Stati Uniti nell’epoca postcolombiana24 ancora in corso.  

Scrive Henri Kissinger:

Geopoliticamente l’America è un’isola al largo del grande continente eurasiatico. Il predominio da parte di una sola potenza di una delle due sfere principali dell’Eurasia — Europa o Asia — costituisce una buona definizione di pericolo strategico per gli Stati Uniti, una guerra fredda o meno. Quel pericolo deve essere sventato anche qualora quella potenza non mostri intenzioni aggressive, poiché, allorché tale potenza diventasse aggressiva in un secondo momento, l’America si troverebbe con una capacità di resistenza efficace molto diminuita e una incapacità crescente di condizionare gli avvenimenti25

Scrive Zbigniew Brzezinski:

L’Eurasia è il supercontinente assiale del mondo. Una potenza che dominasse l’Eurasia eserciterebbe un’influenza decisiva su due delle tre regioni economicamente più produttive del mondo: l’Europa occidentale e l’Asia orientale. Uno sguardo sulla mappa suggerisce anche un Paese dominante in Eurasia comanderebbe quasi automaticamente il Medio Oriente e l’Africa […] il potere potenziale dell’Eurasia mette in ombra persino quello dell’America. [La strategia degli Stati Uniti è quindi di] assicurarsi che nessuno Stato o combinazione di Stati ottenga l’abilità di espellere gli Stati Uniti o anche solo diminuire il loro ruolo […] in Eurasia26.

Scrive Phil Kelly, riassumendo gli studi di geopolitica statunitensi:

Tutte le visioni strategiche geopolitiche raffigurano l’Eurasia come il fattore centrale. Proprio come per l’Inghilterra, anche per gli Stati Uniti è da lì che proviene la principale (ancorché più lontana) minaccia alla sicurezza. […] La coscienza della vulnerabilità nei confronti dell’Eurasia è da tempo presente nel pensiero geopolitico statunitense, e continua ad esserlo tutt’oggi. […] la geopolitica statunitense si ricollega strettamente ai principi fondamentali delle dottrine classiche partorite dai Britannici […] Entrambi si dipingono come un’‘isola’, affiancata da una minacciosa massa continentale che dev’essere mantenuta divisa per tutelare la propria sicurezza.27

È d’altronde lo stesso Kissinger a riassumere tutto il senso degli interventi miliari statunitensi nel corso del Novecento nel modo seguente: «Nella prima metà del XX secolo, gli Stati Uniti hanno combattuto due guerre per impedire il dominio dell’Europa da parte di un potenziale avversario […] Nella seconda metà del XX secolo (in realtà a partire dal 1941), hanno combattuto tre guerre per difendere lo stesso principio in Asia – contro il Giappone, in Corea e in Vietnam»28. Notiamo che in sole due frasi Kissinger svela il significato delle guerre combattute dagli Stati Uniti in tutto il XX secolo, spogliandole di ogni giustificazione ideologica che solitamente è ad esse appioppata (guerre antifasciste, anticomuniste, per la libertà, democratiche, di civiltà e così via).

Se ciò è stato vero nel XX secolo, con l’inizio del terzo millennio François Thual annota un apparente paradosso nell’evoluzione storica: laddove la modernità si era caratterizzata per l’unificazione delle microstrutture politiche medievali, la contemporaneità si caratterizza per la moltiplicazione delle «impotenze geopolitiche», ovvero per la frammentazione, secondo linee etno-culturali più o meno artificiose, degli imperi e degli Stati di medio-grandi dimensioni in Stati piccoli, quindi in Stati solo nominalmente sovrani. Lo «spezzettamento del pianeta» come «stadio supremo della mondializzazione», scrive Thual, si spiega nei termini in cui la «parcellizzazione del pianeta è il risultato di manipolazioni genetiche […] espressione di un volontarismo […] con Stati reali e Stati che potrebbero essere definiti “sbiaditi” e sono in generale “Stati dominati”».29

Le considerazioni di Thual sono state sviluppate da Tiberio Graziani, il quale sostiene che la politica di frazionamento del pianeta è condotta dagli Stati Uniti, i quali, dopo esser riusciti nel XX secolo a diventare – secondo il linguaggio di John Mearsheimer – gli unici «egemoni regionali» al mondo, fanno ora «di tutto per indebolire, e anche per distruggere»30 uno Stato che si propone di fare altrettanto. Il «processo di destabilizzazione […] dello spazio eurasiatico», lanciato dagli Stati Uniti dopo il venir meno della funzione bilanciatrice dell’Unione Sovietica, era fatto nell’ottica di sfruttare le due colonne portanti dello strapotere statunitense – «il ruolo di Wall Street come centro finanziario indiscusso del mondo [e] la potenza nordamericana bellica del Pentagono»31 – per frazionare quella che Brzezinski aveva definito la «grande scacchiera eurasiatica» (l’Isola-Mondo) ed ergere gli Stati Uniti a «prima, unica e davvero ultima superpotenza mondiale»32. Insomma, per raggiungere ciò che «un impiegato del dipartimento di Stato degli Usa»33, Francis Fukuyama, aveva definito di «fine della storia».34

Tuttavia, al processo di frazionamento statunitense se ne è affiancato un altro uguale e contrario: quello delle integrazioni continentali, promosso principalmente dalla Russia postsovietica – la quale «tenta di arginare la marcia degli Stati Uniti verso oriente attraverso la metodica tessitura di un sistema di alleanze strategiche con la Cina, col subcontinente indiano e con l’Iran»35 – e dalla Cina – la quale, sopravvissuta al «progetto di trasformare la Repubblica Popolare Cinese in una colonia economica americana»36 – cerca di caratterizzarsi come egemone regionale in Asia. L’attrito generato dalle due divergenti tendenze di integrazione e frazionamento stanno trasformando le quattro appendici dell’Isola-Mondo in delle «zone di scaricamento»37 delle tensioni internazionali, dove cioè si combatteranno le prossime battaglie per il dominio mondiale. Dalla prova e solidità della collaborazione integrazionista sino-russa, dipenderà la riuscita o meno della creazione di un mondo multipolare o, viceversa, della riuscita statunitense di rimanere il Leviatano egemone.

Scrive Claudio Mutti, commentando i progetti d’integrazione sino-russi: «La prospettiva di un avvicinamento tra Europa e Russia, che tanto angoscia gli Stati Uniti, a Washington diventa un vero e proprio incubo quando si considera che, al termine del percorso d’integrazione rappresentato dalla nuova Via della Seta, alla Russia e all’Europa potrebbe aggiungersi la Cina; in tal caso, infatti, l’Eurasia diventerebbe la sede del potere geopolitico mondiale. Le “analisi” intese ad auspicare un ulteriore rafforzamento della relazione fra USA ed Europa nascono da questa angoscia americana».38

Scrive Alain de Benoist, tracciando un parallelo tra l’Inghilterra del periodo colombiano e gli Stati Uniti di oggi: «come ieri quella dell’Inghilterra, l’egemonia americana poggia sul dominio mondiale dei mari, prolungato dal dominio dell’aria, e sull’assenza di unità dello spazio eurasiatico. L’asse Madrid-Parigi-Berlino-Mosca acquista tutta la sua importanza, accando all’asse Mosca-Theran-Nuova Delhi [mentre] l’incognita cinese domina su tutti il resto».39 E così, come durante il periodo colombiano e nel XX secolo, la storia del XXI secolo sarà, con molta probabilità, la storia dello scontro fra due tendenze opposte: quella del tentativo di unificare ed organizzare lo spazio eurasiatico, auspicata dalle maggiori potenze eurasiatiche, e quella del tentativo di prevenirlo, perseguita dagli Stati Uniti. Oggi come ieri, usando le categorie geostoriche di Mackinder e di Schmitt, si assiste allo scontro tra i lupi di mare e i lupi di terra, tra il Mare e la Terra, tra Poseidone e Anteo, tra l’Isola e il Continente.


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  1. Yves Lacoste, “Che cos’è la geopolitica”, eurasia-rivista.com, 17 luglio 2007, https://www.eurasia-rivista.com/yves-lacoste-che-cose-la-geopolitica/
  2. Carl Schmitt, Terra e mare: una considerazione sulla storia del mondo,  Milano, Giuffrè, 1986, p. 54-5.
  3. Friedrich Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, Bari, Laterza, 2003.
  4. Carl Schmitt, op. cit., p. 17.
  5. Ibid, p. 99.
  6. Antonio Zischka, Le alleanze dell’Inghilterra. Sei secoli di guerre inglesi combattute con le armi altrui, Roma, Mediterranea, 1941-XIX, p. 41.
  7. Johann Von Leers, L’Inghilterra: il nemico del continente europeo, Parma, Insegna del Veltro, 2004, p. 41-2
  8. Halford Mackinder, Britain and the British Seas, Londra, William Heinemmann, 1902, pp. 3-4.
  9. Halford Mackinder, Nations of the Modern World: An Elementary Study in Geography, Londra, Philip and Son, 1911, p. 291.
  10. Claudio Mutti, “L’isola e il continente”, eurasia-rivista.com, 18 luglio 2017, https://www.eurasia-rivista.com/lisola-e-il-continente/
  11. Tiberio Graziani, “Il Patto atlantico nella geopolitica Usa per l’egemonia globale”, eurasia-sito.com, 1 gennaio 2009, https://www.eurasia-rivista.com/patto-atlantico-nella-geopolitica-usa-legemonia-globale/
  12. Jean Thiriart, Il fallimento dell’impero britannico, in “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, Vol. 3/2019, 2019, pp. 183-191.
  13. Daniele Scalea, “Come nacque un ‘impero’ (e come finirà presto)”, in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, Vol. 3/2010, p. 49.
  14. Halford John Mackinder, Geographical Conditions Affecting the British Empire. I. The British Islands’, in “Geographical Journal”, Vol. 33, 1909, p. 474.
  15. Halford Mackinder, Democratic Ideals and Reality, Washington, National Defence, 1996, 45.
  16. Halford Mackinder, “Il perno geografico della storia”, in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, Vol. 2/2018, 40.
  17. Pascal Lorot, Storia della geopolitica, Trieste, Asterios, 1995, 35.
  18. Alfred Mahan, The Interest of America in Sea Power: Present and Furure, Boston, 1917.
  19. Tiberio Graziani, “Il risveglio dell’America indiolatina”, eurasia-sito.com, 1 luglio 2007, https://www.eurasia-rivista.com/il-risveglio-dellamerica-indiolatina/
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  21. Isaiah Bowman, The New World: Problems in Politics Geography, Nuova York, World Book, 1921.
  22. Federico Bordonaro, La geopolitica anglosassone, Milano, Guerini, 2012, 116.
  23. Nicholas Spykman, America’s Strategy in World Politics. The United States and the Balance of Power, Yale, 1942.
  24. Marco Ghisetti, Talassocrazia: I fondamenti della geopolitica anglo-statunitense, Cavriago, Anteo, 2021.
  25. Henry Kissinger, L’arte della diplomazia, Milano, Sperling & Kupfer, 634-5.
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  30. John Mearsheimer, La logica di potenza. L’America, le guerre e il controllo del mondo, Milano, UBE, 2008, 39.
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  33. Costanzo Preve, Elogio del comunitarismo, Napoli, Controcorrente, 2006, 182.
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  35. Tiberio Graziani, “Editoriale”, in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, Vol. 2/2005, 5.
  36. Claudio Mutti, “Guerra senza limiti”, eurasia-sito.com, 15 settembre 2020, https://www.eurasia-rivista.com/guerra-senza-limiti-2/
  37. Zona di scaricamento è un’espressione coniata da Karl Haushofer.
  38. Claudio Mutti, “Editoriale”, eurasia-sito.com, 15 settembre 2020, https://www.eurasia-rivista.com/negozio/lx-guerra-senza-limiti/
  39. Alain de Benoist, “Géopolitique”, in Nouvelle Ecole, No. 55, 2005, 1.