Descrizione
GEOSTORIA
Ion Ghica (1816-1897) fu un importante uomo politico romeno, che, vissuto nel clima delle idee del 1848, diventò sempre più filoottomano nel momento di massima tensione a livello europeo (Guerra di Crimea). Vista dalla prospettiva romena, la posizione di Ghica era difficilmente comprensibile, specialmente alla vigilia della guerra russo-turca del 1877-1878 (che avrebbe portato all’indipendenza della Romania rispetto all’Impero Ottomano). Ghica sosteneva l’alleanza con gli Ottomani, benché fosse consapevole della superiorità militare della Russia. Come il suo contemporaneo russo Konstantin Leont’ev (anch’egli filoottomano), anche Ghica era un convinto conservatore e considerava la Russia troppo rivoluzionaria in quel momento storico. Data la sua visione geopolitica, Ghica può essere considerato un precursore delle idee di integrazione eurasiatica, più chiare oggi, quando l’alleanza fra Russia e Turchia è una realtà.
A causa della natura instabile ed eterogenea dei bacini chiusi quali il Mediterraneo, la politica estera dell’Italia fascista si rivelò, in questa zona, duttile e possibilista, alternando fasi di aggressività con ruoli di mediazione. Il fascismo ricercò un ruolo di primo piano nel contesto euro-mediterraneo, al fine di poter giocare il proprio “peso determinante” sul continente e avere libertà di manovra nel Mediterraneo, per poter estendere la propria influenza oltre Gibilterra e Suez, accedendo quindi agli Oceani. Il fascismo puntò, dapprima, a raggiungere un accordo con la Gran Bretagna sulla costruzione di un condominio anglo-italiano all’interno del Mediterraneo, sposando solo successivamente la ricerca di un Grande Spazio che ponesse l’Italia di fianco al Terzo Reich. Quest’ultimo si sostituì però all’Italia nell’area danubiano-balcanica, dove Mussolini si era premurato di isolare la Jugoslavia, estromettendo l’influenza francese nei Balcani. Particolare importanza ha avuto inoltre la penetrazione fascista nel Levante e nel Mar Rosso.
DOSSARIO: LA GEOPOLITICA GIALLO-VERDE
Dal contratto di governo all’analisi geopolitica del programma Lega-Cinque Stelle. Si parte con un compromesso ma non ci sono limiti alle potenzialità di cambiamento insite in un’alleanza sulla quale pochissimi avevano scommesso. Mentre la maggioranza degli italiani sembra aver metabolizzato il post 4 marzo, dimostrando di apprezzare il nuovo laboratorio politico voluto da Di Maio e Salvini, all’interno dei due movimenti permangono dubbi e diffidenze che potrebbero però presto essere spazzati via dall’inevitabile evoluzione del quadro politico. Ma la reale partita si gioca, come al solito, nel cambiamento degli equilibri internazionali e nella conseguente libertà di azione che verrà concessa al Governo Conte.
Al principio del XIX secolo, il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel, sacralizzando l’istituzione statale, intravide in essa la perfetta realizzazione dei valori universali della storia umana. La rinnovata “febbre sovranista” (per usare un’espressione cara al geopolitico francese François Thual) volgarizza questa enfasi spirituale posta all’origine dello Stato riducendo ciò che Carl Schmitt definì come “il più fulgido prodotto del formalismo europeo” al mero controllo dei confini ed a forme più o meno accentuate di egoismo economico. L’odierna corsa alla sovranità perde di vista l’identità specifica di ogni ethnos sostituendola con un confuso richiamo a presunti e condivisi valori “giudeo-cristiani” occidentali. In questo contesto, la geopolitica, come scienza che analizza i processi attraverso i quali le forze politiche ed economiche utilizzano i dati della geografia fisica ed umana per realizzare i propri obiettivi, può essere fondamentale per comprendere gli schemi egemonici che si celano dietro certo “indotto” sovranismo.
In seguito alla visita del presidente del Consiglio italiano Conte negli Stati Uniti nello scorso luglio, il governo nato dall’intesa tra Lega e Movimento Cinque Stelle si appresta a realizzare un asse privilegiato con l’America di Trump, nell’intento di rinsaldare il partenariato transatlantico e ridefinire il ruolo italiano in Europa. L’obiettivo è quello di aumentare il peso negoziale del nostro paese, per strappare “concessioni” alle autorità europee (maggiore flessibilità di bilancio, ricollocazione equa dei migranti, maggiore apertura alla Russia) e ottenere da Washington maggiori deleghe su importanti questioni che attengono alla sfera euro-mediterranea. L’intesa italo-americana è motivata da ragioni ideologiche e dalla comune impronta “sovranista” e populista. Ma sulle reali intenzioni americane e su una efficace posizione del governo in politica estera permangono seri dubbi.
Data l’altalenante vicinanza della Lega e del M5S ora a Mosca ora agli ambienti più conservatori di Washington, qual è la posizione internazionale del governo giallo-verde, che si regge sul contratto stipulato da queste due forze politiche? Soprattutto per quanto riguarda i rapporti con gli USA, gli esordi del nuovo esecutivo non mostrano alcuna discontinuità rispetto al passato, nonostante le promesse di apertura alla Federazione Russa. I cedimenti italiani alle richieste statunitensi, in perfetta continuità con i precedenti governi di centrosinistra, sono evidenti proprio sul fronte dei rapporti con la Russia, oltre che sulla questione iraniana e riguardo all’approvvigionamento energetico.
Un’Europa bianca, di destra e cristiana, ma principalmente filosionista e legata inscindibilmente agli Stati Uniti, da contrapporre alle “antiche civiltà guerriere” dell’Eurasia: Cina, Turchia e Iran. È questa la visione alla base di The Movement, il progetto dell’ex stratega di Donald Trump, Steve Bannon, che, in vista delle prossime elezioni europee, mira a riunire in un unico gruppo i partiti conservatori e sovranisti del vecchio continente. Anche e soprattutto per sfidare l’egemonia di Berlino.
Questo saggio intende sondare la sotterranea e sostanziale affinità tra un governo “populista” – quello italiano costituito dal Movimento Cinque Stelle e dalla Lega – ed il sistema capitalista americanocentrico, che secondo gli slogan dovrebbero stare “l’un contro l’altro armato”. Tale affinità non è resa comprensibile soltanto dalla solidarietà dichiarata dalle due parti, ma si consuma anche con sottili giochi di propaganda mediatica atta al contenimento di pulsioni e proposte invise ai poteri forti globali. In funzione di ciò, l’azione statunitense deve impegnarsi per disinnescare alcune istanze pericolose rappresentate da Salvini e Di Maio.
Per effetto della narrazione diffusa dai mezzi di comunicazione di massa, ogni scelta politica compiuta dai governi italiani viene interpretata in senso occidentalista o russofilo (e russofila è considerata la compagine governativa attuale). La realtà, assai più complessa e sfumata, deve essere letta in chiave più geopolitica che non puramente politica: da quando l’Italia costituisce uno Stato unitario, operano al suo interno due correnti trasversali rispetto alle culture politiche: una filoanglosassone ed una filogermanica. Restano due punti fermi, affrontati con impegno diverso: l’attenzione verso la Russia e l’attenzione verso la dimensione mediterranea.
Il nuovo governo italiano, nato dalle elezioni del 4 marzo e dal compromesso tra le due forze populiste del Movimento 5 Stelle e della nuova Lega di Matteo Salvini, sta assumendo per molti versi posizioni di politica internazionale differenti da quelle dei governi delle precedenti legislature; tuttavia non è ancora chiaro quale sia il suo reale allineamento geopolitico nel contesto di trasformazione mondiale in atto. In realtà la questione cela divisioni profonde tra i due gruppi politici, che nel lungo periodo si riveleranno più incisive di quanto si potrebbe pensare.
Nell’Europa della guerra del gas, anche l’Italia è nell’occhio del ciclone. Il motivo è legato a due gasdotti dalle finalità opposte: uno, la TAP, è parte terminale di quel Corridoio Meridionale voluto da USA e UE per ridurre il peso delle importazioni dalla Russia; il secondo, IGI Poseidon, trasporterà invece il gas russo di TurkStream. A differenza che in Germania, però, in Italia la guerra del gas ha dei contorni confusi, e tra i beneficiari della TAP ci può essere la stessa Gazprom.
Nel corso della conferenza sulle linee programmatiche alle commissioni Difesa di Senato e Camera, il ministro Elisabetta Trenta ha indicato come prioritarie la “resilienza”, la guerra cibernetica, l’adeguamento all’imposizione statunitense di elevare gli investimenti ed il “doppio uso”. Un continuum del biennio 2016-2018. Sono concetti complessi, di non semplice esecuzione ed ampiamente trattati, anche se già in fase di applicazione in Italia.
A fronte delle letture superficiali largamente diffuse dai principali mezzi d’informazione italiani ed europei, che descrivono l’Ungheria di Orbán come il principale “amico” del nuovo governo italiano a causa di un presunto approccio comune nei confronti dell’UE e della questione migratoria, l’obiettivo del presente contributo è quello di fornire un’analisi sintetica, ma il più possibile chiara e realistica, delle differenti posizioni di Italia ed Ungheria rispetto al problema rappresentato dalla gestione dei flussi migratori verso l’Europa.
L’Italia e l’Iran, due delle più antiche nazioni della storia della civiltà umana, hanno sempre intrattenuto relazioni bilaterali di alto livello. Tutto ciò è stato confermato anche negli ultimi decenni, nonostante gli alti e i bassi derivati dagli interessi ideologici, geopolitici ed economici delle parti, senza dimenticare il ruolo delle grandi potenze nell’influenzare i rapporti tra le potenze regionali. In tutto ciò la missione dell’attuale esecutivo di Roma sarà quello di tentare un approccio propositivo rispetto alla Repubblica Islamica dell’Iran, anche se fattori interni ed esterni sembrano minacciare la capacità di indipendenza del governo Conte, ben distante dal modus operandi dei governi della prima Repubblica in ambito mediterraneo e vicinorientale.
Importanza strategica della Turchia e rilevante cooperazione economica e culturale costituiscono il quadro di riferimento iniziale per il nuovo esecutivo italiano.
DOCUMENTI
Il 9 giugno 1155, una decina di giorni prima di cingere la corona imperiale in San Pietro, Federico I di Svevia ricevette presso Sutri una delegazione del Senato di Roma. I Senatori romani avevano preparato un lungo e ampolloso discorso, che Ottone di Frisinga ci ha riportato, certamente abbellendolo con la sua forma adorna di forbito scrittore.
Il 20 marzo 1967 la polizia spagnola proibì a Jean Thiriart di tenere un discorso pubblico presso un’istituzione universitaria di Madrid. Si seppe, in seguito, che il divieto era provenuto direttamente dal Ministero degli Affari Esteri spagnolo. Il discorso antiamericano di Thiriart era stato considerato offensivo dagli ambienti legati a Washington, che si manifestavano come il potere effettivo.
INTERVISTE
Tamás Nyirkos, docente di scienza politica, è autore di The Tyranny of the Majority: History, Concepts, and Challenges, Routledge, New York 2018. Il suo prossimo libro, Teologie politiche, sarà pubblicato da Typotex Kiadó questo autunno.
RECENSIONI e SCHEDE
Cavedagna – A. Farhat – A. Maddaluno, La Guerra fredda non è mai finita (Giacomo Gabellini)
Carl Schmitt, La società delle Nazioni. Analisi di una costruzione politica (Davide Ragnolini)
Jean de la Fontaine, La fontana degli amanti della Scienza (Adelaide Seminara)