Lo scorso 20 settembre l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha degradato il giudizio sulle obbligazioni italiane portandole da A+ ad A per quanto concerne il breve termine e da A1+ ad A1 relativamente al lungo periodo rivedendo in negativo le prospettive per i prossimi tempi (outlook) .
La motivazione addotta ufficialmente verte sul fatto che “le prospettive di crescita economica dell’Italia si stanno indebolendo”.
“Ci aspettiamo – si legge nel comunicato diramato dall’agenzia – che la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all’interno del Parlamento continuino a limitare la capacità dell’esecutivo di rispondere in maniera decisa alle sfide macroeconomiche interne ed esterne”.
Sull’Italia peserebbe, secondo il parere dell’agenzia, l’assenza di un esecutivo solido e compatto e l’endemica riluttanza dei propri dirigenti ad applicare riforme strutturali necessarie a favorire la crescita.
Dall’unione di questi due fattori scaturirebbe quindi una sinergia negativa in grado di minare la capacità del paese di onorare il debito contratto che attualmente ammonta a 1.911,801 miliardi di euro.
Il premier Silvio Berlusconi ha tuonato contro la decisione di Standard & Poor’s, lamentando un pesante condizionamento operato dagli organi informativi sul giudizio emesso dall’agenzia, inscenando una reazione dettata dalle proprie antiche ed incrollabili idiosincrasie.
I giganteschi punti esclamativi che aleggiano sulle due maggiori agenzie di rating riguardano infatti ben altri argomenti.
Standard & Poor’s è controllata da McGraw Hill, la stessa compagnia che detiene oltre il 31% di Moody’s, il cui 12,5% dell’intero pacchetto azionario è posseduto da Warren Buffet.
Così, mente Warren Buffet, padroneggiando come nessun altro le ben note arti divinatorie della finanza, assimilava i derivati ad “Armi di distruzioni di massa”, l’agenzia Moody’s da egli parzialmente controllata conferiva la tripla A ad un numero esorbitante di Collateralized Debt Obligation (CDO) che si rivelarono poi pura spazzatura finanziaria.
Sempre Moody’s aveva mantenuto il giudizio A2 sulla banca d’affari Lehman Brothers pochi giorni prima che fallisse, mentre alla compagnia assicurativa AIG aveva accordato il giudizio A3 una decina di giorni prima che la Federal Reserve erogasse un prestito di 85 miliardi di dollari per evitarne la bancarotta.
Facendo entrambe riferimento al medesimo centro finanziario che raggruppa noti e facoltosi operatori finanziari – il McGraw Hill controllato a sua volta, per il 30%, da un consorzio formato da T Rowe Prince Associates, Vanguard Group, World Investors, Blackrock e State Street – Moody’s e Standard & Poor’s rappresentano una delle più eminenti espressioni del conflitto di interessi.
Detenendo quote considerevoli delle due agenzie di rating in questione, il gruppo finanziario che le controlla ha la capacità di influenzare pesantemente il mercato in pura chiave geostrategica, intaccando arbitrariamente la solidità degli Stati per mezzo dell’emissione di giudizi falsi e tendenziosi dettati da esigenze della più pura tempra politica.
E chi tra le agenzie di rating e il governo statunitense esista un rapporto di stretta dipendenza è un fatto che pochi oseranno contestare, specialmente dopo il licenziamento in tronco di Deven Sharma, analista di Standard & Poor’s reo di aver declassato gli Stati Uniti dalla tripla A ad AA+.
Nell’entourage di Barack Obama militano o hanno militato il direttore del National Economic Council Larry Summers, il Segretario al Tesoro Timothy Geithner, l’ex presidente dell’Economic Recovery Advisory Board Paul Volcker, l’ex Segretario al Tesoro Henry Paulson, il capo dello staff presidenziale William Daley, i funzionari Robert Rubin e Gene Sperling.
Sono tutti elementi che avevano fatto le fortune di Citigroup, Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Federal Reserve, Rotschild Group.
Non è un caso che i loro interessi coincidessero, nel caso specifico, con la degradazione dei debiti pubblici dei paesi dell’Eurozona, rientrante in una chiara strategia di guerra valutaria finalizzata a disintegrare l’Euro.
La fuoriuscita dall’Euro di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna (i cosiddetti “PIIGS”) provocherebbe un’esorbitante impennata del valore della moneta – il cui cambio con il dollaro lambisce attualmente quota 1,40 – legato alla solidità strutturale della restante Germania.
Con un euro reso fortissimo dall’epurazione degli anelli deboli dell’Eurozona, la Germania incontrerebbe pesantissime difficoltà ad esportare le proprie merci – che raggiungerebbero prezzi esorbitanti – favorendo quelle cinesi e statunitensi, indicizzate alle rispettive monete mantenute a valori molto più bassi.
La motivazione addotta ufficialmente verte sul fatto che “le prospettive di crescita economica dell’Italia si stanno indebolendo”.
“Ci aspettiamo – si legge nel comunicato diramato dall’agenzia – che la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all’interno del Parlamento continuino a limitare la capacità dell’esecutivo di rispondere in maniera decisa alle sfide macroeconomiche interne ed esterne”.
Sull’Italia peserebbe, secondo il parere dell’agenzia, l’assenza di un esecutivo solido e compatto e l’endemica riluttanza dei propri dirigenti ad applicare riforme strutturali necessarie a favorire la crescita.
Dall’unione di questi due fattori scaturirebbe quindi una sinergia negativa in grado di minare la capacità del paese di onorare il debito contratto che attualmente ammonta a 1.911,801 miliardi di euro.
Il premier Silvio Berlusconi ha tuonato contro la decisione di Standard & Poor’s, lamentando un pesante condizionamento operato dagli organi informativi sul giudizio emesso dall’agenzia, inscenando una reazione dettata dalle proprie antiche ed incrollabili idiosincrasie.
I giganteschi punti esclamativi che aleggiano sulle due maggiori agenzie di rating riguardano infatti ben altri argomenti.
Standard & Poor’s è controllata da McGraw Hill, la stessa compagnia che detiene oltre il 31% di Moody’s, il cui 12,5% dell’intero pacchetto azionario è posseduto da Warren Buffet.
Così, mente Warren Buffet, padroneggiando come nessun altro le ben note arti divinatorie della finanza, assimilava i derivati ad “Armi di distruzioni di massa”, l’agenzia Moody’s da egli parzialmente controllata conferiva la tripla A ad un numero esorbitante di Collateralized Debt Obligation (CDO) che si rivelarono poi pura spazzatura finanziaria.
Sempre Moody’s aveva mantenuto il giudizio A2 sulla banca d’affari Lehman Brothers pochi giorni prima che fallisse, mentre alla compagnia assicurativa AIG aveva accordato il giudizio A3 una decina di giorni prima che la Federal Reserve erogasse un prestito di 85 miliardi di dollari per evitarne la bancarotta.
Facendo entrambe riferimento al medesimo centro finanziario che raggruppa noti e facoltosi operatori finanziari – il McGraw Hill controllato a sua volta, per il 30%, da un consorzio formato da T Rowe Prince Associates, Vanguard Group, World Investors, Blackrock e State Street – Moody’s e Standard & Poor’s rappresentano una delle più eminenti espressioni del conflitto di interessi.
Detenendo quote considerevoli delle due agenzie di rating in questione, il gruppo finanziario che le controlla ha la capacità di influenzare pesantemente il mercato in pura chiave geostrategica, intaccando arbitrariamente la solidità degli Stati per mezzo dell’emissione di giudizi falsi e tendenziosi dettati da esigenze della più pura tempra politica.
E chi tra le agenzie di rating e il governo statunitense esista un rapporto di stretta dipendenza è un fatto che pochi oseranno contestare, specialmente dopo il licenziamento in tronco di Deven Sharma, analista di Standard & Poor’s reo di aver declassato gli Stati Uniti dalla tripla A ad AA+.
Nell’entourage di Barack Obama militano o hanno militato il direttore del National Economic Council Larry Summers, il Segretario al Tesoro Timothy Geithner, l’ex presidente dell’Economic Recovery Advisory Board Paul Volcker, l’ex Segretario al Tesoro Henry Paulson, il capo dello staff presidenziale William Daley, i funzionari Robert Rubin e Gene Sperling.
Sono tutti elementi che avevano fatto le fortune di Citigroup, Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Federal Reserve, Rotschild Group.
Non è un caso che i loro interessi coincidessero, nel caso specifico, con la degradazione dei debiti pubblici dei paesi dell’Eurozona, rientrante in una chiara strategia di guerra valutaria finalizzata a disintegrare l’Euro.
La fuoriuscita dall’Euro di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna (i cosiddetti “PIIGS”) provocherebbe un’esorbitante impennata del valore della moneta – il cui cambio con il dollaro lambisce attualmente quota 1,40 – legato alla solidità strutturale della restante Germania.
Con un euro reso fortissimo dall’epurazione degli anelli deboli dell’Eurozona, la Germania incontrerebbe pesantissime difficoltà ad esportare le proprie merci – che raggiungerebbero prezzi esorbitanti – favorendo quelle cinesi e statunitensi, indicizzate alle rispettive monete mantenute a valori molto più bassi.
Le agenzie di rating, con le loro profezie ad orologeria, fungono quindi da strumento di pressione sui governi affinché operino determinate scelte a scapito di altre, per conto di alcuni apparati finanziari connessi non troppo segretamente al governo degli Stati Uniti, che hanno tutto l’interesse a creare instabilità in seno al Vecchio Continente.
Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.