Il presidente siriano Bashar al-Asad, checché ne dicano i media occidentali portavoce di coloro che ne auspicano la caduta, non ha nessuna intenzione di dimettersi, dimostrando di non tenere in alcun conto la reazione della cosiddetta “comunità internazionale”.
Si è parlato più volte del fatto che la Siria non è la Libia e che non ci sono i presupposti per poter attuare un “piano” simile a quello messo in opera in Libia.
Le possibilità che Bashar al-Asad lasci il potere sono davvero minime per non dire nulle, perciò la caduta del governo siriano non è da prevedersi almeno in tempi brevi.
Nonostante la guerra civile, i morti e le migliaia di profughi, il presidente è deciso a riportare la Siria all’ordine, anche davanti ad attentati come quello che ha colpito al cuore il suo entourage (1).
Le dinamiche di questo grave attentato non sono ben chiare; infatti non si capisce se sia stato opera di una bomba o un kamikaze. In un primo momento la tv di Stato siriana ha riferito che un kamikaze si è fatto esplodere nel palazzo della Sicurezza, nel quartiere di Abu Roummaneh, dove era in corso un vertice tra i responsabili del settore.
Nell’esplosione sono rimasti uccisi il ministro della Difesa, il generale Dawoud Rajha, il suo vice Assef Shawkat, cognato del presidente siriano, e il generale Hassan Turkmani, capo della cellula di crisi che coordina le azioni contro i “ribelli”, mentre il capo dei servizi segreti, Hisham Bekhtyar, e il ministro dell’interno, Mohammad Ibrahim al-Shaar, sono rimasti feriti.
Inoltre si è verificata anche una seconda esplosione che ha colpito l’edificio del comando della Quarta divisione dell’esercito siriano.
Quella che in un primo momento sembrava l’azione un kamikaze, secondo altre fonti sarebbe stato un attentato proveniente dall’”interno”, una bomba piazzata nel palazzo da qualcuno fidato che vi aveva accesso nonostante i controlli; probabilmente un personaggio appartenente al gruppo ristretto delle guardie del corpo delle alte cariche del regime.
L’attacco è stato immediatamente rivendicato un po’ da tutti gli oppositori armati del governo.
Sicuramente è stato un durissimo colpo messo a segno da “qualcuno” (2) vicino al presidente, ma è proprio in questo frangente che Bashar al-Asad ha dato una dimostrazione di forza: senza scomporsi troppo, convoca immediatamente una riunione e nomina il nuovo ministro della Difesa, Fahd al-Freij (3), oltre a cinque nuovi ufficiali della Sicurezza.
Ma la paura più grande, ovvero quella di una situazione stagnante che farebbe comodo a quel “qualcuno”, si è trasformata in realtà, ed ora gli Occidentali ci marciano sopra nascondendosi dietro al veto di Russia e Cina ed attribuendo la colpa del “massacro” a loro.
Si vuol far credere infatti che il vero “problema” sia al-Asad e si cerca quindi una scusa nelle “armi chimiche”, “il più grosso arsenale del Medio Oriente”, seguendo un copione già sperimentato con l’Iraq (dove le “armi di distruzione di massa” non sono mai state trovate in anni d’ispezioni dell’Onu, con un paio di ispettori addirittura dimessisi per protesta contro le forzature operate ai loro danni, in particolare dall’America). Il motivo di tanta preoccupazione è questo: queste armi chimiche potrebbero essere utilizzate “contro obiettivi civili”, ma anche militari di altri paesi, “cadere nelle mani di altri paesi come Iran o Libano”, senza tralasciare altre ipotesi ancora più terrificanti, come quella delle medesime armi che potrebbero cadere in mano ad “organizzazioni terroristiche” (al-Qa’ida, tanto per cambiare)(4).
Quindi, al-Asad o no, la guerra civile proseguirebbe anche dopo un’eventuale uscita di scena del presidente. Il problema è evidentemente un altro.
La verità è che in Siria più della metà della popolazione (alawiti, sciiti duodecimani, cristiani, parte dei curdi e anche diversi sunniti) continua ad essere dalla parte del presidente, ha fiducia in lui e ha paura dell’opposizione e dei suoi obiettivi, oltre che dei metodi che sta utilizzando. Ne è testimonianza la folla oceanica che ha partecipato ai funerali dei responsabili della sicurezza uccisi nell’attentato del 18 luglio.
Inoltre al-Asad ha ammesso di avere commesso errori nella gestione della crisi, ma rivendicando l’appoggio popolare (5) ha cercato di concedere qualcosa alle richieste provenienti dagli oppositori. Ma i notevoli passi compiuti dal governo, quali il referendum costituzionale (6), dall’esito positivo, che doveva aprire la porta al multipartitismo con il conseguente cambio della costituzione e le annunciate elezioni legislative, non sono stati sufficienti per frenare le violenze e calmare gli animi.
La verità è che ogni passo del presidente in tale direzione non sarebbe andato bene comunque: qualsiasi risultato si fosse ottenuto si sarebbe dovuto procedere verso una strada ormai “decisa”.
Fondamentalmente è quella la strategia di alcuni Stati che possono così continuare a fare il loro gioco fomentando il caos in Siria.
Questi dettagli vengono spesso tralasciati dando voce unilateralmente alla parte che combatte il regime, in minoranza ma appoggiata da alcuni paesi influenti della regione (oltre che dagli occidentali), poiché gli interessi che ruotano attorno al Bilād al-Shām sono troppo importanti: l’obiettivo di tutti i nemici della Siria sembra essere effettivamente l’indebolimento dell’”Asse della Resistenza” Teheran–Damasco–Beirut.
In maniera non ufficiale, i nemici della Siria hanno deciso di creare un fondo con centinaia di milioni di dollari per finanziare i “ribelli”, facendosi carico anche del rifornimento di armi: scelta che ha contribuito a favorire le fazioni più intransigenti che rigettano ogni prospettiva negoziale col governo.
E come riporta il sito del controspionaggio israeliano Debka file (7), sono in molti ormai ad aver documentato la presenza di combattenti stranieri che avrebbero ingrossato le fila dei movimenti antigovernativi: attivisti del settarismo wahhabita e salafita e trafficanti d’armi sarebbero entrati in territorio siriano dall’Iraq e da altri paesi limitrofi per sostenere la rivolta contro Bashar al–Asad; grazie ad accordi tra le tribù la frontiera si starebbe trasformando in una zona calda che sarà difficile da controllare.
Inoltre il sito giordano al-Bawaba, la ABC e fonti vicine all’ex primo ministro giordano, riferiscono che oltre 10 mila libici sarebbero in fase di addestramento ai confini con la Siria, nel nord della Giordania, in una zona cuscinetto creata appositamente, pronti ad entrare per combattere al fianco dell’opposizione armata.
Addirittura, come riporta recentemente la Cnn (8), ex militanti della sedicente “brigata rivoluzionaria” di Tripoli, comandata da uno dei miliziani libici più noti, al-Mahdi al-Harati, hanno raggiunto la Siria per unirsi all’Esercito Siriano Libero.
Tutto questo non crea alcun fastidio alla “comunità internazionale”, che appoggia apertamente “l’invasione”.
Anche l’organizzazione internazionale Human Rights Watch (HRW) ha accusato ripetutamente in questi mesi i “ribelli” di aver rapito, torturato ed ammazzato sommariamente membri delle forze di sicurezza, miliziani ingaggiati dal governo ed altri suoi sostenitori.
La replica dei membri dell’opposizione non si è fatta attendere, e Sheykh Anas Ayrout, membro del Consiglio Nazionale Siriano, ha commentato il rapporto di Hrw affermando che si tratta di “alcune situazioni eccezionali, e sfortunatamente sono reazioni agli orrori, ai crimini e alle atrocità che il regime continua a commettere contro il popolo siriano, anche se sono totalmente inaccettabili e non si vuole ripetere gli stessi errori del regime”.
Verità o scuse? Anche i due tecnici italiani dipendenti di due ditte subappaltatrici di Ansaldo Energia che erano impegnati nella costruzione di una centrale termoelettrica, scomparsi lo scorso 18 luglio nella zona di Damasco mentre si dirigevano verso l’aeroporto della capitale, dopo essere stati rapiti da un gruppo di uomini armati e incappucciati, sono stati liberati dall’esercito regolare siriano. Cosa forse difficile da digerire poiché sono stati liberati dai “cattivi”: meglio parlarne il meno possibile per non incrinare tetragone certezze mediatiche?
Si fa un gran parlare con toni allarmistici della “popolazione siriana” e del massacro che sta subendo, della più grossa crisi che abbia mai visto il territorio siriano. Dall’inizio del conflitto il numero delle vittime è salito a ventimila e ogni giorno cresce sempre di più.
Ma si è davvero interessati a fermare questo massacro? Ed è serio addossare la responsabilità di tutte queste vittime al solo governo quando tra queste vi sono non pochi soldati e poliziotti intenti a mantenere l’ordine come accadrebbe in qualsiasi altra parte del mondo?
Si fanno appelli, riunioni, conferenze inneggiando ai soprusi che ogni giorno i “civili” sono costretti a subire, ma in buona sostanza non si intravedono azioni concrete che possano fermare tutto ciò in una maniera diversa dal solito intervento armato di potenze straniere, come visto in Libia.
I combattimenti – forse esagerati dalla propaganda – proseguono ora per la conquista delle grandi città, inclusa Aleppo (9), centro economico del paese. Si attendono grandi offensive e Il Presidente ha richiamato la maggior parte dei militari dalla frontiera e da altre zone, lasciandole così parzialmente scoperte.
A ‘monitorare’ la situazione ci sono comunque Russia e Cina, le quali sinora hanno reso impossibile un intervento militare da parte dei paesi “amici della Siria”. Più volte il ministro degli esteri russo Lavrov ha dichiarato che non saranno accettati né interventi esterni né soluzioni che prevedano la “caduta del regime”, ricordando come certi paesi sin dall’inizio hanno lavorato per far fallire i piani proposti, soprattutto quello dell’ex Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan..
Anche fonti Fides raccontano di uno scenario completamente diverso da quello presentato dai mezzi di comunicazione “mainstream”: parlano di militanti salafiti e di terroristi veri e propri che bruciano ospedali, case, infrastrutture provocando vittime ed usando i civili come scudi umani. Anche bande armate “fuori controllo” continuano ad imperversare e a colpire civili innocenti, e questo grave problema sta espandendosi in maniera preoccupante.
I finanziamenti che arrivano dall’esterno starebbero incoraggiando questo tipo di azioni criminali che mirano a creare scompiglio per sgretolare lo Stato dall’interno (10).
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