In un periodo in cui molti aspetti culturali come moda, musica e letteratura si rifanno agli anni ’80 come principale fonte d’ispirazione, anche la politica internazionale non è voluta essere da meno.
Il colpo di stato avvenuto in Honduras, il 28 Giugno 2009, è infatti un vero e proprio ritorno al passato, di almeno trent’anni di storia.
Tanto per riassumere, molto brevemente, quanto accaduto, in tale data l’allora presidente in carica Manuel Zelaya viene destituito ed esiliato con la forza in Costa Rica.
A capo del governo “de facto” si insedia la figura tragi-comica di Roberto Micheletti, il cui compito essenziale è quello di traghettare il paese verso le elezioni previste in novembre.
Alle elezioni “farsa” trionfa Porfirio “Pepe” Lobo Sosa del Partido Nacional de Honduras che dal 27 gennaio 2010 è ufficialmente alla guida del paese.
Si è parlato di elezioni farsa per alcune semplici ragioni.
Innanzitutto, le elezioni sono state organizzate dalle autorità illegittime (quelle del governo Micheletti) senza il reintegro preliminare dell’ex presidente Zelaya, come invece era stato previsto dall’accordo “Tegucigalpa-San José”, firmato il 30 Ottobre sotto l’egida di Thomas Shannon (sottosegretario di stato degli USA per l’emisfero occidentale); in secondo luogo, la pseudo-campagna elettorale si è svolta in concomitanza di due decreti che proibivano ai cittadini di partecipare a riunioni pubbliche e ai media di “incitare all’anarchia sociale”. Traduzione: tutto quello che si opponeva al golpe e alle sue azioni era bandito (vedi anche represso con violenza); infine, ma non per importanza, le elezioni si sono svolte con l’assoluto boicottaggio alle urne del “Fronte di Resistenza Contro il Colpo di Stato” (FRCG, nato per l’occasione dal “Fronte Nazionale di Resistenza Popolare” – FNRP –), ossia il partito sorretto dalla maggioranza della popolazione.
Si calcola che l’affluenza alle urne sia stata del 35% circa, dato pervenuto dai calcoli dall’Frcg che naturalmente è in netto contrasto con la percentuale fornita dall’attuale governo che invece ha calcolato un’affluenza del 60%.
Arriviamo, dunque, al presente.
La vittoria di Lobo non è stata ancora riconosciuta da tutti i paesi del continente americano: mancano all’appello Brasile, Messico, Venezuela, Cuba, Bolivia, Uruguay, Nicaragua, Ecuador, Paraguay e Cile.
Quest’ultimo, vista la direzione politica decretata dalle ultime votazioni, potrebbe presto riconoscere anch’esso la presidenza di Lobo, e se non è ancora avvenuto è perché attualmente si trova ad affrontare problemi di natura decisamente maggiore.
Per quanto riguarda il resto del mondo: gli Stati Uniti, così come tutti i paesi americani alleati, sono accorsi a riconoscere il nuovo capo di governo (dopotutto avevano già riconosciuto la legittimità delle elezioni), mentre in Europa e nella maggior parte del mondo praticamente non se ne parla affatto. La questione, insomma,non suscita un cospicuo interesse.
Il mandato di Porfirio Lobo è appena iniziato; di conseguenza è ancora troppo presto per tirare le somme o affrettare previsioni sul suo operato.
Di certo non si tratta del primo arrivato (Zelaya nel 2005 vinse proprio contro di lui), tuttavia, almeno in questa primissima fase, si è dimostrato immobile politicamente, quasi confuso sul da farsi. Un presidente ancora molto disorientato e senza alcun programma preciso o una direzione presa.
Stessa cosa non può certo dirsi dell’operato dell’esercito.
A detta della popolazione di Tegucigalpa, la situazione resta drammatica, continuano i sequestri, gli omicidi, la repressione ed ogni tipo di violazione possibile.
Obiettivo principale, ovviamente, sono i membri della resistenza o i loro familiari: solo nel primo mese di governo Lobo, sono già stati uccisi tre membri dell’Frcg.
In fin dei conti, in una situazione in cui lo stesso ministro della sicurezza, Oscar Alvarez, afferma pubblicamente la necessità di sradicare la resistenza in quanto non più giustificata nella sua esistenza, una tale reazione era piuttosto prevedibile.
Fatto sta che prima o poi, lo stato dell’Honduras dovrà rispondere delle violenze e dei diritti umani violati, non foss’altro perché membro delle Nazioni Unite e quindi firmatario della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.
Se, come scritto all’inizio dell’articolo, c’è un ritorno spassionato agli anni ’80, ciò è riscontrabile non solo negli eventi che si sono verificati ultimamente, ma anche nelle ragioni che stanno dietro tali eventi.
Anche questa volta, gli indiziati maggiori per il colpo di stato in Honduras, sembrerebbero essere i soliti USA e le solite multinazionali.
“Sembrerebbero”, perché in effetti non si ha alcuna prova.
Partiamo da Washington, che di tutta questa situazione è il sospettato numero uno.
Pare che sentendosi minacciata dalle “nuove idee” espresse e in parte messe in atto dai paesi della “Alternativa Bolivarista per le Americhe” (ALBA), abbia ben pensato di ostacolare il più possibile Chavez & Co., che tanto si allontanano dall’assetto politico-economico statunitense. Naturalmente, a tal fine, era necessario un maggiore controllo dell’America Latina.
La scelta, quindi, di colpire l’anello più debole dell’ALBA per iniziare a destabilizzare l’intera regione centroamericana è stata una mossa obbligata.
Un indizio è la presenza nello staff di Micheletti di due aiutanti principali della vecchia amministrazione Clinton, ovvero di Lanny Davis che tra le altre cose è stata la figura di riferimento per Hillary Clinton durante lo scontro elettorale con Obama, e di Bennet Ratcliff , ex braccio destro di Bill Clinton.
Avendolo appena nominato, non si può ignorare il presumibile ruolo del presidente Obama: o è tenuto all’oscuro di qualsiasi cosa (il che rimarcherebbe la sua poca esperienza in politica estera) o si è scontrato con un gigante più grosso di lui e a quanto pare sta avendo la peggio (ipotesi meno accreditabile).
Per quanto riguarda le “solite” multinazionali, la situazione è leggermente diversa da quella passata; in questo caso infatti, il ruolo svolto dalle multinazionali è di sfruttamento della situazione che si è venuta a creare.
La principale società sotto accusa è la Chiquita (ex United Brands, ex United Fruits).
L’obiettivo in questo caso era rimuovere il decreto, emanato dal governo Zelaya, che annunciava l’aumento del salario minimo da 126 euro a 202 euro – la compagnia produce circa 8 milioni di casse d’ananas e 22 milioni di casse di banane, e con le riforme iniziate da Zelaya avrebbe perso milioni e milioni di dollari – .
Per rimediare a tale inconveniente, arriva la decisione della Chiquita di allearsi con il “Consiglio honduregno dell’impresa privata” (COHEP), ugualmente scontento delle decisioni prese dall’ex presidente.
Il colpo di stato giunge quindi nel momento più adatto, entrambi possono tirare un sospiro di sollievo che si tramuta in assoluta tranquillità con l’inserimento, da parte della COHEP, di Benjamin Bogran a capo del “Dicastero dell’Industria e del Commercio”, nel governo “de facto”.
A mo’ di paravento, il presidente della COHEP che nel frattempo appoggiava senza riserve Roberto Micheletti, spiegò (in seguito all’inserimento di Bogran) che se il governo fosse andato avanti con l’aumento del salario minimo, gli imprenditori si sarebbero visti obbligati a licenziare i lavoratori, aumentando così la disoccupazione nel paese.
Dal punto di vista delle multinazionali il problema dovrebbe dunque essere risolto, almeno temporaneamente.
Ritornando invece ai piani di Washington, la situazione che si prospetta non fa propendere per l’ottimismo.
Questo dell’Honduras potrebbe essere solo il primo di una serie di golpe mirati, come già affermato in precedenza, ad un maggiore controllo dell’America Latina, con possibili obiettivi primari proprio quei paesi confinanti con l’Honduras, ossia : Guatemala, Nicaragua e El Salvador.
Come si evince da questa breve analisi, al contrario di quanto affermava Micheletti, la destituzione e l’espulsione forzata di Zelaya non ha nulla a che vedere con il tentativo da parte di quest’ultimo di organizzare un referendum illegale che gli avrebbe permesso di farsi rieleggere in Novembre.
In conclusione, e tornando al presente in Honduras, due sembrano essere le prospettive principali che si delineano nel futuro della nazione.
Entrambe tra l’altro abbastanza ovvie.
La prima soluzione è il ribaltamento del governo attuale da parte del Fronte di Resistenza Contro il Golpe, con tutte le conseguenze che ne scaturirebbero; primo obiettivo fissato dall’Frcg è stato quello di formare un’Assemblea Costituente.
La seconda soluzione, invece (e questa sembra essere al momento l’ipotesi più plausibile), vede un Porfirio Lobo portare a termine il suo mandato, seppur non senza difficoltà, con gli Stati Uniti che nel frattempo potranno godere dei benefici conquistati.
* Stefano Pistore, laureando in Mediazione linguistica e cultura (Università de L’Aquila), collabora con “Eurasia”
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