«… Addossatevi il fardello del Bianco

   Le barbare guerre della pace»

(Rudyard R. Kipling, Il fardello dell’uomo bianco)

 

 

Difficile, a prima vista, trovare un punto di contatto fra il suicidio spettacolare di un intellettuale nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi (21 maggio) e la macellazione rituale di un soldato britannico in un sobborgo di Londra (22 maggio).

Tutt’al più, la furia del giovane inglese di colore che si è riversata sul militare reduce dall’Afghanistan sembra suggerire la correttezza delle riflessioni di Dominique Venner sui pericoli che minacciano “la patria francese ed europea”.

Paradossalmente, invece, il gesto estremo di Venner anticipa la denuncia di Michael Olumide Adebolajo — che non parla certo a nome dell’Islam, ma che tuttavia si fa portavoce di un disagio diffuso meritevole di maggiore e più approfondita considerazione da parte dell’Occidente — il quale così si esprime nell’ultimo messaggio lanciato pubblicamente prima dell’arresto:

«We swear by almighty Allah we will never stop fighting you. The only reasons we have  done this is because Muslims are dying every day. This British soldier is an eye for an eye, a tooth for tooth. We must fight them. I apologise that women had to witness this today, but in our land  our women have to see the same. You people will never be safe. Remove your government. They don’t care about you.» — “Per Allah onnipotente, noi giuriamo che non smetteremo mai di combattere contro di voi. La sola ragione per cui abbiamo fatto questo è che i Musulmani muoiono ogni giorno. Questo soldato inglese rappresenta soltanto un occhio per occhio, dente per dente. Noi dobbiamo combattere contro di loro. Mi scuso con le donne che hanno dovuto assistere a questo, ma nella nostra terra le nostre donne devono vedere le stesse cose. La vostra gente non sarà mai al sicuro. Cambiate governo. Al vostro governo non importa niente di voi”.

Mi spiego meglio. I francesi, galanti e galantuomini ma anche pragmatici, sono soliti dire che nella vita di una donna non conta il primo uomo, ma l’ultimo. Questa dell’ultimo impegno mi è sempre parsa un’osservazione pertinente, e suscettibile di applicazione in molti ambiti: così, non m’interessa che cosa Venner abbia fatto nei suoi 78 anni di vita — combattente in Algeria, militante e intellettuale di destra, amante di caccia e armi, pagano etc. M’interessa invece quello che Venner ha lasciato scritto nell’ultimo post del suo blog (http://www.dominiquevenner.fr/2013/05/la-manif-du-26-mai-et-heidegger/) e nel messaggio lasciato sull’altare di Notre-Dame.

Sul blog, dopo aver denunciato l’ “infamia” della legge a favore dei “matrimoni” omosessuali, Venner parla di una “tradizione europea che rispetta la donna” e dell’ “islam che non la rispetta”; parla di una “Francia caduta in potere degli islamici”; parla del “pericolo catastrofico” di una sostituzione della popolazione di Francia ed Europa con una popolazione afro-maghrebina; parla di “riconquista della memoria identitaria francese ed europea”. Nel messaggio, denuncia “gli immensi pericoli per la patria francese ed europea”, la distruzione degli “ancoraggi identitari” e “il rimpiazzo delle nostre popolazioni”.

Ora, a parte ogni valutazione sugli omosessuali, scendiamo nello specifico: ammetto serenamente di faticare non poco a comprendere in cosa una legge che, consentendo il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso, attua di fatto una politica di normalizzazione della trasgressione possa nuocere alla tradizione e all’identità della patria francese ed europea più dell’appoggio senza riserve alle guerre imperialiste americane; più del sostegno incondizionato all’entità sionista che occupa militarmente la Palestina; più della totale acquiescenza verso l’occupazione americana del suolo europeo che si protrae da settant’anni; più dell’islamofobia e dello “spirito di crociata” instillato da George Bush jr. nelle torpide coscienze occidentali all’indomani dell’11 settembre.

Con tutto il rispetto per le opinioni e le scelte di Dominique Venner e di chi la pensa come lui, non posso non rilevare che da decenni, ormai, da più parti si afferma a gran voce la necessità imprescindibile di liquidare le categorie mentali di “Occidente” e di “Europa”: perché desuete e anzi dannose per la comprensione delle nuove dinamiche planetarie — e tutto questo a maggior ragione dopo la catastrofe dell’11 settembre 2001: intendendo qui catastrofe nel suo senso più strettamente etimologico di “repentino cambiamento di stato”. A partire da quella data, niente è rimasto come prima: la situazione internazionale è mutata radicalmente, e gli eventi hanno subìto un’accelerazione esponenziale con sviluppi imprevisti. Che a più di un decennio da quei fatti si possa ancora parlare con orgoglio di un’Europa (ma quale?!?) da salvare, è cosa che lascia perplessi — me, almeno.

Non trovo, per concludere, parole migliori di quelle scritte da Alain de Benoist proprio in risposta a Dominique Venner («Alain de Benoist répond à Dominique Venner. La droite en questions», in “Eléments”, n. 119, décembre 2005-février 2006): «La fedeltà è, per esempio, la fedeltà alle promesse che si sono fatte, la fedeltà agli amici che si comportano da amici, la fedeltà al compito che ci si è assegnato, la fedeltà al metodo che si è scelto. La fedeltà non è la testardaggine o l’ostinazione, e meno che mai l’alibi dell’impotenza o della rigidità. Non consiste nel ripetere idee false, anche se questo può aiutare a vivere, né nel gloriarsi di non rimpiangere per principio niente di quel che si è fatto».

 


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