Yves Bataille è una attivista impegnato da decenni nella lotta per la liberazione dell’Europa contro l’occupante atlantista. Ora è sul fronte di Kosovska Mitrovica, dove i Serbi del Kosovo resistono alle truppe di occupazione della NATO.
1) Come è nato il “Movimento delle barricate”?
Yves Bataille – Il movimento nasce a fine luglio, dopo la distruzione del posto di blocco di Jarinje sul confine tra Serbia e Kosovo. È la seconda volta è stato presa d’assalto e incendiata tale postazione. La prima volta fu nel febbraio 2008, dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza della provincia occupata. Questa volta i fantocci albanesi installati dalla NATO hanno inviato la loro “forza speciale Rosa”, creata dagli statunitensi per controllare quello che chiamano confine. In risposta, i serbi hanno eretto barricate e vietato le pattuglie di EULEX (1), la struttura di tutela statunitense-occidentale della colonia. Contrariamente a quanto implica il suo acronimo, EULEX è una macchina statunitense.
2) Qual è la natura di questo movimento? E’ sostenuto nel resto della Serbia?
YB – Non è un’azione marginale. Se l’operazione ha un massiccio sostegno nel nord del Kosovo, ha anche un ampio consenso nel resto della Serbia. A Belgrado il potere filoccidentale di Boris Tadic ha prima cercato di controllare le informazioni e poi, appena le barricate sono state erette, ha imposto un oscuramento totale sull’azione ed ha arrestato diverse persone. I media liberi, soprattutto via Internet, cercavano di spezzare la censura. Le decine di barricate del Nord hanno questo significato: voi ci bloccate, noi vi blocchiamo. Noi non vogliamo dipendere dalle autorità criminali di Pristina. Ci sono diversi tipi di barricate. Le grandi barricate erette nei punti caldi, come quelle delle due postazioni di frontiera, Jarinje e Brnjak, e quello sul “Ponte Austerlitz” sul fiume Ibar, quella di Dudin Krs sulla strada per Pristina, e alcuni altri sono grandi cumuli di blocchi di cemento e di ghiaia o di tronchi di legno, che impediscono la circolazione. Vecchi camion, autobus e macchine per il movimento terra, in genere vengono aggiunti al dispositivo. Le altre barricate sono dei posti di blocco che filtrano il traffico. Le barricate impediscono ad EULEX di muoversi, in modo che le postazioni di frontiera devono essere rifornite da elicotteri. Il traffico in uscita dalla frontiera serba passa attraverso i “percorsi alternativi” dei sentieri di montagna attrezzati, che sono problematici per i camion quando il tempo è cattivo. Ma funziona. Le barricate non si limitano alle barricate. Sono integrate da una sistema di guardia e vigilanza costante, giorno e notte, con una rotazione dei volontari e un sistema di allarme in grado di mobilitare migliaia di volontari nei punti caldi in pochi minuti, se l’allarme viene dato. Nelle chiese i sacerdoti sono incaricati di far suonare le campane. Caratteristica, se la NATO (la “KFOR”) (2) smantella una barricata, una nuova barricata viene eretta velocemente vicino e delle bandiere vengono piantate su di essa. Così attaccare le barricate è inutile. Solidi striscioni idrorepellenti con slogan semplici e leggibili come “Fuori la Nato!”, “Stop KFOR! Stop Eulex!”, “Risoluzione 1244”, o “Referendum”, tutti con i colori della Serbia sono piantati nei dintorni. Il movimento si basa sul metodo della difesa con l’azione civile, la Dac, con strumenti come le tende, che permettono di riposare, riscaldarsi e se necessario curarsi. Una eesistenza con l’azione civile, che non è dissimile dalle teorie della “guerra civile” dello statunitense Gene Sharp, il padre delle “rivoluzioni colorate”, ma che il movimento usa contro i suoi amici. Tutte i professionisti sono mobilitati, in primo luogo medici e vigili del fuoco. Il Movimento delle Barricate non è fine a se stesso. Al suo settimo mese sfocerà in una forte iniziativa politica che irrita la cosiddetta comunità internazionale e i suoi cloni di Belgrado, si terrà il 14 febbraio con un referendum: “Sei per l’istituzione della Repubblica del Kosovo nel nord del Kosovo e Metohija?”. Il Nord troverà la sua via alla posizione del Pridniestrovie (“Transnistria”) a est della Moldova, con un territorio, una bandiera, un inno, una moneta, istituzioni e un’amministrazione. Non ci sarà un esercito, ma forse l’embrione dell’esercito popolare è nel Movimento delle Barricate … In ogni caso, rappresenta la resistenza.
3) Qual è la posizione del potere a Belgrado?
YB – Il potere di Tadic non riconosce l’indipendenza del Kosovo, perché sa che se lo facesse verrebbe spazzato via nelle prossime elezioni, che si terranno quest’anno. Il governo è sotto una duplice pressione, degli Stati Uniti e dei loro seguaci, e quello dell’opinione pubblica serba. Quindi temporeggia. E “negozia” a Bruxelles con i trafficanti di organi albanesi. Prodotto da mani straniere e da combinazioni parlamentari, il governo Tadic ha ottenuto una maggioranza risicata con l’allineamento dei socialisti comprati e corrotti dell’SPS, il partito fondato da Slobodan Milosevic. I tutori statunitensi-occidentali non volevano un governo socialista nazionale con i Radicali. Hanno lavorato affinché i socialisti fossero “premiati” (soldi e ministeri) e per distruggere il Partito Radicale. Hanno indotto una scissione di “destra” al suo interno e creando il Partito Progressista (SNS) del tandem Nikolic – Vucic, sulla falsariga di Alleanza Nazionale in Italia.
4) Qual è lo stato attuale della corrente nazionale in Serbia?
YB – Il Movimento nazionale serbo ha le proprie caratteristiche, ma di recente subisce l’influenza benefica di idee esterne, in particolare dalla Russia e dai settori nazionali rivoluzionari d’Italia e di Francia. L’evoluzione è notevole; fino ai bombardamenti della NATO nel 1999, il movimento nazionalista era dominato dal culto del passato, l’eroica resistenza ai Turchi e agli Austro-tedeschi, i cetnici di Draza Mihailovic, il rifugio nell’Ortodossia. Ma i settori patriottici della vecchia sinistra e dei nazionalisti illuminati alla fine hanno riflettuto sulla geopolitica, rivelando una nuova prospettiva. Così, il Movimento nazionale serbo si è reso conto che il movimento dei Paesi Non Allineati del periodo di Tito non era privo di interesse. E i socialisti hanno (ri)scoperto il nazionalismo. Le guerre di aggressione contro Iraq, Libia e Siria hanno provocato una ondata di solidarietà che si è collegata ad esso. La Libia di Gheddafi ha mobilitato un numero di militanti maggiore che altrove. Lo si può vedere sulle pareti affrescate di Kosovska Mitrovica, alla gloria della Jamahirya.
Penso che dovremmo rendere omaggio a un uomo che era una sorta di precursore, intendo Dragos Kalajic. Dragos ha introdotto in Serbia, negli anni ’90, una nuova dottrina dell’essenza nazionale europea, in un momento in cui il nazionalismo era limitato alla rievocazione delle battaglie del passato e al sostegno a Milosevic. Un sostegno forzato e costretto, perché l’attacco USA-occidentale rendeva obbligatorio difenderlo. Ma il regime statico di Slobodan Milosevic non aveva nessuna visione del mondo, né un qualsiasi progetto politico. Allo stesso tempo, un combattente della Milizia delle Aquile Bianche, Dragoslav Bokan, svolse un ruolo importante nel combinare arte e politica, nazionalismo e bolscevismo in riviste sperimentali. Un ex consigliere di Milosevic, Smilja Abramov, da parte sua ha svolto un lavoro essenziale di documentazione su circoli globalisti e opachi come Bilderberg, Trilateral, Opus Dei, producendo libri. Un Istituto di Studi Geopolitici è stato fondato nell’anno della guerra, ma è stato sabotato dopo i bombardamenti (1999). Il fondatore del gruppo di studio marxista rivoluzionario Praxis (ai tempi di Tito), Mihailo Markovic, con il quale ho avuto per molti anni interessanti conversazioni, era passato, grazie alla crisi (crollo della Jugoslavia, embargo, guerre separatiste dell’Occidente) verso una interessante sintesi del socialismo e del nazionalismo. Mihailo ha svolto un ruolo importante nell’articolare discussioni e argomentazioni.
D’altra parte dei giornali come “Ogledalo” (ora scomparso) e “Geopolitika” di Slobodan Eric, siti informatici d’informazione o di gruppi militanti come Srpska Politika, Apisgroup, Vidovdan, Dveri, 1389, Nasi-1389, Obraz, Nova Srpska Politika Misao, Pokret za Srbiju, ecc. hanno svolto un ruolo innegabile nella diffusione di argomenti innovativi. Si noti anche, adesso, l’importanza delle reti sociali come Facebook per diffondere le idee. Posso aggiungere che nei miei frequenti interventi politico-mediatici dal 1993 ad oggi, ho introdotto nel Movimento nazionale serbo l’approccio geopolitico e soreliano dei fatti. Il russo Aleksandr Dugin è venuto a Belgrado, dove i suoi principali libri sono stato tradotti. Ha tenuto conferenze, ha incontrato tutti. Gli scambi con russi, francesi e italiani, soprattutto quelli del Coordinamento Progetto Eurasia, si sono sviluppati con reciproco vantaggio. Questo lavoro politico opera a monte, cosicché la continuità della crisi (un paese senza frontiere, un popolo che si vede costantemente accusato e attaccato) spiega la forza del pensiero nazionale e la nascita dei blog che rivendicano la prospettiva eurasiatista. Temi e prospettive eurasiatiste sono ora ampiamente discusse. L’Eurasia è vista come un progetto fondamentalmente antioccidentale e non-allineato, che collega la Serbia alla Russia e ad un’altra Europa.
Il Movimento nazionale serbo ha un vantaggio su quelli d’Italia e soprattutto della Francia: è sostenuto da molti intellettuali. Un settore in cui gli statunitensi hanno fallito, qui, è il fronte culturale. Questo non significa che i fastidi USA-occidentali non vengano trasmessi. Usano i media audiovisivi “liberi e democratici” nelle mani delle società capitalistiche anglosassoni e tedesche. Ma fuori di questo paravento artificiale, c’è nelle élite reali e nei popoli un riflesso del rifiuto della sottocultura occidentale. Così la coscienza verticale, la “memoria più lunga” e la proiezione nel futuro si armonizzano. La poesia e i canti popolari e folclorici vivi sono armi di distruzione di massa che l’imperialismo statunitense-occidentale non può bombardare. L’USAID (ambasciata USA), NED (3) e la Fondazione Soros hanno speso parecchio denaro per corrompere il settore culturale, come avevano corrotto il settore politico (politicante) e finanziario, ma i loro rappresentanti hanno finalmente ammesso la sconfitta, in privato.
Va aggiunto che, se i nazionalisti sono rappresentati in parlamento dal Partito Radicale serbo (SRS), indebolito da una scissione della “destra nazionale”, il cuore del movimento è extraparlamentare. Lo si ritrova in una varietà effervescente di associazioni e gruppi. Il Movimento Barricate del Kosovo, per quanto lo concerne, è un movimento di base e autonomo, guidato da uomini e donne del popolo, al di fuori e al di sopra dei partiti. Legato alla “resistenza senza dirigenti”, non è limitato a piccole cellule non collegate, ma si articola sul campo dei gruppi autogestiti e di solidarietà. Nella situazione di disagio in cui si trova, il popolo ha preso in mano il proprio destino. Coloro che nei partiti rifiutano l’irredentismo albanese, la NATO e l’UE, l’appoggiano, ma non ne sono il motore.
5) Ci sono tra la popolazione albanese delle correnti eurasiatiste favorevoli alla restaurazione della Jugoslavia?
YB – Non lo so. La posizione di coloro che potrebbero essere presentati come “nazionalisti albanesi” è insostenibile e inaccettabile: i “nazionalisti” sono ora i soli al mondo, oltre agli israeliani, ad applaudire gli statunitensi, a sventolare le bandiere yankee. La loro identità (etnica, piuttosto che religiosa) li separa dagli Slavi dell’ex Jugoslavia. Come ieri i banditi di Lucky Luciano in Sicilia, essi sono utilizzati come cavallo di Troia dall’invasore, sono immersi in una società criminale dove l’unica industria è quella della prostituzione e della droga; hanno eretto una copia in plastica della Statua della Libertà di New York, alle porte di una Pristina ripulita dai Serbi, hanno dato i nomi delle loro strade a Clinton, Albright e Clark. A titolo di aiuto per la ricostruzione, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e le monarchie petrolifere arabe hanno versato milioni di euro e dollari in parte stornati dalla mafia. L’Arabia Saudita ha riversato un fiume di denaro per creare moschee conformi all’eterodossia wahhabita. In Bosnia ci sono gruppi islamici, ma sono una minoranza.
Ne approfitto anche fare una osservazione. Gli Albanesi sono meno di quanto affermino: dal 1999, 250.000 Serbi se ne sono andati o sono stati espulsi. Un piccolo numero è riuscito a tornare. Vi sono oggi 170.000 Serbi. I due milioni di albanesi dichiarati nel 1999 per giustificare l’attacco della NATO, sono una bugia, in quanto il censimento albanese ha identificato 1.700.000 abitanti nell’aprile 2011 (il nord serbo ha rifiutato il censimento). Sappiamo che dal 1999 una parte della popolazione dell’Albania si è riversata nella provincia per avere sovvenzioni e contributi dalla “comunità internazionale”, aggiungendosi a quelli che già avevano fatto tale passo a nord, durante la colonizzazione precedente, sapendo anche che ben pochi albanesi del Kosovo sono emigrati in Occidente per ragioni di passaporto e visto, si deve concludere che le cifre erano false. Questa gigantesca menzogna, largamente ripresa dalla stampa occidentale, ha facilitato la nuova pulizia etnica a danno dei Serbi e delle minoranze etniche non albanesi. Quindi ricostruire la Jugoslavia con gli emuli di questi albanesi forieri di invasioni e occupazioni, non è all’ordine del giorno.
Le cose potranno sistemarsi un giorno con le altre nazionalità, ma per il gruppo albanese in quanto tale, etnocentrico, gregario e “americanolatra” non vedo come. Lo sguardo degli Shqipetar (4) è rivolto agli Stati Uniti, non all’Eurasia. Gli statunitensi hanno fatto loro credere che avrebbero diritto ad una Grande Albania a scapito di Serbi, Montenegrini, Macedoni e Greci – a spese di tutti i vicini dell’Albania – ed essi ne approfittano, perché tutto è loro permesso.
6) Cosa succede nelle altre enclavi serbe in Kosovo?
YB – Il Nord non è un enclave. Si appoggia sulla Serbia. Le enclavi serbe sono isole e isolotti a sud del fiume Ibar che divide la città di Kosovska Mitrovica. L’entità principale, quella di Strpce, 10.000 abitanti, si trova sulle pendici della montagna Sar Planina, che confina con la Macedonia. Strpce è formata prevalentemente da una dozzina di villaggi serbi che sono sopravvissuti ai bombardamenti del 1999 e alle pulizie etniche del 1999 e 2004. Nelle vicinanze, ma fuori, c’è l’enclave di Velika Hoca, un grazioso borgo medievale conservato, con 14 chiese ortodosse e una specialità che risale al Medioevo, la produzione di vino. Il paese è circondato da vigneti. Nel Kosovo centro-orientale, a pochi chilometri da Pristina, c’è anche Gracanica, centro dell’ortodossia serba, un enclave grande ma porosa, con circa 30.000 abitanti. Le altre enclavi sono sparse. Sono dei villaggi completamente isolati come Gorazhdevac, 1000 abitanti a 6 km da Pec, pezzi di enclavi, ghetti, quartieri come la Collina di Orahovac, dove la maggior parte se ne è andata nel 2004, e rimanendo in condizioni di estrema precarietà che 400 serbi. Poi un serbo mi ha mostrato la strada a 40 metri, e mi ha detto: “vedete questo angolo, mio fratello è andato lì due anni fa e non è mai tornato.”
Grazie e coraggio, compagno …
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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