Ad un paio di mesi dalle elezioni tunisine, le elezioni egiziane segnano un ulteriore sviluppo di quel complesso processo di evoluzione e rivoluzione socio-politica manifestatosi con la Primavera Araba. Il 28 e 29 novembre gli egiziani di nove governatorati (20 milioni su un totale di 50 milioni di aventi diritto al voto, tra cui gli abitanti de Il Cairo e di Alessandria) sono stati chiamati alle urne per le prime elezioni politiche del dopo-Mubarak. Nonostante l’invito al boicottaggio promosso da molti attivisti di Tahrir, le operazioni di voto sono state caratterizzate da un’affluenza alle urne insolitamente elevata rispetto agli standard del Paese (52% al primo turno e 39% nelle giornate dei ballottaggi). Le ultime elezioni egiziane, tenutesi nel novembre 2010, registrarono un’affluenza del 10-15% e furono caratterizzate da arresti e brogli che resero sempre più evidente la volontà oppressiva di un regime, quello di Mubarak, desideroso di mantenere le redini del potere ostacolando le forze politiche emergenti (già allora i Fratelli Musulmani, correndo come indipendenti, si aggiudicarono il numero record di 88 seggi), pur mantenendo un’opposizione di facciata (garantita da forze laiche e minoritarie, quali quella dello storico partito liberale Wafd e del partito di sinistra Tagammu).
A circa un anno dalle ultime elezioni politiche, la vittoria del Partito di Libertà e Giustizia dei Fratelli Musulmani, attestatosi come prima forza politica del Paese con oltre il 40% dei voti, caratterizza il primo turno elettorale. Al secondo posto i salafiti di Al-Nour, aggiudicatisi il 25% dei consensi, seguiti dagli esponenti liberali di Blocco Egiziano (12%) e Wafd (9%) e dall’Allenanza Rivoluzione Continua (4%), una coalizione comprendente Partiti eterogenei ed ideologicamente diversi tra loro: socialisti, liberali e islamisti (oltre ai giovani membri della Fratellanza Musulmana confluiti nell’Egyptian Current Party, la coalizione accoglie i membri di: Partito dell’Alleanza Popolare Socialista, Partito Socialista Egiziano, Partito della Libertà dell’Egitto, Partito di Sviluppo ed Uguaglianza, Coalizione della Gioventù della Rivoluzione e Partito dell’Alleanza Egiziana). Al sesto posto, il Partito islamico al-Wasat (3%).
L’islam politico
Al-Hurriya wa Al-Adalah, il Partito di Libertà e Giustizia e la Fratellanza Musulmana
Storicamente la prima emanazione politica ufficiale della Fratellanza Musulmana egiziana, nasce in seguito alle insurrezioni del 25 gennaio scorso e si rifà ai valori di uno Stato moderno e democratico, rispettoso del principio di unità nazionale e della giustizia (uguaglianza davanti alla legge, giustizia e solidarietà sociale). Seppur distinte e separate dal punto di vista organizzativo e dei finanziamenti (secondo quanto dichiarato dal portavoce Walid Shalabi), la Fratellanza Musulmana e il Partito di Libertà e Giustizia non hanno finora dato prova di comportarsi come entità separate e la Fratellanza ha sostenuto il Partito al punto tale da dare ordine ai propri membri, pena l’espulsione, di non supportare altre forze politiche nella corsa alle ultime elezioni (il Partito “Corrente Egiziana” è nato su iniziativa di alcuni giovani che hanno per questo subito l’espulsione dall’organizzazione). Pur essendo la più imponente forza e organizzazione islamista (nata in Egitto alla fine degli anni ’20, si diffuse entro gli anni ’70 in Siria, Arabia Saudita, Sudan, Giordania, Palestina, Libano, Iraq, Yemen, Kuwait e Bahrein), la Fratellanza fu per anni ufficialmente esclusa dalla vita politica del Paese. A fronte di tale esclusione, sotto il governo Mubarak l’organizzazione candidò spesso i propri membri in qualità di “indipendenti” in altre coalizioni politiche. Utilizzando questo escamotage, i membri della Fratellanza si aggiudicarono il 20% dei seggi nelle elezioni del 2005, proseguendo sulla stessa linea nel 2010. Secondo quanto emerso dalle dichiarazioni del portavoce Walid Shalabi e della Guida Suprema Mohammad Badie, negli ultimi due anni la vita dell’organizzazione sarebbe stata segnata da forti discussioni interne inerenti alla possibilità, concretizzatasi nel maggio del 2011 con la nascita del partito al-Hurriya wa al-Adalah, di creare un partito politico che fosse una diretta emanazione degli Ikhuan. Sebbene la Fratellanza non abbia inizialmente dato il proprio consenso ufficiale alla partecipazione alle manifestazioni di protesta e nonostante le dichiarazioni secondo cui in caso di crollo del regime di Mubarak la Fratellanza non avrebbe preso parte alle elezioni nazionali, le insurrezioni hanno alimentato le velleità politiche dell’organizzazione come mai prima d’ora. Attualmente la Fratellanza è la forza politica con più risorse e meglio organizzata dopo lo scioglimento, con la sentenza della Suprema Corte Amministrativa del 16 Aprile 2011, del Partito Nazional Democratico di Mubarak. Nonostante le dichiarazioni di Muhamd Morsi su al-Ahram, secondo cui Libertà e Giustizia non avrebbe gareggiato per più del 45% dei seggi, nel giugno 2011 il Partito si è unito (insieme ad altri partiti, tra cui il Wafd) all’Alleanza Democratica, presentando più di 500 candidati (concorrendo così per più del 70% dei posti in Parlamento). Più dei numerosi contrasti in seno a questa coalizione (il partito Wafd lasciò l’Alleanza dopo poco criticando, anche se in maniera non ufficiale, il ruolo egemonico del partito degli Ikhuan), molto è stato detto in merito all’alleanza (smentita dai membri di Libertà e Giustizia) tra il partito degli Ikhuan e le altre forze di matrice islamica: al-Nour, al-Asala e Blocco Islamico. A causa della mancata partecipazione ufficiale ai sit-in di protesta, alla non-adesione al boicottaggio delle elezioni (giustificata dai membri di Libertà e Giustizia nella volontà di giungere nel più breve tempo possibile alla fine del governo militare) e all’accettazione degli emendamenti alla Costituzione proposti dallo SCAF, il partito degli Ikhuan è stato duramente criticato dal popolo di piazza Tahrir. Nonostante i compromessi, che hanno indubbiamente visto al-Hurriya wa al-Adalah schierarsi in modo impopolare dalla parte di un’élite, il grande successo elettorale testimonia la notevole capacità comunicativa e di tenuta del Partito.
I salafiti di Al-Nour
Anch’esso nato in seguito alle insurrezioni del gennaio 2011, è il maggior Partito salafita (al fianco di al-Asala e al-Fadila). Creato da al-Da’wa al-Salafiyya, il più grande movimento salafita egiziano, il Partito potrebbe dovere il grande successo elettorale raggiunto in questa prima tappa elettorale proprio al legame con al-Da’wa che, pur raccogliendo adesioni in tutto il Paese, ha la propria roccaforte ad Alessandria (coinvolta in questa prima tornata e seconda città per numero di abitanti). Ufficialmente riconosciuto dopo il 3 giugno 2011, mira all’unificazione dei movimenti islamici egiziani e all’applicazione dei principi islamici a tutti gli aspetti della vita sociale e politica del Paese (Yasser Borhami ha enfatizzato il ruolo onnicomprensivo dell’Islam come “din wa dawla”-religione e Stato). Il Partito contrappone al sistema di governo parlamentare (sostenuto dalla Fratellanza) un sistema misto che, sul modello francese, combini elementi dei sistemi presidenziale e parlamentare. Dal punto di vista programmatico si distingue dalle altre forze politiche poiché, facendo leva sul senso della carità islamica, propone una redistribuzione equa dei redditi, chiedendo inoltre l’adeguamento dell’economia egiziana ai principi dell’Islam. Sebbene il Partito sia vicino alle posizioni conservatrici del wahhabismo saudita, il motto scelto per le elezioni potrebbe far riferimento ad una volontà di applicazione graduale della sharia (ipoteticamente in vista di un’evoluzione della società che non elimini le alterità, senza giungere agli estremi del secolarismo di stampo occidentale da un lato e del fondamentalismo islamico dall’altro). Nonostante gli attivisti salafiti, in seguito al ritiro delle forze armate del 28 gennaio scorso, si siano costituiti in comitati a tutela della sicurezza nazionale e abbiano dichiarato la propria contrarietà al giudizio di civili da parte di tribunali militari (arrivando a chiedere la scarcerazione dei prigionieri arrestati sulla base delle leggi di emergenza), molte critiche sono state mosse al Partito in seguito alla mancata presa di posizione contro il regime di Mubarak e alla decisione di non prendere parte alle sollevazioni di protesta del gennaio 2011. A questo proposito, controversa è la figura del co-fondatore Yasser Barhami, criticato per aver appoggiato l’alt alla protesta da parte dello SCAF e per aver esortato alla pazienza dopo l’uccisione del salafita Sayed Belal. Molto contestata anche la posizione assunta nei confronti delle donne (il cui volto è stato sostituito con delle rose nei manifesti elettorali) che, seppur candidate, si sono viste spesso relegate agli ultimi posti di liste partitiche bloccate. In seguito all’ottenimento della licenza nel giugno 2011 (ricordiamo che la legge elettorale in vigore permette solo ad un limitato numero di partiti politici di concorrere per i seggi parlamentari assegnati con il sistema proporzionale) e dopo una breve parentesi all’interno dell’Alleanza Democratica, al-Nour ha partecipato alle elezioni schierandosi tra i partiti della coalizione del Blocco Islamico (detto anche Allenaza per l’Egitto), insieme ad al-Asala ed al Partito Costruzione e Sviluppo (emanazione della Gama’a al-Islamiyya).
L’islamismo moderato di Al-Wasat
Formatosi nel 1966, ben prima delle rivolte del gennaio 2011, il Partito ha ottenuto la licenza a correre per le elezioni politiche soltanto una settimana dopo la caduta di Mubarak. Spesso descritto come l’alternativa islamico/moderata alla Fratellanza Musulmana, di cui include alcuni membri (tra cui il leader Abul Ela Madi), ha una lunga storia di opposizione al regime di Mubarak (sviluppatasi soprattutto in merito al progetto dell’ex-presidente egiziano di far transitare il proprio potere nelle mani del figlio Gamal). Gli attivisti di al-Wasat hanno preso parte alle manifestazioni di piazza Tahrir del 30 settembre chiedendo la fine del del governo militare e dello stato di emergenza (il cui termine è stato chiesto tramite la sigla di un documento apposito, stilato congiuntamente ad altre forze politiche), elezioni presidenziali entro aprile 2012 e la formazione di un’assemblea costituente equilibrata. Dal punto di vista economico, il Partito ha chiesto lo stanziamento di sussidi sui servizi pubblici e l’approvazione di programmi di sviluppo, in vista di un’economia che, pur basata sul libero mercato, conceda allo Stato un margine di intervento volto a garantire equità sociale. Promuovendo un’immagine di Islam compatibile con la democrazia, il Partito si è opposto alle discriminazioni religiose (nel 2000 Madi ha fondato l’Associazione egiziana per il Dialogo e la Cultura, un’organizzazione no-profit volta a favorire il dialogo tra cristiani e musulmani). Come al-Nour, al-Wasat contende i voti degli islamisti egiziani al Partito di Libertà e Giustizia, con il quale ha inizialmente condiviso la partecipazione all’interno dell’Alleanza Democratica (per poi ritirarsi, probabilmente a causa di contrasti dovuti alla posizione egemonica degli Ikhuan). Col tempo il Partito ha instaurato buone relazioni con le forze non islamiche, tanto che i membri di al-Wasat hanno avuto un ruolo centrale nella formazione del Kefaya Movement (nato nel 2004 per chiedere le dimissioni di Mubarak), contribuendo attivamente anche alle attività dell’Associazione Nazionale per il Cambiamento e la Riforma (creata nel 2010 per chiedere riforme democratiche e elezioni presidenziali libere e corrette). Nonostante quest’attitudine alla collaborazione, negli ultimi mesi la vita del Partito sarebbe stata segnata da screzi con le forze liberali, sviluppatisi in merito al disccordo di al-Wasat circa gli emendamenti proposti dallo SCAF e approvati dal 77% degli egiziani il 19 marzo 2011.
Le forze liberali
Al-Katat al-Masriy, il Blocco Egiziano
Coalizione composta dal Partito degli Egiziani Liberi (50% dei membri della coalizione), dal Partito Socialdemocratico (40% dei membri) e dallo storico Partito di sinistra al-Tagammu (10% dei membri). Sebbene inizialmente l’Alleanza contasse oltre 21 Partiti (tra cui il Partito della Libertà, l’Alleanza Social-Popolare, il Partito Socialista egiziano, il Fronte Democratico, il Partito dei Sufi di Tahrir), la partecipazione al Blocco è diminuita in seguito a conflitti interni inerenti il numero di candidati per ciascun Partito e alle accuse, mosse al Blocco, riguardanti la partecipazione di ex-membri del Partito Nazional Democratico. Quest’ultima motivazione ha spinto alcuni ad accusare il Blocco di mancata trasparenza nel processo di selezione dei propri candidati. I detrattori della coalizione evidenziano inoltre l’accostamento di Partiti dalle agende economiche diverse e contraddittorie (tra questi i socialisti di al-Tagammu ed i capitalisti del Partito della Libertà), riunite al solo scopo di sviluppare un polo in grado di controbilanciare il potere degli islamisti della Fratellanza Musulmana (posizione smentita dal leader Muhammad Abul-Ghar, il quale ha insistito sottolineando l’apertura agli islamisti che avessero condiviso le linee programmatiche della coalizione). Dal punto di vista programmatico, il Blocco Egiziano si propone la creazione di uno Stato civile e democratico, la promozione della prosperità sociale attraverso un’economia liberale e l’incremento della giustizia sociale.
I liberali di al-Wafd
Dismesso sotto il regime di Nasser, lo storico partito liberale egiziano rinasce nel 1978 con il nome di Nuovo Wafd (oggi semplicemente al-Wafd). Pur avendo esteso la propria rete di elettori e finanziamenti e la propria sfera di influenza mediatica (il Partito possiede un giornale e un sito internet ed il suo leader, al Badawi, è proprietario di al-Hayat, una delle cinque televisioni di punta egiziane) al-Wafd ha mantenuto sostanzialmente inalterati i propri principi cardini (democrazia, libertà di espressione, indipendenza della magistratura), chiedendo inoltre l’ampliamento dei poteri del Capo dello Stato, maggior giustizia sociale, l’instaurazione di un’economia di mercato liberale e favorevole agli investimenti stranieri e la divisione tra religione e Stato (secondo il motto “la religione è per Dio, lo Stato per tutti”). Pur avendo boicottato le proteste di settembre in piazza Tahrir e nonostante l’opposizione di al-Badawi al monitoraggio internazionale delle elezioni (secondo il leader di al-Wafd, una forma di interferenza straniera nella politica interna del Paese), il Partito chiede un arretramento nelle prerogative concesse all’esercito (come il giudizio di civili da parte di tribunali militari). Nonostante il suo peso politico, negli ultimi anni il Partito è stato spesso criticato a causa dell’accondiscendenza mostrata nei confronti del PND di Mubarak (essendo tutt’ora accusato di aver “riciclato” candidati nazional-democratici). Le già tormentate (ad eccezione di alcuni episodi di alleanza in chiave anti-PND) relazioni con la Fratellanza Musulmana sono migliorate dopo il 2010 e l’elezione del leader al-Badawi. Nelle recenti competizioni elettorali, il Wafd ha inizialmente accettato di correre insieme ai Partiti dell’Alleanza Democratica, uscendo poi dalla coalizione in seguito a disaccordi con il Partito di Libertà e Giustizia (pur continuando a condividere il Codice d’Onore dell’Alleanza).
Conclusioni e linee d’ombra
Una lettura attenta dei risultati di questa prima tornata elettorale suggerisce alcune considerazioni. La prima riguarda il risultato ottenuto dai Partiti islamisti (i quali hanno raggiunto complessivamente un sostegno di oltre il 60%). E’ innanzitutto utile contestualizzare la vittoria dei movimenti islamisti all’interno di un percorso caratterizzato dalla svolta partecipazionista dell’Islam politico moderato e segnato dalla vittoria del movimento islamista palestinese di Hamas alle consultazioni del 2006. L’intento partecipazionista dimostrato da Hamas è stato riproposto, sebbene in tempi più lenti, dai Fratelli Musulmani egiziani del Partito di Libertà e Giustizia. Il filo rosso che lega gli islamisti egiziani al popolo palestinese è stato messo in luce dallo stesso Abu Marzuq (numero due di Hamas) il quale ha espresso la sicurezza che “il Popolo egiziano continuerà a stare accanto al Popolo palestinese”. Dal punto di vista programmatico, i Partiti islamisti egiziani hanno dimostrato attaccamento alla causa palestinese, dichiarandosi talvolta disponibili ad una “revisione” del trattato di Camp David tra Egitto e Israele. A questo riguardo, la presa di posizione di alcuni membri del Partito di Libertà e Giustizia (che annovera tra i suoi Al-Beltagi, finito nelle carceri israeliane dopo aver partecipato alla missione della Flottilla per Gaza) è stata più netta rispetto a quella dei membri di al-Nour che, nel complesso del proprio programma elettorale, si sono dimostrati meno attenti alle relazioni internazionali tra Egitto e Paesi vicini, non entrando in merito alla questione del trattato o dei diritti dei palestinesi. La posizione di al-Nour potrebbe essere condizionata dal proprio legame con il wahhabismo e quindi con l’Arabia Saudita. Il Partito salafita è già stato accusato di ricevere finanziamenti dalla monarchia saudita, dal Qatar e addirittura dagli Stati Uniti. Queste voci, se confermate, definirebbero l’immagine di un Partito che, lungi dal conformarsi alle prospettive allarmiste sviluppate da molti media internazionali, si allineerebbe alle politiche della monarchia saudita (storica alleata statunitense) determinando la creazione, in Egitto, di un avamposto utile a favorire le strategie statunitensi (e quindi occidentali) in Medio Oriente. D’altra parte, il leader di un partito storicamente liberale come quello del Wafd, al-Badawi, ha criticato il trattato israelo-egiziano, criticando inoltre l’ingerenza statunitense nella politica interna del Paese. Le posizioni relative alle relazioni estere potrebbero quindi non riproporre la dinamica, spesso data per scontata, che vedrebbe i partiti liberali muoversi in maniera più favorevole agli interessi occidentali in Nord-Africa e Medio Oriente.
Questa questione introduce un’altra considerazione, relativa alla percezione, spesso reiterata dai mass-media occidentali, di un dualismo islamisti/liberali come unica relazione determinante la situazione politica egiziana. Come alcuni analisti hanno sottolineato, una lettura attenta dovrebbe andare oltre al percepito dualismo tra forze laiche e religiose, considerando invece l’opposizione tra un’oligarchia desiderosa di conservare il regime precedente alle rivoluzioni ed un Popolo sovrano, deciso a trasformare il regime, un’opposizione tra potere militare e politica delle masse. In quest’ottica risultano fondamentali i legami e le alleanze, precedentemente evidenziati, tra Partiti politici, piazza ed élite militare. In questo senso, il fatto che le consultazioni elettorali abbiano, fino a questo punto, evidenziato la forza di partiti islamisti come il Partito di al-Nour (cresciuto all’ombra di Mubarak, che ha utilizzato il movimento nel tentativo di erodere i consensi attribuiti alla Fratellanza Musulmana) e il Partito di Libertà e Giustizia (accusato dalla piazza di essere sceso a compromessi con il Consiglio Militare) ha portato molti a parlare di “sconfitta” per i manifestanti di Tahrir. Sebbene sia innegabile che l’ombra dello SCAF si allunghi ancora sul processo iniziato con i moti di gennaio, uno sguardo più ampio alla situazione socio-politica egiziana suggerisce che la rivoluzione dei giovani delle classi subalterne egiziane (marginalizzati nel processo di transizione) non è sopita. Chiunque salirà al potere sarà ora destinato a fare i conti con dei giovani che non smetteranno di reclamare il proprio diritto ad un avvenire dignitoso, costringendo le classi dirigenti ad una seria rielaborazione del rapporto tra potere e cittadini comuni.
Nijmi Edres è dottoranda presso l’Università di Roma “La Sapienza”.
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