di Lucio Flavio Arriano *
I Le terre oltre il fiume Indo verso occidente fino al fiume Cofene (1) sono abitate dagli Astaceni e dagli Assaceni, popolazioni indiane. Non sono però alti di statura come gli abitanti della regione al di qua dell’Indo, né sono altrettanto valorosi, né sono neri quanto la maggior parte degli Indiani. Costoro anticamente erano soggetti agli Assiri; dopo i Medi, obbedivano ai Persiani e recavano a Ciro, figlio di Cambise, tributi provenienti dalla loro terra, che Ciro avevano loro imposti. I Nisei non sono di stirpe indiana, ma sono un popolo di quelli che assieme a Dioniso giunsero alla terra degli Indiani: o Greci che erano stati messi fuori combattimento nelle guerre combattute da Dioniso contro gl’Indiani, o indigeni che egli fece abitare insieme coi Greci, dal momento che essi lo desideravano. Dioniso chiamò Nisea la regione, dal monte di Nisa, e Nisa la città stessa. Il monte vicino alla città, alle falde del quale è stata fondata Nisa, viene chiamato Meros, da un fatto che capitò a Dioniso appena egli nacque. Questo evento lo hanno cantato i poeti; lo raccontino quelli dei Greci o dei barbari che sono eruditi (2). Nel territorio degli Assaceni c’è Massaca, una grande città, nella quale si trova il potere politico dell’Assacia; un’altra città è Peucelaotide (3), grande anch’essa, a non grande distanza dall’Indo. Queste terre sono abitate al di là dell’Indo, verso occidente fino al Cofene.
II Le terre dall’Indo ad oriente: sono queste che io chiamerò India, sono quelli che chiamerò Indiani. I confini dell’India sono, a nord, la catena montuosa del Tauro. In quel paese, però, non si chiama più Tauro; il Tauro comincia dal mare che bagna la Panfilia, la Licia e la Cilicia e si estende fino al mare orientale tagliando tutta l’Asia. La catena montuosa si chiama diversamente nei diversi luoghi: qui Parapamiso (4), là Emodo (5); altrove è chiamata Imao e forse ha altri ed altri nomi ancora. I Macedoni che fecero la spedizione con Alessandro la chiamavano Caucaso (un altro Caucaso, questo, non quello scitico), sicché è diffusa la voce secondo cui Alessandro sarebbe arrivato al di là del Caucaso. A occidente dell’India, il fiume Indo segna il limite fino al grande mare, dove si getta con due foci: non sono vicine tra loro, queste foci, come sono vicine le cinque foci dell’Istro (6); ma come quelle del Nilo, dalle quali è formato il Delta egiziano, così anche il fiume Indo forma il Delta dell’India, che non è più piccolo di quello egiziano; e questo, nella lingua degli Indiani, si chiama Patala (7). Verso sud-est e mezzogiorno, è il grande mare a delimitare l’India; verso oriente, essa è delimitata dal medesimo mare. I territori meridionali nei pressi di Patala e delle foci dell’Indo furono visitati da Alessandro, dai Macedoni e da molti Greci; i territori orientali non furono percorsi da Alessandro oltre il fiume Ifasi; pochi hanno descritto i territori fino al fiume Gange e i luoghi in cui si trovano le foci del Gange e la città di Palimbothra (8), la più grande dell’India, sul Gange.
III Per me Eratostene di Cirene (9) sarà più credibile di altri, perché Eratostene si occupava della figura circolare della terra. Egli dice che, andando dalla catena del Tauro, dove sono le sorgenti dell’Indo, lungo lo stesso fiume Indo fino al grande mare e alle foci dell’Indo, questo versante si estende in India per sedicimila stadi. Il versante opposto, che va dalla medesima catena al mare orientale, egli non lo ritiene uguale a questo versante, ma dice che molto più in là fa sporgere nel mare un promontorio, per tremila stadi al massimo. Per lui, dunque, il versante orientale dell’India si estenderebbe per sedicimila stadi. Questa è per lui la larghezza dell’India. La lunghezza da occidente ad oriente, fino alla città di Palimbothra, egli dice di riferirla secondo la misurazione in scheni (10); dice infatti che è una strada regale e che essa si estende per diecimila stadi. Sulla parte che sta al di là non c’è altrettanta precisione; coloro che ne hanno riportato notizia dicono che si estenda per diecimila stadi al massimo, compreso il promontorio che si sporge nel mare; la lunghezza dell’India sarebbe dunque di ventimila stadi al massimo. Ctesia di Cnido dice che l’India è grande quanto il resto dell’Asia, ma dice una sciocchezza, come Onesicrito, secondo il quale essa sarebbe la terza parte di tutta quanta la terra. Nearco dice che per attraversare la pianura dell’India occorrono quattro mesi. Per Megastene la larghezza dell’India da oriente ad occidente è quella che gli altri chiamano lunghezza; e Megastene dice che, dove la distanza è più breve, è di sedicimila stadi. Per lui la lunghezza è quella che va da settentrione a mezzogiorno e si estende, nel luogo più stretto, per ventiduemilatrecento stadi. In India ci sono tanti fiumi quanti non ve ne sono in tutta l’Asia. I più grandi sono il Gange e l’Indo, dal quale il paese trae il suo nome; entrambi sono più grandi del Nilo egiziano e dell’Istro scitico, anche se l’acqua di questi ultimi si riunisse. Anche l’Acesine, mi sembra, è più grande dell’Istro e del Nilo, là dove, dopo aver ricevuto l’Idaspe, l’Idraote e l’Ifasi insieme, si getta nell’Indo, che lì ha una larghezza di trenta stadi; e forse nell’India scorrono anche molti altri fiumi più grandi.
IV Io però non posso affermare nulla di preciso circa le regioni al di là dell’Ifasi, poiché Alessandro non andò oltre l’Ifasi. Circa i due più grandi, il Gange e l’Indo, Megastene e quanti altri hanno fatto menzione del Gange riferiscono che è il Gange ad essere alquanto superiore per grandezza; esso infatti e già grande quando sgorga dalla sorgente e riceve entro di sé il fiume Kainas, l’Erannoboas e il Kossoanos, tutti navigabili; poi, ancora, il fiume Sonos, il Sittokatis e il Solomatis, navigabili anch’essi; poi il Kondokhates, il Sambos, il Magon, l’Agoranis e l’Omalis. Vi si gettano poi il Komminases, che è un grande fiume, il Kakuthis e l’Andomatis, che scorre dal territorio abitato dalla popolazione indiana dei Madiandini. Oltre a questi, l’Amystis, presso la città di Katadupe, e l’Oxymagis, nel territorio di quelli che sono chiamati Pazali. Nel territorio dei Mathi, popolazione indiana, si getta nel Gange anche l’Errenysis. Megastene dice che nessuno di questi è inferiore al Meandro, là dove il Meandro è navigabile. Il Gange, là dove esso è più stretto, ha una larghezza di circa cento stadi; in molti luoghi forma degli stagni, sicché non è visibile la terra dell’altra riva, là dove essa è più bassa e non si eleva nessuna collina. Per l’Indo vale lo stesso. L’Idraote, nel territorio dei Cambistoli, dopo avere ricevuto l’Ifasi nel territorio degli Astribi, il Sarange da quello dei Cecei e il Neudro da quello degli Attaceni, si getta nell’Acesine. L’Idaspe, nel territorio degli Ossidraci, si getta anch’esso nell’Acesine, portando seco pure il Sinaro, che accoglie in sé nel territorio degli Arispi. L’Acesine si getta nell’Indo nel territorio dei Malli; e il Tutapo, un grande fiume, si getta nell’Acesine. L’Acesine, ingrossato dalle loro acque e conservando il proprio nome, si getta nell’Indo. Nella Peucelaotide, portando con sé il Malamanto, il Soasto e il Garrea, il Cofene si getta nell’Indo. A monte di questi, si gettano nell’Indo il Pareno e il Saparno, non molto distanti tra loro. Il Soano, provenendo dal paese montuoso degli Abissari (11), vi si getta senza portar seco alcun altro fiume. Megastene dice che, per la maggior parte, sono navigabili. Bisogna dunque ritenere credibile, per quanto concerne l’Indo e il Gange, che l’Istro e il Nilo non siano loro paragonabili. Sappiamo che nessun fiume si getta nel Nilo, ma che da esso derivano dei canali scavati nel territorio egiziano; l’Istro, piccolo quando esce dalle sorgenti, riceve sì molti fiumi, ma il loro numero non è pari a quello dei fiumi dell’India che si gettano nell’Indo e nel Gange e pochissimi di loro sono navigabili; tra questi, l’Eno e il Sao – lo so perché li ho visti. L’Eno si unisce all’Istro al confine del territorio dei Norici e dei Reti, il Sao nel territorio dei Peoni. La regione in cui questi fiumi si incontrano è chiamata Taurino. Se c’è qualcuno che, tra gli affluenti del Danubio, ne conosce un altro che sia navigabile, non ne conosce comunque parecchi.
V Chi vuole spiegare il perché della quantità e della grandezza dei fiumi indiani, lo spieghi. A me basti di avere riferito queste notizie così come le ho sentite. Infatti Megastene ha riferito i nomi di molti altri fiumi che, al di fuori del Gange e dell’Indo, si gettano nel mare orientale e in quello meridionale, sicché di ceche i fiumi indiani sono, in totale, cinquantotto (12), tutti navigabili. Ma non mi sembra che Megastene abbia percorso gran parte della regione degli Indiani, anche se, certamente, una parte più grande di quella che fu percorsa dagli uomini di Alessandro. (…)
* Lucio Flavio Arriano, nato a Nicomedia fra l’85 e il 95 d.C., studiò filosofia alla scuola stoica di Epitteto, del quale fu anche editore. Distintosi come ufficiale nella campagne partiche di Traiano (114-117), sotto Adriano fu proconsole in Spagna, quindi fu legato imperiale in Cappadocia, dove nel 134 sconfisse gli Alani; trasferitosi ad Atene, divenne arconte eponimo nel 145/6. Morì intorno al 175. Molte sue opere di considerevole importanza (Bithynika, Parthika ecc.) sono purtroppo perdute; tra quelle che ci rimangono, le principali sono la Anabasi di Alessandro e gli Indika, che in qualche modo ne costituiscono un’appendice. Gli Indika sono un opuscolo in 43 capitoli che tratta di una fase particolare della spedizione di Alessandro: il viaggio della flotta greca dalle foci dell’Indo al Golfo Persico. Ne abbiamo tradotto la parte iniziale, che contiene una descrizione geografica dell’India. (Claudio Mutti)
- Affluente dell’Indo, l’odierno Kabul. Nel VI libro del Mahâbhârata il Cofene è menzionato con tre suoi affluenti: Suvastu, Gauri, Kampana. Il secondo e il terzo affluente sono citati più sotto coi nomi di Soasto e Garrea.
- Secondo il mito al quale Arriano fa allusione, Semele figlia di Cadmo venne incenerita dalla folgore di Zeus, poiché il dio acconsentì alla richiesta di lei di apparirle in tutta la propria magnificenza. Rimase però intatto, tra le ceneri di Semele, il feto che la donna aveva concepito durante il suo rapporto con Zeus; questi lo raccolse e se lo cucì entro una coscia, per portare a termine la gestazione. Dalla coscia divina uscì Dioniso; e ciò avvenne presso una montagna indiana, che, dalla parola greca per “coscia” (meròs), venne chiamata Meròs. (Cfr. Strabone, XV, 1, 8). Il nome sanscrito di tale montagna, che nella cosmologia indù rappresenta l’axis mundi, è Meru (o Sumeru).
- Corrisponde al toponimo indiano Pushkalavati.
- È il massiccio dell’Hindu-Kush.
- È la parte della catena himalayana che lungo il Nepal si estende verso la Birmania.
- Il Danubio.
- Il nome del delta era Patalene, mentre Patala ne era la città più importante. In realtà, il delta dell’Indo ha un’estensione inferiore a quella del Nilo.
- Pataliputra.
- Autore tra l’altro anche di opere di geografia, Eratostene (275-195) calcolò per primo la lunghezza della circonferenza della terra. Divise la superficie terrestre in diversi settori, uno dei quali coincideva con l’India.
- Lo scheno, unità di misura d’origine egizia, equivale a 40 stadi (6.300 metri).
- Probabilmente si tratta del popolo su cui regnava Abhisara, un sovrano che regnò nel Kashmir e si sottomise ad Alessandro.
- Plinio il Vecchio (VI, 21, 60) aveva fissato a sessanta il numero dei grandi fiumi dell’India.
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