Intervista a Giorgio Bianchi a cura di “Eurasia”
Giorgio Bianchi, vuole esprimere il Suo parere sul progetto denominato Rearm Europe e sulla manifestazione di sostegno del prossimo 15 marzo (“Una piazza per l’Europa”)?
ReArm Europe è l’ennesima operazione di rapina ai danni del contribuente europeo.
Si tratta sostanzialmente della solita gigantesca operazione di indebitamento, per rendere l’Europa sempre più sottomessa ai mercati e i tagli allo stato sociale sempre più inevitabili. In pratica va a sostituire il sempre più inattuale Green New Deal: stessa retorica emergenziale, stessa grancassa di media e pseudo-intellettuali, nonostante i presupposti in flagrante antitesi.
Indebitati fino al collo, l’idea geniale è quella di indebitarsi ancor di più, per armarsi e difendere i “valori occidentali” dall’avanzata del nuovo Hitler. Che nel frattempo possiede un l’arsenale atomico da 6000 testate, padroneggia la tecnologia ipersonica e ha l’esercito più combat ready del pianeta. Cos’è che potrebbe andare storto?
Per Rheinmetall (Germania), Leonardo (Italia), Tahles (Francia) eBae Systems (GB) sicuramente nulla. Anzi. Per gli Usa va anche meglio, visto che una buona parte degli investimenti europei finirà nelle loro tasche secondo una precisa partita di giro (gli armamenti più avanzati utilizzano componenti elettronici statunitensi, per non parlare poi dei consumi energetici).
L’obiettivo strategico imperialista è tenere Russia ed Europa in uno stato di allerta permanente, in modo tale che si dissanguino reciprocamente come avvenne ai tempi dell’URSS e mettano in secondo piano le questioni globali per concentrarsi nell’ambito regionale. Il vantaggio russo nei confronti dell’Europa è comunque evidente, sia sul piano energetico che delle materie prime.
Parallelamente Trump continuerà a fare il poliziotto buono, nell’ottica di smarcare gli USA dal pantano ucraino e mollando i cocci in mano ad un Europa impossibilitata a liberarsi con la stessa ineffabilità, per via dell’inerzia acquisita in anni di retorica roboante.
Agli Usa interessa principalmente, tornare al più presto a fare a affari con Mosca, non la pace in Europa. Anzi. Il gioco delle parti con l’EU capita a fagiolo. È talmente perfetto da sembrare studiato. Se Trump volesse davvero la pace, tratterebbe i leader europei allo stesso modo in cui ha trattato Zelensky. E potrebbe esercitare tutta la pressione economica di cui dispone.
Ma in realtà a lui serve che, con costi energetici e debiti sempre più insostenibili (e popolazioni sempre più impoverite), l’Europa continui a deindustrializzarsi a beneficio degli USA, che nel frattempo si potranno concentrare sul Medio Oriente per interposta Israele, ma soprattutto sull’indo-pacifico.
Il plot fornisce comunque a tutti una giustificazione da vendere alla propria opinione pubblica: per i trumpiani se la pace fallisce è colpa dell’Europa, per quest’ultima, il riarmo è colpa dello sganciamento del putiniano Trump. Quando si dice una buona sceneggiatura.
Sulla manifestazione stendo un velo pietoso, trovo il solo parlarne, offensivo per l’intelligenza dei lettori.
Un esponente del collaborazionismo trumpista (ex dirigente di un partito “comunista” che sostenne un governo attivamente complice dei bombardamenti NATO su Belgrado e ora sodale politico di un generale della NATO) accusa di essere “un idiota o un nemico” chi, come Lei e Alessandro Di Battista, non capisce che Trump starebbe “disarticolando il blocco occidentale del totalitarismo globalista”. Che cosa risponde?
Rispondo che i laboratori della guerra cognitiva hanno fornito a questi soggetti il solito pacchetto di idee precotte da distribuire alle masse, al fine di riportarle nell’alveo della più classica delle opposizioni controllate.
A sinistra gli interessi imperiali sono affidati al PD stampellato dai 5 Stelle, a destra si prevede il duo FDI-Lega stampellato da una nuova forza cosiddetta antisistema.
Il generale della Nato e il comunista potrebbero occupare questa nicchia.
La futura narrazione politica in Europa sarà tutta dominata dall’incontro di wrestling tra i cosiddetti mondialisti e i cosiddetti sovranisti trumpiani (Piccole AFD crescono).
Ovvero tra le due facce dell’imperialismo: quello morente e quello nascente. Il risultato sarà il completo sdoganamento della postura autoritaria e della politica muscolare. Autoritarismo già introdotto concettualmente dalle sinistre mondialiste e pronto per essere consegnato a chi ha il physique du rôle per farlo funzionare a dovere. Vatti a lamentare dopo che ti sei prestato a fare da cavallo di Troia.
Gli USA hanno appena consegnato a cinque paesi NATO, fra cui l’Italia, le nuove bombe nucleari all’idrogeno (modello B61-12). Intanto il “Telegraph” informa che il presidente degli Stati Uniti sta valutando la possibilità di spostare circa 35mila soldati americani dalla Germania per insediarli in Ungheria. Ritiene che Trump sia “l’uomo di pace” osannato dai cosiddetti “sovranisti” o pensa che invece sia l’autore di una ristrutturazione dell’imperialismo statunitense?
Come dicevo poc’anzi, bisogna distinguere le chiacchiere messe in circolo sul web, dai fatti e dagli obiettivi strategici.
Trump (assieme al suo entourage, Musk su tutti) sta polarizzando il dibattito pubblico su sé stesso. La propaganda, come ci insegna Bernays, attecchisce meglio in un sistema binario. Saturando i social di proclami, dichiarazioni e frasi ad effetto, si toglie aria a tutti gli altri temi. I social hanno finalmente fatto sì che il dibattito in Occidente ruoti esclusivamente attorno alla politica estera degli USA. In questo modo il pubblico si interessa solo a questa (perché è l’unico argomento attorno a cui si dibatte) e si polarizza secondo le linee guida prestabilite. Gli agenti di influenza hanno poi il compito di distribuire alle parti le parole e le emozioni e di stabilire il frame del dibattito. Detto questo, la strategia Usa resta quella di alimentare il conflitto tra Europa e Russia attraverso le quinte colonne infiltrate nel tempo, trasformare Israele in una potenza globale (con il necessario spazio e la necessaria demografia) in modo da affidargli la riorganizzazione del Medio Oriente e poi disinnescare la minaccia cinese. Senza tralasciare il Centro-Sud America.
Non credo che questi obiettivi siano compatibili con una politica isolazionista.
La sostituzione avvenuta in epoca Biden della Nuland con Kurt Campbell, è stata la cartina di tornasole dello spostamento del baricentro verso il lontano Oriente. E l’ulteriore conferma della perfetta continuità strategica tra le diverse amministrazioni. Campbell è considerato il capo architetto della strategia asiatica di Joe Biden.
Lei ha capito che l’obiettivo di Washington, indipendentemente dalla fazione al governo, è di favorire lo scontro fra la Russia e l’Europa centro-occidentale, poiché la saldatura fra queste due parti del continente eurasiatico segnerebbe il tramonto definitivo dell’egemonia statunitense. La ricerca di uno scontro con Mosca perseguito dalle classi dirigenti europee deve quindi essere inquadrata in una strategia che, in modo apparentemente paradossale, dovremmo considerare antieuropea?
Si sta parlando tanto del cosiddetto “ombrello nucleare” francese e inglese. In pratica ci offrono un ombrellino da cocktail, quando potremmo avere un bell’ombrellone russo.
Non può esistere una soggettività europea prescindendo dalla Russia.
Un’Europa manifatturiera e mediterranea, alleata con la Russia, potrebbe arginare l’imperialismo anglosassone e dialogare alla pari con i giganti asiatici India e Cina.
La propaganda russofobica, la cintura di sicurezza offerta dai paesi ex Patto di Varsavia, le finte maggioranze mondialiste e le finte opposizioni cosiddette sovraniste, la macchina burocratica monstre di Bruxelles, hanno il preciso scopo di impedire che venga anche solo concepito un pensiero che vada in tal senso.
Fra i “teatri di guerra contemporanei” (per usare il titolo di un Suo libro recente) occupa il primo piano, accanto all’Ucraina, il Vicino Oriente, dove in realtà è in corso non tanto una guerra, quanto un genocidio. Non ritiene che a molti suoi colleghi giornalisti possa essere imputata la colpa di avere coperto, minimizzato e giustificato i crimini del regime sionista?
L’impunità di Israele indica che i tempi sono maturi per un ritorno alle politiche di potenza. E il problema a mio modo di vedere risiede non soltanto negli operatori del settore (che comunque hanno delle colpe enormi), quanto piuttosto nelle leadership corrotte e nelle opinioni pubbliche completamente mesmerizzate dai social, che oramai si indignano soltanto a comando.
Gli orrori di Gaza hanno trasformato l’intero pianeta in una “zona d’interesse” globale.
Siamo come i tedeschi che vedevano il fumo fuoriuscire dai campi di sterminio e che fingevano di non accorgersi. Il fumo, oggi, arriva dalla Palestina. È sotto gli occhi di tutti e non vede solo chi non vuole vedere. Siamo in qualche misura tutti complici. Non possiamo fuggire dalle nostre responsabilità addossando la colpa esclusivamente agli addetti ai lavori. Quel fumo, quelle macerie, quei corpi straziati, quelle lacrime, quegli esodi di massa, quei roghi, li abbiamo visti tutti. Li abbiamo avuti davanti agli occhi per mesi. Eppure non abbiamo fatto sostanzialmente nulla per fermarli. Esattamente come fecero i tedeschi.
La Storia prima o poi giudicherà anche noi.
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