Fonte: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1639

Il 2011 sarà un anno decisivo per la tenuta dell’economia italiana, stretta tra condizioni di finanza pubblica rese più stringenti dalla crisi dell’euro e una ripresa debole e al di sotto della media europea. La congiuntura economica internazionale ci aiuterà solo in parte, mentre resta alto il rischio di rinnovate turbolenze finanziarie in Europa. Servirebbero efficaci misure di politica economica per guadagnare all’Italia spazi aggiuntivi di crescita. Unitamente ad uno stretto controllo dei conti pubblici, è il solo modo di evitare che il contagio della crisi del debito sovrano si estenda anche al nostro paese.

Divaricazione dell’economia globale
Nel 2011 dovrebbe proseguire la fase di espansione globale in atto, pur se a ritmi leggermente inferiori all’anno scorso. Ancora più netta risulterà la divaricazione negli andamenti delle maggiori aree e paesi: da un lato, gli Stati Uniti e, ancor più, l’Europa alle prese con una fase di espansione nel complesso modesta e incapace di modificare in misura significativa l’elevata disoccupazione esistente; dall’altro il gruppo dei paesi emergenti, con in testa la Cina e il resto dell’Asia del Pacifico, che crescerà tre o quattro volte di più dei paesi più ricchi.

È una divergenza che durerà nel tempo in quanto riflette una transizione verso una geografia profondamente mutata dell’economia mondiale. Il successo della Cina e dell’India è destinato a consolidarsi e estendersi nei prossimi anni anche ad altri paesi emergenti, in primo luogo in Asia, ma anche in America Latina a partire dal Brasile, e nel continente africano ad alcune economie in ascesa.

Nell’area degli emergenti, la crescita della Cina, dopo il fondamentale contributo offerto l’anno scorso alla ripresa globale, subirà un lieve rallentamento quest’anno, come già avvenuto in parte nel secondo semestre 2010, a causa soprattutto del brusco risveglio delle spinte inflazionistiche. Un’inflazione che è alimentata – non solo in Cina ma anche in altri paesi del Sud-est asiatico – dalle politiche di stimolo fiscali adottate per contrastare la crisi, dal forte afflusso di capitali esteri e dal mantenimento di tassi di cambio artificialmente bassi. Al governo cinese spetterà dunque quest’anno il non facile compito di soddisfare due contrastanti obiettivi: riportare sotto controllo l’inflazione e mantenere ritmi elevati di crescita, intorno all’8-9 per cento. Se avrà o meno successo potranno giovarsene sia l’economia cinese sia la stessa ripresa globale.

Fatica il motore americano
Per alimentare un nuovo e sostenibile ciclo espansivo nell’area più sviluppata servirebbe un rinnovato contributo dei consumi e investimenti privati. Ma la dinamica della spesa privata – come mostra l’andamento dell’economia americana – si è mantenuta modesta lo scorso anno e si prevede migliorerà solo di poco anche nel 2011, a causa di una serie di fattori legati alla crisi, tra cui in prima fila l’eccesso dei debiti accumulati dai privati prima della crisi. Si teme che ci vorranno ancora svariati anni, come avvenuto in altre esperienze di crisi nel passato. Particolarmente negativi sono gli effetti derivanti dal settore immobiliare, che continua a ristagnare sotto il peso di un eccesso di offerta, soprattutto nel segmento residenziale.

A risentirne saranno soprattutto le imprese americane. I grandi gruppi, forti dei profitti e della liquidità accumulati in quest’ultima fase, potrebbero tornare a investire e occupare con vigore. Finora non l’hanno fatto perché nutrono aspettative di una ripresa debole. Le piccole imprese, d’altro canto, sono ancora alle prese con le difficoltà del credito razionato dalle banche e non riescono a stabilizzare i loro fatturati.

Le previsioni più recenti sull’economia americana intravedono così il proseguimento della crescita, con un probabile irrobustimento nella seconda parte dell’anno (2,7 per cento), ma in una prospettiva di espansione a medio termine nel complesso modesta (2-2,5 per cento). Tanto che si prevede saranno necessari svariati anni – addirittura fino al 2015 – per far scendere significativamente il tasso di disoccupazione, dall’attuale 9,5 per cento ai livelli precedenti la grande crisi.

Sono andamenti insoddisfacenti, su cui la politica economica potrà incidere poco nel futuro più immediato. Sia la politica monetaria, che ha già utilizzato larga parte degli spazi disponibili con l’ultima manovra di liquidità aggiuntiva per circa 600 miliardi di dollari (il cosiddetto ‘quantitative easing’ o QE2) varata dalla Federal Reserve; sia sul fronte fiscale, dove dopo la recente approvazione della proroga delle agevolazioni dell’era Bush – per un valore complessivo di circa 900 miliardi di dollari in due anni – è aumentato il timore di un rapido deterioramento della solvibilità fiscale americana. Ancor più se il Congresso non riuscirà in tempi brevi a sviluppare un credibile piano di rientro dall’eccesso di debito sovrano accumulato a partire dalla crisi.

Persiste la crisi dell’Euro
L’Europa rimarrà un anello debole del quadro internazionale anche nel 2011. La sua crescita interna si prospetta assai modesta (intorno all’1,5 per cento) e con forti divaricazioni tra le positive performance della Germania e delle altre economie nord-europee, e il quasi ristagno dei paesi più indebitati (i famosi Pigs). A pesare negativamente saranno soprattutto i piani di austerità fiscale che verranno applicati un po’ ovunque, ma in particolare nei paesi più deboli, oggi nel mirino dei mercati finanziari.

Come si è visto già all’inizio dell’anno col forte rialzo dei costi del servizio del debito delle economie più deboli, il rischio concreto è che qualcuna di queste ultime non riesca a finanziare i propri debiti e possa innescare un processo di default a catena. Di qui il timore che la crisi dei debiti sovrani continui a flagellare anche nell’anno in corso l’Europa. Nel caso del Portogallo, se si guarda ad una serie di andamenti recenti (alto livello del debito privato, difficoltà di finanziamento delle banche e ristagno produttivo pluriennale) si può considerare pressoché scontato il suo ricorso alle cure dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale (Fmi) attraverso il Fondo europeo di stabilizzazione (Efsf). Le risorse per intervenire ci sono (440 miliardi dell’Efsf), ma non sarebbero sufficienti se il contagio si estendesse anche alla Spagna, che soffre di una gigantesca bolla immobiliare ed è una economia troppo grande sia per fallire che per essere salvata. In questo caso sarebbe inevitabile una nuova grave crisi finanziaria.

Per scongiurarla i paesi europei dovrebbero decidersi a varare un vero progetto di misure coerenti a livello europeo. E i nodi essenziali da sciogliere sono soprattutto tre.

È necessario aumentare innanzi tutto la liquidità necessaria (oltre i 750 miliardi di euro oggi a disposizione nell’Efsf) per meglio finanziare i severi piani di risanamento nazionale in corso. In secondo luogo la crisi bancaria andrebbe separata dalla crisi della finanza pubblica, approntando meccanismi efficaci di risanamento delle banche e dei sistemi finanziari di alcuni paesi. In ultimo va creato un vero Fondo monetario europeo, in grado di contemperare un’adeguata assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà – attivando gli eurobond – con una condizionalità adeguata a stimolare le necessarie riforme dei singoli paesi.

C’è da dubitare purtroppo che i paesi europei, oggi troppo divisi, siano in grado di fornire tali risposte mentre le riforme della governance economica varate di recente, per quanto utili, soddisfano solo in minima parte queste esigenze. Il timore è che si continui con gli interventi caso per caso, varati sempre con molto ritardo, col rischio di fornire ulteriore alimento alla crisi e a una sua più ampia diffusione.

L’imperativo della crescita per l’Italia
Dal quadro europeo e internazionale fin qui delineato discendono una serie di implicazioni per la nostra economia per un verso scontate, visto che al di là di qualche punto di forza in più soffriamo della stessa malattia – alto indebitamento, scarsa competitività e bassa crescita – dei nostri cugini della sponda mediterranea. Un’assoluta priorità resta così la linea del rigore e dello stretto controllo dei conti pubblici, che va anzi rafforzata. Anche perché ci sono già marcati segnali di tensione sul fronte dei tassi di interesse che lasciano prevedere un aumento dei costi del servizio del nostro debito, che dovrà fronteggiare quest’anno oltre 200 miliardi di rifinanziamenti.

Ma la linea del rigore, da sola, non sarà un argine sufficiente. La possibilità che quanto avvenuto in Grecia e Irlanda contagi anche l’Italia dipenderà anche dalla dinamica di crescita della nostra economia: se questa sarà bassa o comunque inferiore alle aspettative, il rischio di una crisi del debito potrebbe estendersi anche a noi. Tanto più che nella nuova fase di ripresa globale in corso, la crescita italiana è rimasta nel complesso modesta, intorno all’1 per cento, e si è mantenuta al di sotto della media europea. Una perdita di terreno che non è purtroppo nuova, ma risale alla fine degli anni novanta.

È pertanto urgente varare misure di politica economica che ci possano assicurare spazi aggiuntivi di crescita rispetto alla stanca dinamica in corso. Sono misure certamente note, a partire dalla riforma del fisco, del welfare e delle liberalizzazioni, ma sono fin qui mancate del tutto. E tenuto conto che la recente crisi e le turbolenze nell’area dell’euro hanno reso ancora più stringenti le nostre condizioni di finanza pubblica, le politiche da varare dovrebbero rientrare nella logica dello scambio: tra misure dettate da ragioni di efficienza e dirette a sostenere l’economia nel breve termine, da un lato, e riforme strutturali che consentano risparmi di spesa e maggiore crescita a medio termine, dall’altro. In altri termini l’anno che è appena cominciato dovrebbe vedere una concentrazione di interventi finalizzati alla soluzione del problema centrale della nostra economia: quello di tornare a crescere.

* Paolo Guerrieri è professore ordinario alla ‘Sapienza’ Università di Roma e Vice-presidente dello Iai. Una sua intervista è stata pubblicata nel numero 2/2010 di “Eurasia”.


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