Aldo Ferrari, La foresta e la steppa: Il mito dell’Eurasia nella cultura russa, Scheiwiller, 2003
Il concetto di Eurasia sembra essere stato usato per la prima volta dal geologo austriaco Eduard Suess (1831-1914) e ripreso dagli eurasisti per concepire un’idea della Russia quale autonomo spazio bicontinentale esteso dai Carpazi al Pacifico, distinto tanto dalla penisola europea quanto dalle regioni meridionali dell’Asia. Secondo questa prospettiva l’Eurasia appare come un’immensa pianura, il cui territorio sostanzialmente omogeneo si divide però in quattro zone botaniche da nord a sud: tundra, taiga, steppa, deserto.
Un’unità geografica che viene posta a fondamento della vita culturale e politica dei popoli insediati al suo interno. Ma chi sono gli eurasiatisti e quali sono le suggestioni ai quali per primi essi hanno dato una sistemazione organica? Essi contano tra le proprie fila alcune delle figure più note dell’emigrazione russa degli anni Venti del nostro secolo, quella seguita alla rivoluzione bolscevica. Da Nikolaj Trubeckoj (1890-1938) e Roman Jacobson (1896-1982), linguisti tra i più celebri del Novecento, a Georgij Florowskij (1893-1979), indiscussa autorità della teologia russa contemporanea, sino a Georgij Vernadskij (1887-1973), per decenni patriarca dell’insegnamento di storia russa nelle università statunitensi.
Negli ambienti dell’emigrazione essi vengono visti con diffidenza, perché le loro tesi non rientrano in nessuno dei due principali campi dell’opposizione anti-comunista, quello monarchico-conservatore e quello democratico-liberale. Ciò che viene contestato è soprattutto la loro insistenza sull’aspetto non occidentale, “turanico ed asiatico” della cultura russa. Già la principale opera di Trubeckoj è una critica all’egocentrismo della cultura occidentale, alla sua pretesa universalità e alla sua tradizione nazionale, appiattita su due sole posizioni entrambe da stigmatizzare: l’una sciovinistica – affermazione aprioristica della superiorità del proprio popolo sugli altri, l’altra cosmopolita – rifiuto delle differenze fra le culture e volontà di unificarle in una sola universale. La sua concezione morfologica della storia è simile a quella di altri pensatori russi quali Danilevskij e Leont’ev così come alle indicazioni del tedesco Spengler (1) e si preoccupa di studiare soprattutto gli aspetti antropologici dei popoli eurasiatici. Gli altri esponenti del movimento eurasiatista si dividono funzionalmente i compiti: Jakobson studia le affinità linguistiche, Savickij i fattori geografici e geopolitici, Vernadskij quelli storici, mentre Alekseev e C’cheidze definiscono il progetto politico(2). Nella loro visione complessiva i popoli dell’Eurasia, dalla Galizia alla Muraglia Cinese, nel tentativo di creare un impero unitario su tutta la sua superficie, sembrano aver mantenuto per millenni caratteri simili.
Il popolo russo, la cui progressiva espansione porta alla stabile occupazione dello spazio eurasiatico, ha raccolto l’eredità dei nomadi che per lungo tempo l’hanno dominato. Storia russa e storia dell’Eurasia negli ultimi secoli vengono così a coincidere e compito del movimento è quello di sviluppare nel proprio popolo la piena coscienza di questa missione.
In questa ricostruzione storica una valutazione spicca significativamente, l’influsso positivo della dominazione tatara sulla Russia, che non solo ne ha lascito intatta la specificità spirituale ma le ha anche fornito un formidabile modello politico-militare. E’ interessante notare come per gli eurasisti abbia poca importanza l’ideologia della “Terza Roma”(3), in quanto la “translatio imperii” davvero decisiva riguarda il passaggio dal khan tataro al gran principe di Mosca(4). Proprio dopo la conquista dei khanati di Kazan e Astrachan (1551-1556) la propensione geopolitica di Mosca si rivolge sempre più verso Oriente, utilizzando i contadini per dissodare gli immensi spazi conquistati e la subetnia cosacca per difenderli(5). Pur riprendendo alcuni elementi slavofili, gli eurasiatisti introducono molte innovazioni nella cultura russa, in quanto ne evidenziano la dimensione orientale, asiatica e turanica. Dal ballo alla gamma musicale pentatonale, dalla fiaba all’epos eroico, persino la recezione dell’ortodossia bizantina avviene secondo modalità psichiche simili a quelle turaniche. L’assenza tra i russi ortodossi di una vera e propria ricerca teologica è infatti parallela a quanto si osserva tra i turchi mussulmani, essendo entrambi alieni da speculazioni astratte e propensi ad accogliere la fede come un dato integrale e definitivo.
L’Eurasia rappresenta perciò una “terza via”, sia a livello storico-culturale che socio-politico: non può essere totalmente Europa ma neppure Asia. Nel suo studio linguistico Jacobson vuole dimostrare la sostanziale affinità del sistema fonetico nelle lingue euroasiatiche, indipendentemente dalla loro collocazione. In quest’unione linguistica sono compresi il ramo russo delle lingue slave, le lingue ugro-finniche orientali e alcune lingue caucasiche turche, tutte caratterizzate dall’assenza di tono e dalla distinzione tra consonanti dure e molli. Le teorie geopolitiche di Savickij ribadiscono invece il diritto della Russia ad essere considerata il vero “Regno di Mezzo”, avendo essa ereditato il ruolo di mediazione tra Europa e Asia toccato per millenni ai nomadi delle steppe euroasiatiche. Egli profila una Russia-Eurasia quale complesso sistema unitario capace di conciliare popoli e tradizioni culturali differenti, in virtù di uno specifico “ambiente” (“mestorazvitie”), concetto in larga misura corrispondente al “Raum” della geopolitca tedesca e al “Grossraum” del giurista Carl Schmitt.
Lontani dal marxismo e dal capitalismo, gli eurasisti auspicano un’élite non classista nè nazionale, la cui selezione deve avvenire per cooptazione sulla base della rappresentanza professionale. La conciliazione di diritti e doveri, libertà dei singoli e salute dello Stato, sono raggiungibili solo attraverso strumenti giuridici organici, caratteristici dell’antico diritto russo. All’interno dell’auspicata libera confederazione euroasiatica i russi devono solo essere i primi “inter pares” e riconoscere le aspirazioni di tutti i popoli alla conservazione della cultura nazionale e religiosa. L’unità storico-territoriale dell’Eurasia è in grado di creare un’unitaria e differenziata personalità culturale di tipo “sinfonico”, non semplice somma ma armonia di voci diverse. In campo economico è necessario conservare l’iniziativa privata, regolandola però verso l’interesse generale sulla base della mentalità russa tradizionale, che ignora il concetto “latino” assoluto di proprietà ed è a favore invece di uno condizionato.
Attraverso una complessa rete di linee ferroviarie, aeree e automobilistiche che la colleghino più efficacemente con l’Asia, essa sarà in grado di raggiungere l’indispensabile autarchia economico-sociale. Nel 1928, però, dopo la formulazione di questo progetto, gli eurasiatisti si dividono in due campi: il circolo praghese di orientamento conservatore e anticomunista, quello parigino progressista e filosovietico. La spaccatura, dovuta anche all’evidenza della stabilizzazione sovietica sulla base della dottrina marxista-leninista, determina il rapido esaurimento del movimento, sancito nel 1938 dalla morte di Trubeckoj.
Ma se qualcuno dovesse considerare gli eurasiatisti solo degli ingenui utopisti, cadrebbe in errore. Aldo Ferrari, forte di una bibliografia di 48 pagine, ci regala uno splendido affresco su quanto profondo sia stato e sia ancora oggi l’interesse russo per un Oriente interno alla propria cultura.
Partendo dalla dominazione mongola, durata dal 1240 al 1480, che vede la Russia profondamente inserita nel sistema delle steppe euroasiatiche fondato da Gengis Khan. Se con le riforme petrine (6) quest’influsso viene minimizzato e condannato, le istituzioni civili e militari della nazione rimangono in realtà di origine mongolo-tatara. Basti pensare all’intenso processo di naturalizzazione della nobiltà tatara e mussulmana; molti dei nomi più noti della Russia moderna rispecchiano quest’origine, da Derzavin a Jusupov, a Turgenev, Karamzin, Suvurov, Kutuzov … Ampie tracce rimangono anche nel lessico russo, non solo in termini “negativi” quali “kat” (“carnefice”), “kandaly” (“catene”), ma anche in parole “neutre” o “positive” come “bogaty” (“eroe”) e “tovarisc” (“compagno”). In tutta la sua storia, malgrado la Chiesa Ortodossa veda nell’Islam un male assoluto e Caterina II riconfermi energicamente la svolta petrina, la Russia continua a costituire uno spazio aperto agli influssi orientali. Ciò perché Mosca non ebbe un Impero … ma fu un Impero, che procedette sulla base di spinte espansionistiche tradizionali più che modernamente coloniali. Un percorso lentamente maturato nel corso dei secoli, costituito da rapporti costanti, pacifici e bellici con i paesi confinanti, perchè nella steppa non è ben chiaro dove e quando si marchino i confini della patria e perchè il predominio russo non si basò mai sul senso di superiorità etnica tipico invece degli Imperi occidentali.
Un atteggiamento ravvisabile decisamente anche nella letteratura: dalla capacità di consonanza universale che Dostoewskij e Puskin attribuiscono al popolo russo, alle molteplici speculazioni sul messianismo dell’idea russa, fino alle imposizioni sovietiche del popolo russo come “grande fratello”. Ma testimoniato anche dal più influente intellettuale mussulmano operante all’interno dell’Impero zarista, Ismail Gasprinskij (1851-1914), che sottolinea la grande umanità dimostrata dai russi nei confronti dei popoli soggetti, così come dall’opera del console nell’Impero ottomano Konstantin Leont’ev (1831-1891), sostenitore della benignità degli influssi turanici sulla storia di Mosca (7).
Oggi, dopo la caduta del Muro di Berlino, quella che Aldo Ferrari ha definito la “tentazione eurasista”, riprende vigore. La ritroviamo nell’ideale geopolitico della rivista “Elementy” diretta da Aleksandr Dugin (8), che auspica una formazione sopranazionale continentale estesa da Dublino a Vladivostok e fortemente contrapposta all’Occidente anglo-statunitense. Tra le sue file troviamo significativamente la principale autorità religiosa dei mussulmani russi, il muftì Talgat Tadzudin. Ma anche nel neo-eurasiatismo accademico di Andrej Panarin e delle riviste “Acta Eurasica” e “Evraziskij Vestink”, ispirati al policentrismo politico-culturale. In tempi di “guerre di civiltà”, l’eurasiatismo potrebbe invece fornire elementi utili alla coesistenza dei popoli e delle culture, a patto di non considerare la “civiltà occidentale” come un modello esportabile ovunque.
Note:
(1) Nikolaj Danilewskij (1822-1885) è considerato uno dei maggiori teorici del panslavismo e del nazionalismo russo contemporaneo. Oswald Spengler è autore del celeberrimo “Tramonto dell’Occidente” e della coppia concettuale Kultur-Zivilisation. Il primo termine, Kultur, indica lo stadio creativo e fecondo di una forma di vita cui si riconnettono le comunità umane, mentre il secondo Zivilisation allude al progressivo isterilirsi di una cultura nella sua fase declinante, caratterizzata dall’intellettualismo razionalistico.
(2) Nikolay Nicolaevic Alekseev (1827-1881) elabora il progetto una giurisprudenza nazionale che rifiuta le teorie dell’Occidente e accoglie invece dal modello bizantino il principio iosifiliano del servizio totale, combinandolo con quello misericordioso della contemplazione e della trasfigurazione esicastica.
(3) Sull’idea di una missione provvidenziale mondiale affidata alla Russia cfr. Aldo Ferrari, La Terza Roma, All’insegna del Veltro, 1986.
(4) Fra XIV e XV secolo sulle grandi pianure dell’Europa centrale e meridionale domina il khanato turco-mongolo dell’Orda d’Oro con capitale Saray (l’attuale Astrakan): la sua estensione dal Mar Nero al Lago d’Aral giunge a Nord fino ai confini della Finlandia. Gradualmente, la divisione dell’Orda d’Oro favorisce la resistenza dei principati russi sotto la guida di quello di Mosca; la caduta di Costantinopoli nel 1453 offre a quest’ ultimo la possibilità di presentarsi come erede dell’Impero Bizantino e protettore della Chiesa Ortodossa: nasce l’idea della “Terza Roma”.
(5) L’influsso della steppa sui cosacchi è visibile sin dalla loro stessa denominazione: “kazan” è infatti una parola di origine turca che secondo l’etimologia più diffusa significa “uomo-libero”-“vagabondo”.
(6) Pietro il Grande (1689-1725) è il terzo zar della dinastia dei Romanov e imprime allo Stato russo una decisa spinta verso l’occidentalizzazione, sia nell’innovazione tecnologica che nella vita sociale. La decisione più significativa riguarda lo spostamento della capitale da Mosca a San Pietroburgo, da lui fondata nel 1703 sulle rive del golfo di Finlandia.
(7) Sul pensiero di Leont’ev cfr. Bizantinismo e mondo slavo, All’insegna del veltro, 1987.
(8) Sulla visione “Tradizionalista” di Dugin cfr. la raccolta di saggi “Continente Russia”, All’insegna del Veltro, 1991.
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