Nell’anno del trentunesimo anniversario della guerra anglo-argentina, le Malvinas/Falkland tornano a far discutere i governi di Cameron e Kirchner. Alla decennale rivendicazione argentina sul possesso dell’isola, si aggiungono ora infatti, le modalità di svolgimento e il risultato del referendum tenutosi nella capitale Domenica 10 e lunedì 11 marzo, che chiedeva alla popolazione di riaffermare o meno la propria volontà di restare sotto il controllo dell’amministrazione britannica. Questo tenutosi, è il secondo referendum sullo status dell’isola, dopo quello del 1986[i] il quale aveva confermato la sovranità britannica sull’isola.
Questa seconda consultazione popolare è stata estesa solo a coloro che vivono sull’isola da almeno 7 anni, e che godono perciò dello status di “isolano”, provocando l’irritazione del governo argentino. I votanti perciò sono dunque scesi a 1973, tutti con passaporto britannico, a fronte di una popolazione di 2563 persone, sicché l’esito della consultazione era scontato.
Dei 1973 aventi diritto, solo 1517 sono stati quelli che hanno esercitato il voto, esprimendo quasi all’unanimità la volontà di continuare a far parte della Gran Bretagna. Sono stati soltanto 3 i voti contrari. Rimanere territorio inglese, infatti, comporta per gli isolani il mantenimento di privilegi che il governo Kirchner non può accordare.
Alcuni importanti settori, come quelli concernenti la politica estera e la difesa, vengono gestiti e coordinati direttamente da Downing Street, con la parziale contropartita dell’esonero dal pagamento delle tasse a Londra.
Le reazioni, all’esito del referendum, non si sono fatte attendere da entrambe le parti. Durissima quella dell’ambasciatrice argentina a Londra, Alicia Castro, che ha definito il referendum “publicity stunt[ii]”, delegittimando di fatto il risultato della consultazione.
Per l’Argentina, il referendum non ha nessun valore legale, così come il suo risultato. Il referendum – continuano fonti diplomatiche vicino alla Casa Rosada – è stato indetto unilateralmente dalla Gran Bretagna, la quale ha estromesso di fatto le Nazioni Unite da ogni processo di supervisione; ecco perché il risultato non può essere accettato.
Il ruolo dell’ONU, nella disputa sulle Isole Malvine, è stato sempre oggetto di controversie tra i due paesi. Infatti l’Argentina – per corroborare le sue rivendicazioni – si avvale di due risoluzioni delle Nazioni Unite[iii] che, oltre a stabilire l’istituzione di una commissione speciale sulla decolonizzazione di carattere generale, invitano i due paesi a porre fine attraverso un pacifico e risolutore dialogo alla “special and particolar colonial situation in the Falkland Islands[iv]”.
La Gran Bretagna, dal suo canto, ha ribadito sempre con estrema fermezza l’esercizio della propria sovranità sull’isola e la volontà di difendere ad ogni costo e con ogni mezzo il proprio territorio nonché i propri cittadini.
In seguito a ciò, all’inizio dell’anno il parlamento inglese ha deciso di aumentare la presenza militare sull’isola al fine di prevenire qualsiasi mossa argentina[v]. Il Primo Ministro inglese, David Cameron, commentando il risultato della consultazione, ha ribadito che l’Argentina deve rispettare l’esito del referendum e il diritto all’autodeterminazione degli abitanti delle Falkland: “the most important thing about this results is that we believe in self-determination, and the Falkland Islanders have spoken so clearly about their future, and now the other countries right across the world will respect and revere this very clear result”.
L’Argentina, di contro, non si rassegna all’idea di rinunciare all’isola e cerca in vari modi di puntare i riflettori sulla questione. Anche durante la visita per l’intronizzazione di Jorge Maria Bergoglio, la presidentessa Kirchner ha avanzato la richiesta di intercessione del nuovo Papa, per stimolare un dialogo tra le parti che al momento è in una fase di completo stallo. D’altronde l’ex arcivescovo di Buenos Aires si era sempre dimostrato sensibile alla questione delle Malvine, schierandosi apertamente al fianco delle rivendicazioni argentine.[vi]
E’ innegabile che l’isola sta diventando uno dei più importanti temi al centro della nuova agenda politica argentina. La situazione economica del paese versa in condizioni di estrema instabilità, con l’inflazione che secondo i dati ufficiali del FMI si aggira attorno al 30% e che potrebbe condurre il paese verso pesanti sanzioni internazionali. Dopo il crack finanziario alla fine degli anni ’90 e il caso dei cosiddetti tango bond, il paese ha iniziato una lenta ripresa economica che però ora viene minata sia sul piano interno, con una netta diminuzione dei consumi ,sia sul piano internazionale con i moniti lanciati da Christine Lagarde di nuove e più pesanti sanzioni.
Ecco che allora le Malvine diventano un ottimo pretesto al servizio del governo per ricompattare l’opinione pubblica interna e il popolo indirizzando tutte le diverse manifestazioni d’insofferenza e di critica verso un nemico esterno comune, la Gran Bretagna. Il tutto viene arricchito dalle recenti scoperte petrolifere nei fondali marittimi dell’isola ad opera della compagnia Rockhopper Exploration[vii].
La compagnia inglese infatti è riuscita, tramite diverse esplorazioni, a trovare dei ricchi giacimenti di petrolio nel mare territoriale delle Falkland. La stima effettuata della compagnia sul neonato giacimento petrolifero parla della possibilità di estrarre circa centoventimila barili al giorno a fronte di un investimento complessivo di due miliardi di euro. Di questi tempi un’enormità. La compagnia si dice molto soddisfatta del risultato raggiunto, riuscendo proprio dove altre compagnie petrolifere avevano precedentemente fallito; inoltre non esclude la presenza di ulteriori giacimenti.
Dunque la Gran Bretagna vuole tutelare il suo investimento sulle Falkland sia sotto il punto di vista economico che dal punto di vista strategico, e lo farà con ogni mezzo a sua disposizione. Il controllo dell’isola garantisce un’importante posizione strategica tra l’atlantico e il pacifico nonché un’ottima piattaforma di transito e smistamento per il commercio marittimo.
Una nuova operazione militare è comunque da escludere: nessuna delle parti in causa propende per questa possibilità soprattutto in questo periodo di crisi economica internazionale. Una nuova guerra, infatti, oltre ad avere una forte opposizione dell’opinione pubblica mondiale, avrebbe dei costi che nessuno dei due paesi potrebbe permettersi.
Gli stessi Stati Uniti, storici alleati dell’Inghilterra, preferiscono non prendere una posizione netta e risoluta sulla questione; il segretario di Stato John Kerry riconosce infatti il controllo britannico sia formale che sostanziale sull’isola ma contemporaneamente delega la questione sulla sovranità al dialogo tra Buenos Aires e Londra[viii].
Dal canto suo, la dialettica argentina, seppur molto aspra, ha il compito di rafforzare il governo sul piano interno facendo proprio i classici toni nazionalisti, piuttosto che rappresentare una vera e concreta minaccia per lo status quo dell’isola, che data la volontà dei suoi abitanti e la sua importanza strategica ed economica rimarrà a lungo sotto il controllo inglese.
*Enrico Volpini, dottore in Relazioni Internazionali, presso l’università degli Studi di Roma Tre.
[iii] http://www.un.org/News/Press/docs/2012/gacol3238.doc.htmhttp://www.un.org/News/Press/docs/2011/gacol3225.doc.htm
[v]http://www.dailymail.co.uk/news/article-2261616/Britain-set-military-presence-Falkland-Islands.html
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