Fonte: http://selvasorg.blogspot.com/
Le frontiere nordiche del Venezuela sono quelle marittime dei Caraibi, che lo mettono in contatto con la NATO: Portorico appartiene agli Stati Uniti, e Aruba e Curazao stanno sotto la bandiera del Regno d’Olanda.
La Martinica e Guadalupe è “territorio d’oltremare” della Francia che Sarkozy ha ricondotto nell’alleanza militare atlantista (De Gaulle si sarà rivoltato parecchio nella sua tomba). Con Monserrat il contatto è con la Gran Bretagna. Aruba e Curazao stanno a un tiro di sputo dalle coste venezuelane e dai ricchi giacimenti del lago di Maracaibo.
Durante il fallito vertice di Copenhagen, Chàvez ha per la prima volta chiamato l’attenzione internazionale a posare il suo sguardo sul possedimento coloniale olandese di Aruba. L’isola non è più un esotico paradiso turistico ma anche il centro di una intenso sviluppo di infrastrutture militari aeroportuali degli Stati Uniti.
Le sue quiete acque spumose sono solcate da barche a vela e fuoribordo, però cominciano ad essere affiancati da corvette, guardacoste e navi militari della resuscitata IV Flotta degli Stati Uniti. Alcuni settori della popolazione dell’isola denunciano anche il transito di unità navali a propulsione nucleare.
Il concerto mediatico “occidentale” si affrettò ad usare le consuete tinte monocramatiche per far risaltare l’ennesima “stravaganza” del presidente del Venezuela. Sarà, però le autorità di Aruba si affrettarono a dire che la questione era stata chiarita e risolta. Caracas, però, ribadisce la sua denuncia, e sottolinea la aumentata frequenza del traffico militare nordamericano e la specificità delle tecnologie militari in arrivo –o transito- nell’isola. E’ bene ricordare che il Venezuela possiede un satellite, quindi il monitaraggio ha una certa attendibilità.
Le autorità olandesi stanno assecondando generosamente lo sforzo militare di Washington per ri-posizionarsi nel continente americano (FOLs). Sette basi concesse dalla Colombia, un numero imprecisato ceduto dal Panama del neoliberista Martinelli, completano l’operazione di avvicinamento operativo agli idrocarburi e l’accerchiamento del Venezuela.
Dagli Stati Uniti rispondono con sdegnati dinieghi, e rilanciano “pettegolezzi” volti ad alimentare il canovaccio-fantasy di imprecisate complicità venezuelane nel narcotraffico. Lascia increduli che la alleanza militare tra il primo produttore mondiale di cocaina ed il primo mercato di consumo sia tanto avara di risultati positivi, da dover sempre addossare la responsabilità ai….paesi confinanti (sic) o che hanno la disgrazia di trovarsi nelle rotte tra Colombia e Stati Uniti.
E’ un fatto, però, che il viceconsole degli USA James E. Hogan, il 24 settembre scorso, uscì dalla sua casa di Curazao e non vi fece più ritorno. Si elaborarono molte ipotesi e moventi che non hanno retto alla prova del tempo. Tra queste, spiccavano le denunce sul narcotraffico che investe Curazao con fuoribordo provenienenti –of corse– dalle vicine coste venezuelane.
Non è casuale, però, che poi viene a galla che il viceconsole era in realtà un quadro della DEA (Drug Enforcement Administration), già attivo in Africa come “addetto commerciale”. Perchè –e da chi- è stato ucciso?
Un altro omicidio eccellente è quello eseguito in Honduras contro il massimo responsabile della repressione del narcotraffico –generale Julián Arístides González– che viene assassinato in pieno regime post-golpe, alla vigilia dell’elezione presidenziale-farsa. Era stato incaricato dal deposto presidente Zelaya.
Cè del marcio nei lidi caraibici olandesi ed il tentativo di alzare un polverone per sviare l’attenzione dal connubio DEA-Pentagono, droga e basi militari, è reiterativo e scontato. Molti ricordano una operazione di smantellamento di un cartel di narcos a Curazao avvenuta nello scorso aprile. Si trattava di una base operativa per le rotte marine verso l’Olanda, Belgio e Danimarca.
Furono arrestate una quindicina di persone: diversi colombiani, surinamesi, gente di Aruba e Curazao, alcuni venezuelani. La DEA parlava solo di questi ultimi e chiamava in causa Cuba e il Venezuela come responsabili. Vennero arrestati anche 4 cittadini libanesi e la DEA ripiegò a sfruttare propagandisticamente questi ultimi. Chiamò in causa Hezbollah, sulla base di un’equazione meccanica che trasforma in guerriglieri sciiti qualsiasi cittadino del Libano, anche se cristiano-maronita.
Durante sei anni la DEA non riuscì a dimostrare nessun nesso -neppure indiretto- tra il governo di Caracas e le narcomafie colombiane, ma da quando venne espulsa dal Venezuela non desiste dal montare raffazzonate provocazioni, come quella malriuscita di Curazao. La chiamata di correo in narcotraffico è un teorema difficile da dimostrare, finora la ciambella rimane senza buco.
In America latina stanno avvenendo molte morti sospette tra i dirigenti della lotta al narcotraffico, soprattutto in Messico, dove la situazione è diventata esplosiva e Washington punta a marchiarlo come “Stato delinquente”. Dappertutto si riscontra un intreccio perverso dove converge l’economia criminale delle narcomafie con l’operato della DEA. Unite, agiscono come testa d’ariete che sconquassa tessuto sociale ed istituzionalità nazionali, e legittima differenti livelli di intervenzionismo esterno.
Con la finalità di restaurare un egemonismo continentale in affanno, sulla base di metodi illegali, colpi di stato camuffati a posteriori con simulacri di elezioni, eliminazioni fisiche selettive, guerra civile strisciante. Le intenzioni degli Stati Uniti verso l’America indolatina permangono invariate: non sono affatto buone, come prima e più di prima (di Obama). La DEA sembra sempre più un comparto complementare, subordinato o interno al Pentagono.
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