Nonostante i riflettori dei mass media raramente si siano accesi negli ultimi anni sulla questione irlandese, l’iniziativa svoltasi il 13 marzo 2010 a Modena ha riscosso un buon successo di pubblico.

Tre erano gli obiettivi che l’Associazione culturale “Pensieri in azione” e il Coordinamento Progetto Eurasia si proponevano:

  1. Mettere in luce la componente “emotiva” del conflitto, rilanciata anche in Italia dalla cinematografia, non solo statunitense e, in particolare, da quattro film: “Michael Collins” (sulla guerriglia condotta dall’IRA, che sfociò nella nascita dello Stato indipendente irlandese, seppur amputato delle Sei contee del Nord); “Bloody Sunday”, sull’incredibile eccidio di civili a Derry, un massacro che provocò la ripresa delle attività del’IRA in grande stile; “Una scelta d’amore”, sulla straziante vicenda degli scioperi della fame che condussero alla morte alcuni prigionieri irlandesi, tra i quali Bobby Sands; “In nome del Padre”, sulla dolorosa vicenda giudiziaria che vide protagonisti alcuni giovani irlandesi, rinchiusi per anni nelle carceri britanniche a causa della manipolazione delle prove.
  2. Spiegare la reale natura del conflitto: spesso mascherato da conflitto civile e da conflitto religioso, per non rivelare i veri scopi dell’occupazione inglese dell’Irlanda, la prima colonia britannica e l’ultima dalla quale gli anglosassoni si ritireranno. La strategia del divide et impera, operata dagli inglesi in Irlanda, è stata ripetuta in tanti altri contesti internazionali, dalla Palestina al Sudafrica; una strategia necessaria per mantenere il proprio dominio coloniale ma che nasconde un preciso progetto, a volte intriso di messianismo razziale, di dominio mondiale. Non è un caso che l’eredità dell’Impero Britannico sia stata oggi raccolta da un altro imperialismo di tipo messianico, quello statunitense.
  3. Illustrare l’attuale situazione del conflitto in Irlanda del Nord e quali sono le sue prospettive. Quali punti dell’Accordo di Pace del 1998 sono stati rispettati e quali no, perché nel 2009 il conflitto è riesploso in maniera violenta e pericolosa per gli equilibri dell’Irlanda, non solo del Nord. Che cosa pensano i tanti sostenitori del Sinn Fein e dell’IRA, che per decenni hanno predicato una terza via tra il marxismo e il capitalismo ed ora si ritrovano con una liberazione nazionale incompiuta e un modello sociale egemonizzato dalle multinazionali americane. Queste ultime hanno evidentemente sostituito il dominio britannico, mentre “favorivano” il processo di pace. Quali sono le responsabilità dell’attuale classe dirigente repubblicana, di Gerry Adams e Martin Mc Guinnes, nel condurre la maggioranza dei militanti verso un processo di pace che forse non era così scontato. Quali sono state le pressioni internazionali e quanto, invece, è contata la volontà interna.

Riccardo Michelucci, giornalista dell’ “Avvenire”, ha ricostruito la genesi storica del conflitto anglo-irlandese, dividendola in tre fasi: a) quella tardo-medioevale, caratterizzata da un “istinto barbaro” degli anglo-normanni e dovuta, essenzialmente, alla vicinanza geografica. L’Irlanda viene vista dagli inglesi come il proprio “cortile di casa”. b) quella moderna, dovuta alle implicazioni di carattere internazionale della guerra franco-britannica: l’Irlanda non deve diventare una “testa di ponte” contro l’Inghilterra. c) nasce l’Impero Britannico, l’Irlanda diviene una colonia a tutti gli effetti e, non a caso, tra le due guerre mondiali rifioriscono le teorie razziste sviluppatesi nel XIX secolo (anglosassoni contro celti, irlandesi “abbrustoliti” ecc.).

Michelucci ha sottolineato l’importanza dell’insediamento forzato dei coloni protestanti nella parte nord-orientale dell’isola irlandese, insieme a quella del linguaggio espresso dalla cultura britannica, che dipinge gli irlandesi come “inferiori” e come popolo da “rieducare”.

Una mentalità suprematista che riaffiora prepotentemente durante il periodo della “grande carestia” (1 milione di irlandesi morti e svariati milioni costretti ad emigrare) dovuta alla rigida applicazione britannica del laissez faire: gli irlandesi non vengono descritti come le vittime ma come i responsabili della propria tragedia.

Emigrando massicciamente, negli Stati Uniti ma anche in Inghilterra, gli irlandesi sono etichettati dall’establishment londinese come “feccia”.

Massimiliano Vitelli, portavoce italiano del Republican Sinn Fein, ha preferito non utilizzare il termine “Irlanda del Nord”, bensì quello di “Sei contee occupate”, contesto geografico nel quale si vive molto male, perché i risentimenti sono ancora vivi.

Belfast, in particolare, è stata anglicizzata per dare ai turisti l’impressione di un’ apparente normalità, ma ancora oggi si tratta di una città divisa dai muri e dai portoni di ferro che separano le due comunità, quella cattolica-nazionalista e quella protestante-unionista.

La differenza tra i due quartieri simbolo di Belfast, quello protestante di Shankill e quello repubblicano-cattolico di Falls Road, ben curato il primo e molto trascurato il secondo, si deve alla maggiore o minore presenza delle istituzioni di Stormont, che favoriscono ancora e decisamente la comunità anglofona.

E’ molto importante capire che le notizie sulla questione irlandese giungono quasi sempre da Londra e vengono, quindi, non solo “filtrate” ma anche “lavorate” per influenzare negativamente il pubblico europeo, che ne sente parlare solo quando accadono degli scontri o degli omicidi.

L’invito di Gerry Adams ad arruolarsi nella PSNI, la polizia nord-irlandese, è totalmente negativo: appare molto strano che i Repubblicani siedano oggi allo stesso tavolo con gli unionisti di Paisley, anche se bisogna ricordare come la religione sia stata un’arma usata dagli inglesi per mettere l’una contro l’altra le due comunità.

Secondo Vitelli, finché ci sarà occupazione ci sarà resistenza armata, come testimoniano le recenti azioni portate avanti da Real Ira e da Continuity Ira.

Solo l’ufficializzazione di un ritiro immediato e verificabile delle truppe britanniche dalle “Sei contee occupate” può costituire un primo passo verso l’apertura di serie trattative diplomatiche.

Dopo che Vitelli ha riportato il saluto inviato all’Italia dal nuovo Presidente del Republican Sinn Fein, Dess Dalton, si è aperto il dibattito con il pubblico presente in sala, che ha auspicato nuove iniziative su un argomento troppo spesso sottovalutato e dimenticato dai mass media nostrani.


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