Con l’invio della polizia e il blocco forzato delle frontiere il Kosovo vuole ”provocare il popolo serbo”: e’ quanto aveva affermato nei giorni scorsi il negoziatore di Belgrado nel dialogo con Pristina, Borko Stefanovic.

”Si e’ trattato di un’azione pianificata e organizzata che ha avuto come obiettivo di provocare il popolo serbo che vive nel nord del Kosovo e, ciò che e’ ancora peggio, di

pregiudicare in modo unilaterale, violento e provocatorio i risultati del dialogo che stiamo conducendo con Pristina”, proseguiva Stefanovic alla tv nazionale serba Rts.

”Hanno voluto creare una situazione in cui non c’e’ bisogno di negoziare”, ha aggiunto.

Le sue dure dichiarazioni erano seguite agli scontri verificatisi nella regione a maggioranza serba nel nord del Kosovo quando Pristina aveva inviato forze speciali per chiudere i due valichi di frontiera con la Serbia.

La decisione di Pristina di imporre l’embargo sulle merci serbe, importate soprattutto dalla minoranza serbo- kosovara, è stata presa in risposta all’embargo della Serbia sui prodotti “made in Kosovo”, la cui legittimità non è riconosciuta da Belgrado.

A causa di questa situazione l’ultima sessione di fine luglio dei negoziati fra Serbia e Kosovo e’ infatti stata rimandata al prossimo settembre su richiesta del mediatore dell’Unione europea, Robert Coope, vista l’impossibilita’ di chiudere il dossier.

Subito dopo l’appello di Belgrado le forze speciali kosovare si erano ritirate ma dopo poche ore la polizia di Pristina e’ tornata ad occupare il valico di Brnjak, come riferito all’agenzia “Beta” da un testimone oculare, secondo il quale gli agenti delle forze speciali hanno sparato per liberare la strada bloccata dalla popolazione serba.

Secondo il testimone ci sarebbero stati alcuni feriti.

L’annuncio del ritiro era arrivato verso l’una.

”E’ il primo passo verso l’adempimento delle richieste di Belgrado per prevenire un’escalation delle tensioni'”, aveva detto all’ agenzia serba “Tanjug”, il ministro serbo per il Kosovo Goran Bogdanovic.

Il ritiro sembrava il risultato delle trattative proseguite per tutta la mattinata tra lo stesso Bogdanovic, il capo del team negoziale di Belgrado con Pristina Borislav Stefanovic e le autorità kosovare, con la mediazione del comandante delle forze internazionali nel Kosovo Kfor Gerhard Buhler.

Dopo essere stati presi in giro da tutti, a quel punto è scattata la controffensiva dei serbi del Nord Kosovo: un poliziotto è morto, colpito da un proiettile e altri quattro sono rimasti feriti, uno per l’esplosione di un ordigno e altri tre per un lancio di sassi.

Secondo l’agenzia “Tanjug”, l’incendio è divampato verso le 19 ad opera di un gruppo di

giovani di Kosovska Mitrovica, la città del nord del Kosovo a maggioranza serba, che con il volto coperto da passamontagna hanno distrutto con le ruspe i prefabbricati che contenevano gli uffici della polizia di frontiera kosovara e dei doganieri.

Il gruppo si è quindi diretto verso le forze Kfor (le forze di sicurezza della Nato in Kosovo) che hanno aperto il fuoco, ha detto il giornalista della tv serba “B92” in un reportage in diretta dal valico di Jarinje.

Inoltre un centinaio di cittadini serbo-kosovari hanno circondato la base Kfor con sede nel villaggio di Leposavic  e secondo l’agenzia “Beta” sono state lanciate bottiglie incendiarie contro il campo che ospita i militari USA.

Il comandante della Kfor, generale Erhard Buhler, ha detto che la situazione e’ tornata sotto controllo in tarda serata, e che gli estremisti serbi hanno attaccato i militari del contingente di pace con ”razzi e colpi d’arma da fuoco”.

Ieri sera si e’ registrata la ferma condanna da parte dell’Alto Rappresentante della politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, che ha parlato di ”violenze inaccettabili” ed ha detto di aver parlato al telefono con il presidente serbo, Boris Tadic – il quale ha prontamente condannato l’accaduto – e con il premier kosovaro, Hashim Thaci, invitandoli a tornare al dialogo.

Il presidente Tadic, stigmatizzando l’accaduto ha invitato la minoranza serba del Kosovo a mettere un freno alle violenze: ”Gli hooligan – ha detto – non fanno gli interessi ne’ dei serbi del Kosovo ne’ della Serbia”.

Sarebbe curioso sapere da Tadic, però, quali interessi stia tutelando l’attuale Governo di Belgrado, che subisce umiliazioni una dopo l’altra, quale sia la sua strategia per riguadagnare la sovranità sul Kosovo e Metohija e quali provvedimenti voglia intraprendere per salvaguardare l’incolumità dei serbi che vivono nella provincia.

Bisognerebbe sapere, ad esempio, perché Tadic non invia un contingente di soldati serbi nel Kosmet a proteggere la propria minoranza, così come previsto dalla Risoluzione 1244 delle Nazioni Unite tuttora in vigore.

Logico che i serbi del Kosovo lancino poi appelli a Mosca e a Vladimir Putin per un intervento russo nella regione, se la Serbia si dimostra incapace di difenderli.

Ancora più ridicolo il capo del team negoziale di Belgrado con Pristina, Borislav

Stefanovic, secondo cui l’incendio e’ un ”atto criminale commesso quando eravamo molto

vicini a una soluzione, un colpo alle speranze dei serbi del Nord del Kosovo”.

Peccato che, come riportato sopra, le negoziazioni si fossero interrotte già prima degli incidenti a causa dell’impossibilità di raggiungere un accordo, anche perché sia le autorità di Pristina sia la diplomazia statunitense hanno sempre ribadito che il Nord del Kosovo dovrà prima o poi tornare sotto il controllo albanese, soluzione che ai serbi ovviamente non sta bene.

Domani, della situazione si occuperanno anche le Nazioni Unite con una riunione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza, che ha accettato la richiesta di una seduta urgente

arrivata oggi da Belgrado.

I Quindici si riuniranno a porte chiuse, tentando di definire una posizione comune

sull’intervento della polizia kosovara per portare avanti un boicottaggio di prodotti serbi, deciso da Pristina in risposta al blocco imposto dalla Serbia di prodotti kosovari.

La Russia, unica vera alleata della Serbia (situazione che l’attuale Governo di Belgrado sembra non aver ancora ben recepito), aveva appoggiato la richiesta di Belgrado per una riunione urgente, mentre Usa e Gran Bretagna avrebbero preferito aspettare la consueta riunione trimestrale sul Kosovo.

Alla fine è stato trovato un compromesso per convocare la riunione, ma a porte chiuse.

Per quanto riguarda il nostro paese, a confermare che l’Italia non tornerà ad assumere il comando della K-For (ora assegnato ai tedeschi) è stato il sottosegretario alla Difesa Giuseppe Cossiga, ammettendo che Roma era pronta ad accettare l’invito di Usa e

Serbia solo se il comando non avesse comportato ‘un incremento degli oneri finanziari’. Condizione impossibile da realizzare visto che la leadership delle truppe della Nato in Kosovo richiede l’invio di altri 200 militari al quartier generale di Pristina.

L’Italia ha da pochi mesi quasi dimezzato i 2.200 militari presenti nella ex provincia serba proclamatisi indipendente e punta a ridurli nel 2011 a 650 per compensare l’aumento delle truppe in Afghanistan e il mantenimento degli impegni in Libano.

Cossiga ha precisato che l’Italia manterrà il comando del settore Nord-Ovest (uno dei due nei quali sarà diviso il Kosovo contro gli attuali cinque) continuerà a prender parte alla missione civile Eulex e manterrà la guida del “Kosovo security sector reform”, l’organismo che si occupa fra l’altro di addestrare le forze di sicurezza locali.

Ovviamente anche le autorità albanesi, che godono dell’impunità garantita dalle truppe di occupazione della NATO, non hanno perso occasione per ribadire che: “Non ci sarà alcun passo indietro da parte nostra.  Le misure di reciprocità con la Serbia verranno fatte rispettare in tutti i valichi di frontiera e dureranno fino a quando Belgrado non cambierà il suo atteggiamento”.

Lo ha dichiarato il premier del Kosovo Hashim Thaci durante una seduta straordinaria del Parlamento kosovaro, riferendosi alla crisi tra Pristina e Belgrado nata nei giorni scorsi dal reciproco boicottaggio delle importazioni che ha avuto come conseguenza la decisione di Pristina di schierare al confine la propria polizia per vigilare sull’imposizione dell’embargo.

Ora la situazione pare essere tornata alla calma.

Il comandante di Kfor, generale Erhard Bubler, ha fatto sapere che il valico al momento e’ chiuso dopo essere stato gravemente danneggiato.

Kfor ha il controllo dei valichi doganali di Jarinje (Porta 1) e Brnjak (Porta 31) e, spiega in un comunicato, ”continua a dispiegare le sue truppe in tutto il nord (del Kosovo), al fine di garantire libertà e sicurezza” (tranne che ai serbi ovviamente).

La situazione ”e’ generalmente calma, con alcune tensioni occasionali”, si fa sapere e la Kfor ha specificato inoltre di aver instaurato un regime molto rigoroso ai due posti di frontiera consentendo il passaggio solo a ”piccoli veicoli privati”, mentre non sarà autorizzato il passaggio di camion che potrebbero trasportare armi o altro materiale vietato.

Come avevamo annunciato nei mesi scorsi, il problema del Nord Kosovo rimane la questione fondamentale da affrontare per le forze atlantiste che vogliono “normalizzare” la situazione nella regione; vedremo ora fino a che punto queste saranno disposte a sfidare la resistenza di un popolo che non ha davvero più nulla da perdere.

Stefano Vernole, redattore di “Eurasia”, è coautore di “La lotta per il Kosovo”, All’insegna del Veltro, Parma, 2007 e autore di “La questione serba e la crisi del Kosovo”, Noctua, Molfetta, 2008.


Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.