INTERVISTA AL PROF. ARDUINO PANICCIA DIRETTORE DELL’ASCE ED ANALISTA DI STRATEGIA MILITARE E DI GEOPOLITICA.
A cura di Giovanni Caprara
L’istituto di statistica russo Rosstat ha identificato le sanzioni comminate alla Russia dall’Occidente ed il calo del petrolio come l’effetto della diminuzione del PIL del 2015 al 3,7%. Come tentativo di arginare la discesa del Prodotto Interno Lordo nel 2016, Putin ha deciso un taglio alla spesa pubblica pari al 10%, nonché la privatizzazione delle controllate. Questo vuol dire aprire il mercato anche ad Aziende straniere?
Le vicissitudini russe partono innanzitutto dal calo del prezzo del petrolio, – 70% rispetto ad un anno e mezzo fa, con prezzi oggi intorno ai 30 dollari al barile, minimi da un decennio a questa parte. Come noto, la Russia ha basato la sua potenza, dopo la caduta dell’URSS, su due fattori: l’esportazione di idrocarburi e l’esportazione di armamenti. Le armi russe infatti hanno un rapporto qualità/prezzo decisamente migliore di quelle occidentali, e questo non può non attrarre molti paesi che non si possono permettere armi troppo sofisticate. Ma sono gli idrocarburi che fanno la differenza, e minacciare di chiudere i rubinetti delle pipeline è sempre una azione molto efficace.
Quindi l’economia russa è in difficoltà. E lo è anche il rublo, sia per l’inflazione (che ha ormai di fatto superato il 15%), sia per la svalutazione rispetto al dollaro. Putin è così costretto a misure drastiche. Dubito però che, se dovesse privatizzare, la Russia aprirebbe il mercato ad aziende straniere, e se anche fosse costretta a farlo, non lo farebbe con aziende occidentali. Non dimentichiamo che la Russia è ancora sotto sanzioni da parte dell’Occidente. Aprirebbe ai capitali cinesi, o della SCO (Cooperazione di Shanghai), e comunque Vladimir Putin non intende far salire il deficit pubblico sopra il 3% del Pil proprio in nome dell’indipendenza finanziaria del paese di fronte alla Cina, che pure per la Russia è il partner strategico.
Come ben sappiamo, il basso prezzo del petrolio è legato ad un persistente eccesso di offerta sul mercato. La debolezza economica dell’eurozona e la sovrapproduzione di petrolio da scisto bituminoso negli USA hanno spinto i paesi produttori a rivolgersi al mercato asiatico, dove però si sono trovati di fronte al rallentamento dell’economia cinese. L’OPEC è divisa, e qui entra in gioco la geopolitica: mentre Iran e Venezuela vorrebbero limitare la produzione per aumentare i prezzi, l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo tenderebbero a mantenere i clienti lasciando libero il prezzo di fluttuare, nonostante il basso prezzo del greggio stia mettendo in seria difficoltà anche il bilancio saudita.
Esiste infatti per ogni paese produttore una soglia del prezzo del petrolio sotto la quale il governo non riesce più a finanziare il deficit pubblico soltanto con la vendita del petrolio stesso. Manipolare il prezzo del greggio diventa perciò un’arma molto efficace di guerra economica. Il bilancio per il 2016 era stato predisposto da Mosca sulla base di un prezzo a 50 dollari al barile, contro i 35 dollari a cui è sceso in media sui mercati. Quindi Mosca è costretta 1) a tagliare le spese e 2) a stringere sempre più la sua alleanza con i cinesi e gli altri partner asiatici.
Un nuovo e più complesso scenario geopolitico sembra essere quello relativo allo sfruttamento delle risorse artiche. La Russia è la nazione che, rispetto agli altri competitors, ha maggiormente investito in questa remota regione. Volendo quantificare le riserve dell’Artico, quanto potrebbero valere per la crescita del sistema Russia?
Innanzitutto va detto che mentre la geografia ha messo il Polo Sud nel bel mezzo di un continente, ha invece messo il Polo Nord nel bel mezzo di un mare. L’Artico quindi è una specie di Mediterraneo circondato da coste che appartengono prima di tutto alla Russia, e poi al Canada. C’è poi la Groenlandia, che è danese, la Norvegia con le isole Svalbard, e l’Alaska che è uno stato USA. Oltre a Finlandia, Svezia e Islanda. Quindi quando si parla di “Artico”, si parla in realtà o delle possibili rotte marittime, i famosi “passaggio a nord-est” e “passaggio a nord-ovest”, oppure delle regioni più settentrionali di paesi già ben conosciuti a livello geopolitico, e delle rispettive acque territoriali. Situazione affatto diversa da quella dell’Antartide, un vero e proprio continente, come dicevo prima, anch’esso pieno di risorse lasciate lì solo perché la loro estrazione è ancora antieconomica. Ma fino a quando lo sarà? Fino a quando potrà resistere il cosiddetto Trattato Antartico che impedisce lo sfruttamento economico e il presidio militare?
La rotta artica lungo le coste russe, con lo scioglimento dei ghiacci è diventata interessante per la Cina, poiché permetterebbe una circumnavigazione dell’Asia più corta dello stretto di Malacca ed oltretutto senza il pericolo dato dalla pirateria e che ridurrebbe i tempi di percorrenza dall’Asia all’Europa di circa il 40%.
Il fatto che la Russia abbia investito più di tutti nell’Artico è facilmente spiegabile, basta prendere una cartina geografica. La Russia è la più grande “nazione artica”, cioè quella che più di tutte si affaccia al Mar Glaciale Artico. E guarda caso è stata nel 2001 il primo stato artico a presentare presso la Commissione per i Limiti della Piattaforma Continentale una domanda di ampliamento della Zona Economica Esclusiva. La cosiddetta “corsa all’Artico” parte proprio da qui, dalla possibilità che la Russia, ma anche il Canada, possano estendere unilateralmente da 200 a 350 miglia la piattaforma continentale sotto la loro sovranità.
Secondo i dati USA, a nord del circolo polare, si troverebbe circa il 30% delle riserve di gas mondiali ancora inesplorate e tecnicamente accessibili, il 20% di condensati e il 13% di petrolio e di queste circa 1550 miliardi metri cubi di gas naturale si trovano soprattutto lungo il confine russo.
I costi di ricerca ed estrazione degli idrocarburi, quanto anche del gas, del platino e delle riserve ittiche, peserebbero in modo significativo sui ricavi della loro commercializzazione oppure i margini di guadagno giustificherebbero lo sforzo in termini di investimento e controllo dello spazio artico?
L’Us Geological Survey nel 2008 pubblicò un rapporto sul grande potenziale delle risorse artiche di idrocarburi, ed è stato da allora che nei media si è iniziato a parlare di Artico. Man mano che la produttività e l’economicità di estrazione nei siti tradizionali si affievolisce, le risorse artiche per la Russia, ma non solo per lei, diventano sempre meno marginali. Il prezzo del petrolio, per esempio, risente nel breve termine delle tattiche geopolitiche dei vari attori internazionali, ma si arriverà prima o poi ad una scarsità strategica di questa risorsa, che costringerà a cercare nuovi giacimenti oppure ad affrontare seriamente la fase di definitiva transizione energetica. Che si stia pensando seriamente al petrolio artico, è provato dall’ingresso dell’Italia come “paese osservatore permanente” nel Consiglio Artico, ingresso dietro al quale c’è in fondo l’interesse dell’ENI. Anche il CNR è presente in Artico con una stazione scientifica nelle isole Svalbard. Più la zona diventerà economicamente interessante, più aumenteranno le rivendicazioni di sovranità, questo è inevitabile. Non dimentichiamo poi le terre rare, risorsa strategica per l’elettronica, la cui distribuzione mondiale è troppo sbilanciata a favore della Cina per non causare preoccupazioni generalizzate.
La Russia ha istituito il “Comando Strategico Unificato Nord”, e sarà un singolo ed indipendente comando con il ruolo di affermare la potenza regionale russa. Strategicamente il terreno di scontro parrebbe essere sul mare, dove il confronto si impernierà sulle navi rompighiaccio e sui sommergibili che rimangono la migliore piattaforma per operare nell’Artico. Le unità presenti sono sufficienti per stabilizzare l’area e la negazione alla NATO?
Lo scorso anno Putin ha approvato la nuova strategia di sviluppo dell’Artico fino al 2020, il primo documento del genere della storia post-sovietica. All’articolo 18 il documento dichiara che la Russia è pronta a difendere i propri interessi nell’artico dalle eventuali usurpazioni degli altri stati con tutti i metodi disponibili. Il vice premier russo per l’industria della difesa ha sottolineato che la Russia verso la metà di questo secolo può vedere minacciata la sua sovranità se non definirà esattamente i propri interessi nazionali nella regione artica. Tra questi, la possibilità di testare armi, perché il timore è che l’Artico libero da ghiacci diventi un luogo ideale per un attacco missilistico alla Russia. Per questo a metà febbraio gli aerei della flotta marittima del nord hanno ripreso, come durante l’Unione Sovietica, i pattugliamenti permanenti lungo le acque neutrali del Mar Glaciale Artico e lungo la rotta artica. E non a caso il Cremlino vuole riaprire gli aeroporti artici chiusi subito dopo il crollo dell’URSS, e vuole potenziare la rete radar in modo da avere una linea di scoperta avanzata nell’Artico entro il 2018.
La progressiva riduzione dei ghiacci è un vero disastro dal punto di vista ambientale, ma rende le rotte artiche sempre più interessanti per i russi. Si può notare inoltre che l’unico tipo di nave mercantile per la quale la propulsione nucleare ha un senso è proprio il rompighiaccio, così come questa ha trovato nei sottomarini la sua principale utilizzazione militare – solo gli americani possono per-mettersi portaerei nucleari, a parte quella dei francesi. Ma non è solo questione navale. Durante la guerra fredda la rotta artica era quella che avrebbero preso i bombardieri di entrambe le parti nel caso di una guerra nucleare totale. Per cui l’Artico è un luogo cruciale non solo per la marina russa, ma anche per l’aviazione. Negare l’area alla NATO non sarà possibile per la Russia, ma non credo che sia questo l’obiettivo, strategicamente impossibile e troppo pericoloso. Semmai si tratta di una reazione alla politica occidentale che ha deciso ancora molti anni fa di ridurre drasticamente l’influenza russa in Europa orientale, portandosi così a ridosso dei confini russi, rompendo il patto Gorbacev-Bush Padre, cosa questa che non poteva non suscitare preoccupazioni e reazioni a Mosca.
Gli attori coinvolti nel controllo dello spazio artico sono le Nazioni che vi si affacciano; quelli principali sono Russia e Stati Uniti. Quali sono le forze in campo attuali e quale delle due potenze sarebbe in grado di mobilitare più rapidamente nuove risorse?
L’Occidente, dopo la caduta del Muro di Berlino, si è spinto sempre più ad est. La Russia si sente sulla difensiva rispetto a questo, che è dato di fatto: se tatticamente attacca, come successo in Georgia o in Crimea, è perché strategicamente sente di doversi difendere. Vera o falsa che sia questa impressione russa, certamente, se si vuole veramente pace e stabilità, bisognerebbe rendersi conto che è un gioco pericoloso alimentarla, perché la Russia sta reagendo a questa pressione occidentale, vera o presunta, nel modo che era più prevedibile: cercando di riaffermare la propria potenza militare e le aree cuscinetto ai propri confini. E anche senza troppi scrupoli ad usarla, quando può farlo in relativa sicurezza, vedi Siria. L’Artico diventa così un possibile teatro di confronto tra Occidente e Russia, dopo l’Europa Orientale ed il Vicino Oriente. E non dimentichiamo che esiste un luogo dove le due potenze si toccano, ed è lo Stretto di Bering. Gli Stati Uniti hanno una capacità di proiezione di potenza ineguagliabile, basti pensare alle portaerei classe Nimitz e alle decine di navi anfibie con relativi Marines. Non è però né saggio né conveniente sottovalutare troppo la forza e la determinazione russe, e soprattutto continuare a spingere i russi nelle braccia dei cinesi.
La giurisprudenza pone l’Artico sotto il regime di internazionalità, decretato dalla convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare. Però è in atto una piena disputa territoriale. Per quale motivo le Nazioni rivierasche non si allineano a quanto prescritto dall’ONU e quali strategie stanno ponendo in essere per primeggiare l’una sull’altra?
È proprio la differente interpretazione della Convenzione delle Nazioni Unite a fare da pretesto alle rivendicazioni dei paesi rivieraschi, perché questa definisce la piattaforma continentale come zona nella quale lo stato costiero esercita diritti di sovranità e sfruttamento economico. Per cui ogni stato ha interesse a definire nel modo più ampio possibile i confini della propria piattaforma continentale, a scapito dell’estensione delle acque internazionali. È facile fare internazionalizzazione finché le terre che si internazionalizzano economicamente non sono interessanti perché la loro rendita marginale è nulla. Anche la Luna è internazionale, ma solo perché il costo di tornarci supera enormemente qualsiasi possibile beneficio economico. Se un giorno lontano questo costo dovesse ridimensionarsi in modo significativo, inevitabilmente partirebbero spedizioni e rivendicazioni. Oggi l’Artico è diventato interessante anche perché il Medio Oriente è nel caos. Gli stati che rivaleggiano nell’Artico sono invece tutti stati solidi, il che rende non solo molto improbabile uno scontro militare, ma anche un eventuale tentativo di destabilizzazione dall’esterno, e questo rende sicuri eventuali investimenti a lungo termine. Per risolvere le controversie artiche l’unico strumento possibile infatti è la diplomazia.
*Il Prof. Arduino Paniccia ha scritto numerosi articoli e pubblicazioni che ne fanno un esperto a livello italiano e internazionale. Attualmente insegna Studi Strategici all’Università di Trieste (sede di Gorizia) nel corso in Scienze Internazionali e Diplomatiche. Consulente per grandi imprese private e pubbliche, fa parte dei comitati di studio e gruppi di lavoro dell’Unione Europea e dell’ONU. Ha maturato, attraverso molteplici missioni nelle aree coinvolte da conflitti, una vasta esperienza in tema di terrorismo, guerriglia e peace-keeping. È commentatore e analista per diverse testate giornalistiche, televisive e informatiche.
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