Il 21 luglio scorso, ossia quattro giorni dopo che era stato abbattuto il Boeing 777 della Malaysia Airlines mentre sorvolava l’Ucraina orientale a circa 50 km dal confine con Russia, Foreign Policy pubblicava un’intervista a Zbigniew Brzezinski da parte di David Rothkopf (1). Il “grande vecchio” della geopolitica statunitense, il cui ultimo importante lavoro, Strategic Vision. America and the Crisis of Global Power, è stato pubblicato solo due anni fa, (2) non si smentisce e la sua analisi degli affari internazionali è come al solito caratterizzata da uno stile di pensiero netto e chiaro, benché si debba cogliere anche e soprattutto il senso di quel che egli “esprime tra le righe”.
Brzezinski è perfettamente consapevole dei limiti della potenza americana e ritiene che gli Stati Uniti si siano lasciati coinvolgere nel labirinto medio-orientale senza ottenere alcun vantaggio, mentre si è destabilizzata l’intera regione. Il che è tanto più grave in quanto attualmente non vi è più un sistema internazionale in grado di garantire un “nuovo ordine mondiale”. Ne consegue, a giudizio di Brzezinski che, sebbene non stiamo scivolando verso un’altra guerra mondiale, rischiamo di andare verso un’era di grande confusione e caos.
Brzezinski riconosce esplicitamente anche che l’America ha sbagliato ad eliminare Saddam e a lasciare troppo spazio alle petromonarchie del Golfo, senza nemmeno impegnarsi a fondo né in Libia né in Siria. Per mettere fine ai conflitti che stanno devastando e insanguinando l’intera regione medio-orientale e che vedono prevalere gruppi di terroristi islamisti (ma Brzezinski sa benissimo da chi sono finanziati e armati), occorrerebbe quindi puntare sull’Iran, nonostante la prevedibile opposizione di Israele. Ma per Brzezinski Israele è al sicuro con le sue 150-200 testate atomiche, mentre l’Iran anche se riuscisse a fabbricare un ordigno nucleare non sarebbe così folle da “suicidarsi” lanciandolo contro Israele.
Al riguardo, Brzezinski, che si dichiara favorevole pure alla creazione di uno Stato palestinese, è chiarissimo, arrivando ad affermare: “I can envisage a nuclear-armed Israel and a nuclear-armed Iran being a source of stability in the region” (una concezione condivisa anche da Martin van Creveld il noto analista militare israeliano, pure lui decisamente contrario all’invasione dell’Iraq nel 2003). In effetti, Brzezinski ritiene che gli Usa dovrebbero prendere l’iniziativa per edificare un nuovo ordine mondiale di tipo multipolare, dacché è evidente che la sovraesposizione imperiale del grande Paese nordamericano per Brzezinski è un pericolo che Washington non deve più correre, i tempi non essendo maturi per un nuovo unipolarismo statunitense.
In questa prospettiva, l’alleanza degli Stati Uniti con la Cina sarebbe, a suo avviso, la chiave geostrategica per arrivare a ridisegnare la mappa geopolitica dell’intero pianeta in modo tale da garantire maggiore maggiore sicurezza e maggiore stabilità negli affari internazionali. Nella sostanza, la Cina dovrebbe avere un ruolo egemone in Asia, pur dovendo lasciare un certo “spazio geopolitico” al Giappone e all’India, mentre gli Usa dovrebbero di fatto dominare incontrastati in Europa, contando sull’appoggio dei circoli atlantisti europei, e in America Latina, anche se secondo Brzezinski si dovrebbero migliorare le relazioni bilaterali tra gli Usa e i Paesi del continente americano (che pensi in particolare al Brasile ci pare ovvio).
Tuttavia, anche in questa intervista si rivela chiaramente la russofobia dello studioso di origine polacca, il quale considera la Russia responsabile della grave crisi ucraina, senza dire nulla sul fatto che a Kiev c’è stato un golpe appoggiato dalla Nato, né sul fatto che, di conseguenza, la stragrande maggioranza della popolazione della Crimea ha voluto riunirsi alla Russia. E neppure ovviamente dice nulla su quanto sta accadendo in questi ultimi mesi in Ucraina orientale, ove la popolazione locale combatte una disperata battaglia contro i golpisti filo-occidentali di Kiev, tra i quali vi sono pure bande armate di neonazisti, che agiscono come “utili idioti” della Nato.
Eppure, tali “omissioni” non dipendono solo da pregiudizi antirussi. Apparentemente per Brzezinski la Russia è un Paese relativamente debole, che può tutt’al più svolgere un ruolo geopolitico a livello regionale, e in questo senso, ammette che la funzione della Russia può anche essere utile. Ma quel che in realtà si deve tenere presente è che la stessa idea di riconoscere alla Cina una posizione mondiale di primo piano, non la si comprende appieno se non la si mette in relazione con il fatto che i Brics costituiscono ormai un “potenziale “polo geopolitico” in grado di contrastare quello atlantico, dominato dagli Usa. Il fatto stesso che il rapporto tra Cina e Russia si vada rafforzando mette in discussione l’egemonia degli Usa. Questo Brzezinski lo sa meglio di chiunque altro. Come sa che l’Ucraina è di importanza decisiva per la sicurezza nazionale e il ruolo internazionale della Russia.
Infatti, è stato proprio Brzezinski a scrivere che senza l’Ucraina la Russia non può essere un attore geopolitico a livello globale, ma potrebbe solo essere solo un “predominantly Asian imperial state” (3). Ma oggi, con l’eccezionale crescita della Cina e quella (assai minore di quella cinese ma pur significativa) dell’India anche questo ruolo non sarebbe possibile per la Russia, una volta privata della Crimea e della sua sfera d’influenza in Europa. Limitare drasticamente quindi il ruolo geopolitico della Russia è la ragione fondamentale dell’ingerenza degli Usa negli affari interni dell’Ucraina e del tentativo di portare questo Paese nell’orbita della Nato e della Ue, ossia degli Usa (cui naturalmente .piacerebbe che in Russia accadesse quanto è accaduto in Ucraina).
In questa prospettiva, l’argomentazione di Brzezinski è assai più chiara, dacché è logico che la politica di una superpotenza come gli Usa (stendiamo pure un “velo pietoso”, come si suol dire, sulla questione della democrazia e della pace made in Usa) non può dipendere dalla politica di potenza israeliana o dalle ambizioni e dagli interessi regionali dell’Arabia Saudita e del Qatar, mentre è pacifico che la sicurezza nazionale sia di Israele che delle petromonarchie del Golfo dipenda dalla politica di potenza americana. Nondimeno, è assai difficile ritenere che questi attori regionali siano pronti a dar vita ad un nuovo corso geopolitico che veda l’Iran diventare una potenza nucleare e addirittura garante di equilibri geostrategici funzionali alla politica statunitense, in un’area che gli stessi Stati Uniti hanno contribuito a trasformare in un lago di sangue e in cui scorrazzano bande armate islamiste d’ogni genere.
Né è convincente paragonare le relazioni tra Roma e Bisanzio a quelle che dovrebbero intercorrere tra Cina e Usa in un prossimo futuro, benché spiegare l’attuale fase storica riferendosi alle guerre di religione in Europa nel XVII secolo, che portarono alla nascita di un sistema politico continentale fondato sugli Stati nazionali europei, sia (se non condivisibile) perlomeno comprensibile, giacché è naturale che le relazioni internazionali non possono essere fondate su una geopolitica del caos. (Degno di nota è pure che Brzezinski consideri un fattore di forza lo Stato nazione e che perciò ritenga necessario fondare un nuovo ordine mondiale su due potenti Stati nazione, nonostante tutte le ciance sulla fine degli Stati nazione predatori).
Una tale situazione di caos, in effetti, a lungo andare non può non avere conseguenze negative per la potenza capitalistica predominante, anche sotto il profilo economico, mentre l’economia internazionale è sempre più caratterizzata dal dinamismo dei Brics e dalle difficoltà della “vecchia Europa”, non a caso “liquidata” da Brzezinski, che pur non ne sottovaluta l’importanza, come un problema che l’America può e deve risolvere mediante accordi commerciali. Ovverosia mediante il Tafta, il noto Transatlantic Free Trade Act, che segnerebbe il definitivo tramonto dell’indipendenza dell’Europa, mettendo i singoli Stati del Vecchio Continente sotto la tutela dei “mercati” English speaking.
Al riguardo è significativo pure che Brzezinski in questa intervista non prenda in considerazione gli effetti della crisi economica sull’Ue né la questione del rapporto tra la Germania e i Paesi deboli dell’Europa meridionale, ma si limiti ad evidenziare la debolezza geopolitica dell’Ue (benché nella sua opera più recente sottolinei i forti legami commerciali con la Russia che caratterizzano l’economia della Germania e quella dell’Italia). Ma la debolezza dell’Europa, su cui non ci piove, potrebbe rivelarsi un fattore di grave instabilità per gli stessi Usa, giacché, nel caso che i Brics diventassero un vero “blocco geopolitico”, ciò non potrebbe non influire sui delicati e fragili equilibri economici e politici dell’Ue, in specie su quelli dell’Eurozona già sottoposti a tensioni fortissime.
In sostanza, quindi per Brzezinski il vero scopo degli Usa dovrebbe essere quello di evitare che si costituisca un potente polo geopolitico in Eurasia, dacché “una potenza che domini l’Eurasia eserciterebbe un’influenza decisiva su due delle tre regioni economicamente più produttive al mondo: Europa occidentale e Asia orientale. Uno sguardo alla mappa suggerisce anche che un Paese dominante in Eurasia quasi automaticamente controllerebbe Medio Oriente e Africa”. (4)
Perché ciò non accada, gli Usa dovrebbero “sfilare” la Cina (almeno di fatto, se non formalmente) dai Brics, impedire che si formi un asse geostrategico Mosca-Pechino, trasformare il Medio e Vicino Oriente in un’oasi di pace – facendo leva sui buoni rapporti (tutti da costruire) tra Iran e Israele da un lato, e tra Iran e Arabia Saudita (nonché tra Israele e palestinesi) dall’altro -, mantenere il controllo dell’intero continente americano usando più la carota che il bastone, e saldare all’Atlantico un’Europa sempre più debole e stretta nella morsa di una crisi economica, le cui cause non sono certo solo di natura economica.
Qualcuno potrebbe pensare che sia più facile risolvere il problema della quadratura del cerchio. Eppure, Brzezinski non è affatto un visionario. Si deve tener conto infatti che in primo luogo l’uditorio cui egli si rivolge è costituito dai membri del gruppo dominante americano, in cui la “pressione” per un intervento contro l’Iran è pur sempre forte, mentre Brzezinski è convinto non solo che si possa ottenere parecchio lasciando che l’Iran sviluppi il suo programma nucleare pacifico, ma soprattutto che “raffreddare” la situazione in Medio Oriente a questo punto convenga a tutti.
Per quanto concerne i Brics, invece è evidente che la parte del leone la fa la Cina, la cui quota della manifattura mondiale è salita dall’8,3% nel 2000 al 30,3% nel 2013, mentre quella degli Usa nello stesso periodo è calata dal 24,5% al 14,3% (5). Ragion per cui è imperativo per gli Usa trovare un accordo con la Cina. Inoltre, è abbastanza chiaro che Brzezinski più che a un multipolarismo pensa ad un bipolarismo che lasci spazio a dei “poli geopolitici” regionali,tanto che ritiene che “we are moving into a world of a G-2 plus”.(6).
Non solo però, come si è già rilevato, è ben difficile che gli Usa possano convincere i loro stessi alleati ad accettare una ridefinizione così drastica della mappa geopolitica in Medio Oriente a breve termine, ma non è nemmeno facile che la Cina si comporti come si augura Brzezinski, dacché in gioco vi è un sistema geopolitico, finanziario ed economico che è ancora completamente “egemonizzato” dagli Usa e in generale da quella che si può definire l’élite occidentale del potere. Ma vi è pure la questione della Russia, che dovrebbe subire passivamente l’iniziativa strategica degli Usa. Il che francamente sembra assai improbabile, anche se Brzezinski ritiene che l’ingesso dell’Ucraina nell’Ue e l’espansione della Nato verso est potrebbero indurre Mosca a rassegnarsi ad avere un ruolo di carattere subalterno rispetto a quello degli Usa e della Cina.
Invero, per Brzezinski il nemico “numero uno” degli Usa è ancora la Russia (non a caso giunge addirittura a criticare l’Europa rea, a suo avviso, di non aver preso una posizione dura nei confronti della Russia sulla questione ucraina). Il motivo è semplice. Secondo il “nostro” la Cina è essenzialmente una potenza asiatica, nonostante i suoi interessi commerciali siano ormai globali. La Russia invece è una potenza eurasiatica, ancora in grado di influenzare la politica e la cultura europea. Ed è pure un partner economico di primaria importanza per molti Paesi europei, oltre a disporre di uno spazio immenso e ricchissimo di materie prime. E’ naturale dunque che per Brzezinski gli Usa debbano puntare sulla Cina per mettere la Russia in un angolo, costruire una “barriera” che divida l’Europa dalla Russia di Putin e cercare di togliere il “pungiglione militare” ai Brics.
Certo la Cina potrebbe diventare una superpotenza militare e sfidare gli Usa anche senza un’alleanza militare con la Russia. Del resto, la crescita militare della Cina è già in atto, ma appunto per questo è necessario per gli Usa giungere ad un compromesso con i cinesi, che pure devono ancora risolvere parecchi problemi di politica interna. Ciononostante, solo integrando i gruppi dominanti cinesi nella élite del potere occidentale, sarebbe possibile un sistema “G2 plus” come si augura Brzezinski. Ma anche ammesso che ciò non sia una sorta di wishful thinking, ci vorrebbero anni per costruirlo, mentre è la stessa politica di “pre-potenza” dell’America e dei suoi principali alleati che continua a creare caos e instabilità non solo nel Medio Oriente.
Peraltro, anche la vicenda ucraina, che Brzezinski tratta non solo superficialmente ma con arroganza e distorcendo completamente la verità dei fatti, è indice che gli Usa sono tutt’altro che disposti a “mollare la presa” sia sul Vecchio Continente che sulla fascia costiera dell’Eurasia. Comunque sia, non c’è prova migliore che l’America sia in difficoltà del fatto che il “nostro” ammetta che “we are losing control of our ability at the highest levels of dealing with challenges that, increasingly, many of us recognize are fundamental to our well-being”. (7) E su questo si può essere tutti d’accordo.
Contrariamente però a quanto sostiene Brzezinski, nessun equilibrio internazionale (né alcuna nuova Bretton Woods) sarà possibile fino a quando gli Usa non rinunceranno ad una politica che ha come autentico scopo l’egemonia globale. D’altronde, com’è noto gli Usa non hanno alleati permanenti, ma solo obiettivi permanenti. E questo, com’è ovvio, lo sanno pure i cinesi. E’ quindi alla luce di tali obiettivi e interessi che si devono valutare le parole di Brzezinski. Certo è che nei prossimi anni la situazione internazionale diverrà ancora più fluida e instabile, con improvvisi mutamenti di fronte e rovesciamenti di alleanze, tanto che è lecito ritenere i Paesi che non ne sapranno approfittare per rafforzare la propria sovranità e ampliare la propria sfera d’azione geopolitica, rischieranno di scivolare verso la periferia del “sistema mondo”. E che ciò si stia già verificando per quanto concerne l’Italia, un Paese del tutto subalterno alle logiche di potere d’oltreoceano, non dovrebbe sorprendere nessuno.

NOTE
1. A Time of Unprecedented Instability? (http: // www. Foreign policy. com/articles /2014/07/21/ a_time_of_unprecedented_instability_a_conversation_with_zbigniew_brzezinski%20).
2. Z. Brzezinski, Strategic Vision. America and the Crisis of Global Power, Basic Books, New York, 2013.
3 Z. Brzezinski, The Grand Chessboard, Basic Bokks, New York, 1997, p. 46.
4. Così scriveva lo stesso Brzezinski in un articolo per Foreign Affairs del settembre/ottobre 19 (vedi F. W. Engdahl, L’odierna posizione geopolitica degli Usa, “Eurasia”, n. 3, 2010, p. 62.).
5. “Scenari Industriali”, Confindustria centro studi, giugno 2014, n. 5, p. 15.
6. Vedi A Time of Unprecedented Instability?, cit.
7 Ibidem.


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Fabio Falchi ha compiuto studi filosofici. Nel 2010 ha iniziato una fruttuosa collaborazione con "Eurasia. Rivista di studi geopolitici" e col relativo sito informatico, pubblicando diversi articoli e saggi in cui vengono tracciate le linee di una "geofilosofia" dell'Eurasia. Accogliendo la prospettiva corbiniana dell'Eurasia quale luogo ontologico della teofania, l'Autore ambisce a fare della posizione geofilosofica il grado di passaggio a quella "geosofica". Un tentativo di tracciare una sorta di mappa storico-geopolitica e metapolitica dei conflitti dall'antichità fino ai nostri giorni è costituito da Il Politico e la guerra (due volumi, 2015-2016); una nuova edizione di quest'opera, Polemos. Il Politico e la guerra dall'antichità ai nostri giorni, è disponibile sul sito "Academia.edu". Nel 2016, infine, è apparsa la sua opera più recente, Comunità e conflitto. La Terra e l’Ombra.