Le prime prese di posizione del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America e della sua squadra di governo nel campo delle relazioni internazionali, in particolare le dichiarazioni concernenti la Cina e l’Iran, sono state sufficienti per richiamare alla realtà quanti o speravano o temevano che la nuova amministrazione avrebbe impresso alla politica statunitense una svolta di tipo isolazionista.

Se l’isolazionismo è la tendenza di uno Stato a rinchiudersi entro i propri confini disinteressandosi delle vicende internazionali, nel caso specifico degli Stati Uniti d’America la posizione isolazionista è quella attualmente rappresentata da Patrick Joseph Buchanan (ex consigliere di Richard Nixon, Gerald Ford e Ronald Reagan), il quale, essendo convinto che il compito del suo Paese non sia di migliorare il mondo ma di far vivere bene i cittadini, è contrario “non solo a disperdere sforzi e risorse all’estero, ma anche al rafforzamento dello Stato federale, premessa indispensabile a ogni proiezione esterna di potenza”1.

L’atto di nascita dell’isolazionismo statunitense, come è noto, è dato dalla Dottrina Monroe (enunciata dal presidente eponimo il 2 dicembre 1823), la quale, proclamando la chiusura dell’emisfero occidentale (“this hemisphere”) ad ogni ingerenza esterna ed implicando in ciò l’egemonia degli Stati Uniti su tutto il continente americano, si configura simultaneamente come la prima formulazione programmatica dell’imperialismo statunitense. La Dottrina Monroe, ispirata da un tipico sentimento puritano di superiorità morale nei confronti dell’Europa, mirava a sradicare quest’ultima “dalla sua collocazione storico-spirituale, voleva rimuoverla dalla sua posizione di centro del mondo. (…) Il diritto internazionale cessava di avere il suo baricentro nella vecchia Europa. Il centro della civiltà scivolava a ovest, verso l’America. La vecchia Europa, come pure la vecchia Asia e l’Africa, diventava passato”2.

Il carattere antieuropeo della Dottrina Monroe venne immediatamente compreso dal Principe di Metternich, che la definì “indecente” e mise in guardia l’Europa contro questo “atto rivoluzionario (…) audace e pericoloso”3. D’altronde la matrice ideologica di quella dichiarazione era la cultura biblica di cui erano nutriti il presidente nordamericano ed i suoi consiglieri, fanatici assertori del carattere eccezionale della nuova nazione e della missione redentrice ad essa affidata da Dio. Il principale mentore di Monroe, Thomas Jefferson, esortava il suo illustre allievo a contrapporre all’Europa, “la dimora del dispotismo”, un’America che fosse “la dimora della libertà”4.

Un secolo dopo, col discorso del 22 gennaio 1917, il presidente Thomas Woodrow Wilson proponeva l’estensione della Dottrina Monroe ad ogni popolo della terra. Il “destino manifesto” degli Stati Uniti d’America veniva così a coincidere con un “nuovo ordine mondiale” guidato da quella che lo stesso Wilson, nato in una famiglia di pastori presbiteriani, chiamava “una Nuova Israele, una nazione eletta, messianicamente destinata dalla Provvidenza a portare la legge e l’ordine nel mondo”5. Avveniva così, su uno sfondo di messianismo puritano, “la deformazione della dottrina di Monroe da concezione di ‘grande spazio’ concreto, geograficamente e storicamente definito, in un principio generale ed universalistico che dovrebbe valere per il mondo intero con pretese di ubiquità”6.

Alla Dottrina Monroe si richiamò anche Franklin D. Roosevelt, mentre effettuava i preparativi per attaccare militarmente il continente eurasiatico: prima nella Dichiarazione di Panama dell’ottobre 1939, immediatamente seguita dal Neutrality Act che consentiva la vendita di armi all’Inghilterra ed alla Francia, poi nell’aprile 1941, quando gli USA si impadronirono della Groenlandia, allora possedimento danese, giustificando l’occupazione militare dell’isola con la sua appartenenza all’emisfero occidentale.

Non vi è dubbio che Wilson e Roosevelt abbiano distorto la Dottrina Monroe, utilizzandola per realizzare scopi che con l’isolazionismo non avevano più nulla a che fare. Ma è altrettanto indubbio che, nella storia dell’espansionismo statunitense, isolazionismo ed interventismo non compaiono come due tendenze radicalmente contrapposte ed inconciliabili tra loro, bensì come le due fasi complementari – si potrebbe dire di sistole e diastole – di un unico movimento indirizzato verso lo stesso obiettivo: il controllo dell’altro emisfero.

Come lo “splendido isolamento” (“splendid isolation”) servì all’Inghilterra per dedicarsi allo sviluppo del suo impero coloniale, così l’isolazionismo degli Stati Uniti ha svolto la funzione strategica di valorizzare la sostanziale insularità del Nordamerica, mantenendolo estraneo ai conflitti europei, ma senza che venisse meno la proiezione oceanica della potenza statunitense. Secondo l’ammiraglio Alfred T. Mahan (1840-1914), teorico dell’“influenza del potere marittimo sulla storia”7, la scelta isolazionista degli Stati Uniti trova il suo superamento ed il suo compimento in una strategia fondata sull’insularità statunitense. In uno studio che attrasse l’attenzione di Carl Schmitt, Mahan definisce gli Stati Uniti d’America come “la vera isola contemporanea”8; in quanto “isola maggiore” rispetto ad un’Inghilterra diventata ormai troppo piccola, gli Stati Uniti sono i naturali eredi della talassocrazia britannica, destinati a perpetuarne il dominio sul mondo intero.

Situata fra l’Atlantico e il Pacifico, l’“isola maggiore” proietta la sua potenza espansiva simultaneamente verso l’Europa e verso l’Asia. Infatti “per una potenza marittima il mare è uno spazio vitale, non una frontiera. Le sue frontiere si trovano sulle sponde opposte”9. Raggiunta la sponda europea nel corso della seconda guerra mondiale, la potenza talassocratica statunitense ha occupato l’Europa fino a Berlino, per poi avanzare fino ai confini della Russia dopo averla sconfitta nella guerra fredda; sul versante del Pacifico, dopo aver distrutto l’impero giapponese, gli Stati Uniti si trovano oggi a dover affrontare la Cina. Quanto all’Oceano Indiano, le sue acque sono in parte presidiate da un altro obiettivo degli Stati Uniti e dei loro alleati: la Repubblica Islamica dell’Iran.

La decisione di esercitare un’azione di contrasto nei confronti della Russia, della Cina e dell’Iran ha indotto il governo di Obama a dispiegare le forze degli Stati Uniti e dei loro alleati lungo i confini di questi tre Paesi.

Non sarà necessario molto tempo per capire in che modo e fino a che punto il governo di Donald Trump intende sviluppare il conflitto geostrategico innescato dall’amministrazione precedente. Una cosa comunque è certa: l’“isola maggiore” non si isolerà nell’emisfero occidentale.


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  1. Carlo Jean, Geopolitica del XXI secolo, Laterza, Bari 2004, p. 56.
  2. Carl Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello “jus publicum Europaeum”, Adelphi, Milano 1991, p. 381.
  3. Romolo Gobbi, America contro Europa. L’antieuropeismo degli americani dalle origini ai giorni nostri, M&B Publishing, Milano 2002, pp. 93-94.
  4. Ibidem.
  5. Anders Stephanson, Destino manifesto. L’espansionismo americano e l’Impero del Bene, Feltrinelli, Milano 2004, p.150.
  6. Carl Schmitt, Il concetto d’Impero nel diritto internazionale, Settimo sigillo, Roma 1996, p. 21.
  7. Alfred T. Mahan, The influence of the sea power upon history. 1660-1783, Sampson Low and Co., London 1890.
  8. Carl Schmitt, Terra e mare, Adelphi, Milano 2002, p. 104.
  9. Jordis von Lohausen, Les empires et la puissance, Le Labyrinthe, Arpajon 1996, p. 93.
Claudio Mutti, antichista di formazione, ha svolto attività didattica e di ricerca presso lo Studio di Filologia Ugrofinnica dell’Università di Bologna. Successivamente ha insegnato latino e greco nei licei. Ha pubblicato qualche centinaio di articoli in italiano e in altre lingue. Nel 1978 ha fondato le Edizioni all'insegna del Veltro, che hanno in catalogo oltre un centinaio di titoli. Dirige il trimestrale “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”. Tra i suoi libri più recenti: A oriente di Roma e di Berlino (2003), Imperium. Epifanie dell’idea di impero (2005), L’unità dell’Eurasia (2008), Gentes. Popoli, territori, miti (2010), Esploratori del continente (2011), A domanda risponde (2013), Democrazia e talassocrazia (2014), Saturnia regna (2015).