Se l’Unione Europea chiama la Moldavia all’interno della sua comunità politico-economica, gli scenari lungo il confine russo-ucraino potrebbero spingere definitivamente la Repubblica Moldava di Pridnestrov’e verso Mosca.
La vicenda sembra non più essere sottovalutata neanche dal Governo centrale di Chişinău che, soprattutto in politica estera, ha varato scelte di un’ importanza geopolitica e strategica non indifferente rispetto ai “due blocchi” oggi contrapposti.
A poco più di anno dalla decisione presa attraverso lo strumento referendario dalla popolazione di Crimea, nonostante il controllo amministrativo della regione rimanga giuridicamente conteso tra la Federazione Russa e l’Ucraina, il pericolo di un totale contagio proveniente soprattutto dalle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Doneck è palese al neoeletto governo del Primo Ministro Iurie Leancă.
Dopo aver scongiurato un nuovo ricongiungimento alla Romania, argomento in realtà ancora vivo negli ambienti diplomatici più conservatori di Bucarest, e dopo aver perso nel corso del Novecento l’attuale parte ucraina della Bessarabia e quella della Bucovina del Nord, la nuova sfida per la Moldavia rimane quella di non vedere ridotta ulteriormente la propria sovranità territoriale alla luce delle scelte sostenute in campo europeo.
L’avvicinamento a Bruxelles, sancito dall’ingresso nell’area Schengen e dalla firma dell’Accordo di Associazione in ambito commerciale, ha conseguentemente condotto la Russia ad intraprendere pesanti restrizioni varando un embargo di tutti i prodotti agricoli moldavi.
Inoltre, il continuo ostracismo moldavo nei confronti dei mezzi di informazione russi presenti nel Paese, palese nei recenti casi dei giornalisti Dmitry Kiselev e Andrei Kondrashov, hanno spinto il Cremlino a definire le decisioni di Chişinău lesive dei diritti umani e negativamente in linea con le posizioni ucraine e filo-occidentali di Poroshenko.
Come affermato dal politologo, nonché abitante della Transnistria, Andrey Safonov, i rapporti tra le varie entità statali riconosciute de iure e de facto all’interno dei “Balcani orientali” potrebbero divenire pericolose per la Moldavia.
Se il conflitto russo-ucraino condurrà Kiev ad accettare una qualsiasi intesa politica con Bucarest, nel vicendevole tentativo di ripristinare nuovi rapporti con le rispettive comunità minoritarie nel territorio moldavo, Chişinău paleserebbe tutta la sua fragilità politica non riuscendo ad autorappresentarsi come terza forza all’interno della micro-regione.
Quindi, nonostante l’impegno di integrazione voluto da Bruxelles e l’apertura delle porte del mercato unico europeo, non è solo il risentimento russo l’unico fattore descrittivo dell’attuale aut-aut geopolitico a cui la Moldavia è chiamata a rispondere.
A differenza delle rosee aspettative mostrate dai burocrati dell’Unione Europea, le ultime elezioni hanno ulteriormente confermato quel fardello storico-culturale che la Moldavia sembra non riuscire ad abbandonare.
Con una società profondamente spaccata fra quella popolazione contadina che guarda ad oriente spinta dalla lunga tradizione sovietica, e chi invece vorrebbe virare verso più salde relazioni con l’Occidente poiché spaventato proprio dalla scomoda potenza russa, la nuova compagine di governo è il risultato della paura di un popolo intimorito molto più dal conflitto in Ucraina e dal riacuirsi dell’escalation di violenza in Transnistria che dalla decennale crisi istituzionale.
La presenza dell’esercito russo a Tiraspol, capitale e centro nevralgico della de facto Repubblica Moldava di Pridnestrov’e, continua a spaventare quei cittadini andati alle urne proprio perché intimoriti dai separatisti presenti nel Paese.
Ciò che accade a pochi chilometri dalla capitale moldava, appena al di là del fiume Nistro, potrebbe giocare un ruolo fondamentale all’interno della politica nazionale.
Se la nuova maggioranza pro-Ue sembra non rischiare nessuna crisi politica al suo interno, poiché composta dai maggiori partiti del Paese e dal Partito Comunista moldavo, è l’ala socialista che spaventa non poco le istituzioni di Chişinău.
Il Partito dei Socialisti rimane infatti l’unica forza dichiaratamente filo-russa e anti-europeista, conscio di aver perso l’occasione di ribaltare l’esito delle urne a causa dell’astensionismo degli abitanti della Transnistria. Nonostante il rapporto comunisti-socialisti rimanga “dialettico”, sono proprio le posizioni prese in politica estera che dividono i due maggiori partiti della sinistra moldava.
Se il Partito Comunista ha sempre mantenuto una politica volta alla crescita nazionale, la tradizione sovietica presente nel Paese ha spinto già da un paio di anni il Partito dei Socialisti ad inaugurare una linea economica libera dai vincoli occidentali.
Oltre all’astensionismo della regione della Transinistria, la Moldavia è interessata dal nuovo fenomeno del patriottismo filo-russo capace di superare gli storici steccati ideologici all’interno dell’ormai ex territorio sovietico. Uno dei fenomeni più interessanti riguarda la crescita della formazione “Patria”, esclusa dai giochi elettorali per presunti finanziamenti esteri che in Moldavia sono giuridicamente riconosciuti illeciti. Leader nella nuova formazione è l’uomo d’affari Renato Usatîi, moldavo ma cittadino russo, fermo sostenitore dell’Unione Doganale Euroasiatica sancita da Vladimir Putin con Bielorussia, Kazakistan e Armenia. Contraria all’ideologia liberal-unionista romena, ma anche contro l’avvicinamento seppur economico-commerciale all’Unione Europea, “Patria” sembra posizionarsi sulla scia del Partito dei Socialisti.
In realtà, ancora una volta nella regione balcanica sono proprio le vecchie scelte della comunità internazionale e dell’Unione Europea che sembrano ritorcersi contro l’ordine costituito dalla diplomazia occidentale.
La Transnistria oggi potrebbe essere spinta versa la definitiva indipendenza proprio dalla decisioni prese nel 2011 a Vienna sotto la guida dell’Osce e del gruppo dei 5+2. Le istituzioni di Chișinău insieme ai separatisti di Tiraspol, ai diplomatici russi, ucraini, statunitensi ed europei, vararono il miglioramento di infrastrutture come la linea ferroviaria che collega la capitale moldava ad Odessa, nonché il ripristino delle linee di comunicazione tra la Transnistria e le due parti del fiume Dnestr. Inoltre, nessuna sanzione fu intrapresa né contro la presenza dell’esercito russo in Transnistria né per la fabbrica di munizioni nella municipalità di Tighina.
La regione che aveva rappresentato la zona cuscinetto come argine alla stessa guerra interna, oggi con la presenza di quasi ottomila soldati russi e delle brigate di fanteria di Tiraspol, Bender, Rîbniţa e Dubăsari si è trasformata nella prima preoccupazione per la Moldavia e non solo per essa.
Francesco Trupia
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