Prefazione a “La sfida dell’India” di Vincenzo Mungo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2010

L’India, a fronte della grande eterogeneità climatica e geo-morfologica, del variegato assortimento etnico, dell’ampia varietà di culture e religioni e della disomogeneità socio-economica che la contraddistinguono, sembra aver perseguito con successo una regola che ha reso grandi gli antichi imperi: quella del mantenimento dell’unità nella diversità. Il “miracolo” dell’unità nazionale indiana non è però soltanto dovuto all’assetto costituzionale ed alla forma di governo federale che la popolosa penisola eurasiatica si è data dopo l’indipendenza del 1947, e neanche al fatto che l’Unione sarebbe la “più grande democrazia al mondo”, secondo un frusto slogan di qualche tempo fa.

La conservazione dell’unità in un sistema nazionale così composito e fitto di tensioni potrebbe essere spiegata, invece, più efficacemente, oltre che da una specifica cultura di governo, ben sedimentata tra le élites intellettuali e politiche del Paese, dall’equilibrio instauratosi tra le linee di forza determinanti il quadro geopolitico asiatico e quelle relative all’espansione occidentale nella massa eurasiatica.

Per quanto concerne la peculiare cultura di governo, sovente definita come “laica” e “secolare” in virtù del carattere tollerante che essa manifesta (e nonostante la “correzione” del 1976 apportata alla Costituzione per aggiungere gli aggettivi “laico” e socialista” alla definizione dell’India come repubblica democratica e sovrana), occorre invece riferirsi alle grandi, varie e durevoli tradizioni – da quella indù, a quella buddista, a quella islamica – che hanno caratterizzano l’intera storia dell’India, piuttosto che alla concezione democratica importata dall’Occidente. Quest’ultima, infatti, incardinata sull’ideologia dei diritti dell’individuo e dello stato-nazione, male si accorda alla gestione di un sistema complesso articolato su comunità differenziate, quale è quello indiano

In riferimento alla questione geopolitica, va rilevato che la presenza, in Asia, di altre due grandi entità, come la Cina e la Russia, e la continua pressione dell’Occidente a guida statunitense sulla massa eurasiatica hanno costretto l’ex perla dell’Impero britannico per un verso a instaurare rapporti diversificati con Pechino e Mosca, per un altro a fare fronte comune con i due giganti eurasiatici contro l’espansionismo politico, economico e militare dell’Occidente.

Tale orientamento, sostanzialmente basato su un originale principio dell’equilibrio di potenza eurasiatico, ha permesso all’India di salvaguardare, pur fra tante difficoltà economico-sociali e spinte centrifughe, l’unità del Paese, nonché di esprimere un certo grado di indipendenza nelle scelte strategiche di fondo, quali, ad esempio, quelle relative al nucleare, agli armamenti balistici, all’industria aerospaziale ed al potenziamento della marina civile e militare. Nell’arco della sua giovane esistenza, l’Unione ha attraversato con grande capacità di adattamento i diversi contesti geopolitici, riuscendo sempre a cogliere in essi i margini di manovra utili per confermare la propria autonomia.

Durante la fase bipolare, avvertita dalla classe dirigente indiana come la lunga era della decolonizzazione, Nuova Delhi, pur costituendo con Mosca un solido asse, motivato dalla percezione terrestre della minaccia, costituita in particolare da Pechino e Islamabad, sottolineò la propria indipendenza dalla logica dei due blocchi, simbolicamente e praticamente, sia aderendo al movimento dei Paesi non allineati sia rinunciando al Trattato di non proliferazione nucleare.

Nel corso del “momento unipolare”, l’India adotta la dottrina dei cerchi concentrici proposta dal ministro Gujral. Questa, imperniata sulla cooperazione regionale, sulla valorizzazione della propria autonomia e sulla poderosa crescita economica ed industriale di quegli anni, permette all’India di emergere quale attore egemone in Asia meridionale.

Oggi, in un contesto decisamente multipolare o, secondo la definizione di alcuni analisti, policentrico, la percezione terrestre della minaccia e la dimensione oceanica paiono costituire ancora le coordinate entro cui Nuova Delhi attua una propria geopolitica. Quest’ultima, che include a grandi linee la dottrina Gujral, mira a dotare l’India di uno status di potenza non solo regionale, ma soprattutto globale.

Essa si esprime in almeno quattro ambiti principali che riguardano rispettivamente lo scacchiere regionale, il Sud Est e l’Oriente, l’area del Golfo e la direttrice Sud-Sud che interessa, oltre l’India, l’Africa e l’America meridionale.

A questi quattro ambiti sopra delineati, tesi sinergicamente a ribadire l’autonomia indiana nello scenario mondiale, occorre aggiungere anche le intese strategiche che Nuova Delhi coltiva con Mosca e, ultimamente, anche con Pechino, ai fini della stabilità in Asia centrale.

Per quanto riguarda lo scacchiere regionale, nonostante la guerra in Afghanistan e le difficili relazioni con il Pakistan e il Bangladesh, l’India, attraverso una mirata politica di negoziazione bilaterale con i Paesi dell’area, riuniti nell’Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Bangladesh, Bhutan, Maldive, Nepal, Pakistan, Sri Lanka, Afghanistan), ha assunto in pochi anni un importante ruolo che la candida a svolgere la funzione di stato perno dell’intera zona.
Ai fini del consolidamento del proprio potenziale geopolitico, l’India tende ad assicurarsi a Oriente e nel Sud Est asiatico amicizie stabili e strategiche, basate sulla reciproca convenienza.

I Paesi verso cui Nuova Delhi rivolge la propria attenzione sono, in particolare, l’Indonesia e il Giappone. L’amicizia con Giacarta e Tokyo, che, come noto, sostengono rispettivamente i programmi spaziali e lo sviluppo industriale dell’Unione, costituisce per Nuova Delhi anche una sorta di dispositivo geopolitico in relazione agli altalenanti rapporti che intrattiene con Pechino.

Verso Ovest, invece, l’India sembra giocare la carta della cooperazione. L’India, bisognosa di forniture energetiche utili per lo sviluppo e il potenziamento della propria industria, mantiene importanti relazioni con il Consiglio di cooperazione del Golfo, che riunisce l’Arabia Saudita, l’Oman, il Kuwait, il Bahrain, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, e con la Repubblica Islamica dell’Iran. Candidandosi come un interlocutore indispensabile e un buon cliente per i Paesi del Golfo, l’India si è garantita una via di espansione verso occidente. Occorre rilevare che se il rapporto tra Nuova Delhi e Teheran assume un significato geopolitico di fondamentale importanza nel quadro della strategia di contenimento del Pakistan, lo stesso potrebbe rivelarsi, nel medio periodo, problematico per le relazioni con Tel Aviv ed inoltre essere strumentalizzato da Washington, qualora l’India assumesse posizioni proeurasiatiche sulla questione del nucleare iraniano.

Nell’ambito della Cooperazione Sud-Sud, Nuova Delhi ha costruito, negli ultimi dieci anni, solide relazioni con Brasilia e Pretoria, entrando in competizione, per alcuni aspetti, anche con la Cina. Considerando gli stretti rapporti indo-australiani e la centralità della penisola indiana nell’omonimo oceano, le intese con il Brasile e il Sud Africa, cui l’India è associata anche nel Forum IBSA (India, Brasile, Sud Africa), paiono assumere una specificità geopolitica utile al consolidamento del sistema multipolare, all’emersione dell’Australia quale nuovo attore regionale ed infine al rafforzamento di Nuova Delhi sullo scacchiere globale.

Gli sforzi che attualmente l’India conduce per il mantenimento della propria autonomia e della propria unità nonché per lo sviluppo economico industriale saranno, nel medio e lungo periodo, premiati soltanto se Nuova Delhi impernierà i propri interessi geopolitici nel quadro di una prospettiva eurasiatica e multipolare; tale prospettiva, infatti, risolverebbe la sua scelta tra l’essere una semplice potenza regionale con aspirazioni internazionali oppure una potenza mondiale con interessi regionali.

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