Gli scontri avvenuti in Kirghizistan qualche settimana fa hanno polarizzato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sul piccolo Paese centroasiatico. L’attenzione dei media internazionali si è tuttavia concentrata prevalentemente sulle motivazioni, pur importanti, legate agli scontri interetnici tra uzbechi e kirghizi. In questo articolo si intende invece attrarre l’attenzione del lettore prevalentemente sul contesto geopolitico internazionale che ha, con tutta probabilità, influito in maniera significativa sugli scontri interetnici.
Vista l’importanza degli interessi in gioco nell’area è molto probabile, ma finora non oggettivamente comprovato, che gli scontri tra uzbechi e kirghizi avvenuti alcune settimane fa abbiano avuto una matrice non soltanto endogena, ma anche almeno in parte esogena dettata dagli interessi geopolitici dei Paesi più influenti della regione. E’ così evidente che gli interessi delle maggiori potenze dell’area hanno opportunisticamente acuito le già forti rivalità claniche ed etniche interne al Paese per raggiungere i propri obiettivi strategici.
Il Kirghizistan occupa una posizione geopolitica strategica grazie alla sua posizione geografica: è confinante con la Cina che vuole fare sentire la sua presenza nell’area, ma al tempo stesso non desidera una destabilizzazione della stessa a causa del timore che anche la sua regione occidentale di confine con il Kirghizistan,il Xinjang cinese, popolato da popolazioni turcofone ed islamiche, gli uiguri, possa esserne contagiata.
Il Kirghizistan è a sua volta importante dal punto di vista russo per ribadire il rinnovato interesse strategico di Mosca nei confronti dell’area centroasiatica e quindi l’essenziale contenimento di Cina e Stati Uniti che, nel corso degli ultimi decenni seguiti alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, hanno promosso ed incoraggiato nell’area una serie di rivoluzioni democratiche “colorate” al fine di introdurvi la democrazia e contemporaneamente estromettervi la Russia. Nonostante l’indubbia oppressione politica durante l’epoca sovietica, in particolare durante l’epoca di Stalin che operò una sistematica propaganda ateista ed una scientifica frammentazione dei diversi gruppi etnici in repubbliche confinanti per poterli così controllare meglio secondo il noto principio del divide et impera, l’atteggiamento delle popolazioni centroasiatiche nei confronti dei russi non è generalmente ostile poiché durante l’epoca sovietica i russi hanno di fatto contribuito, nonostante la violenza esercitata a livello politico, al generale innalzamento del livello culturale e di vita delle popolazioni di quest’area. Così Mosca, sfruttando sia questo retaggio storico del passato sovietico, che attraverso la sua diretta presenza militare (e anche grazie alla sua parziale leadership, insieme alla Cina) nell’ambito dell’Organizzazione che prende il nome di SCO, ossia Shangai Cooperation Organization, può acquisire un ruolo progressivamente crescente in Asia Centrale che considera ancora zona di suo interesse privilegiato.
Il Kirghizistan è a sua volta importante per gli Stati Uniti sia come base militare per la guerra in l’Afghanistan che quale base logistica per il controllo della ricchezza energetica presente nell’area centroasiatica e caspita. La presenza statunitense in Kirghizistan si rivela quindi determinante per il controllo dell’area centro e sud-asiatica in cui si registra una forte crescita economica e quindi anche politica, in primis quella cinese che gli Stati Uniti tentano di contenere.
Infine, il Kirghizistan occupa un posto di rilievo anche per il contenimento dell’islamismo radicale proveniente soprattutto dall’Uzbekistan che ha delle ambizioni di potenza regionale nell’area centro-asiatica. Infatti, l’Uzbekistan è, tra le repubbliche dell’Asia Centrale, il Paese in cui è più radicata la presenza della tradizione islamica, come d’altronde testimoniano anche le splendide città di Bukhara e Samarcanda. Per questo motivo presso i governi dell’area esiste il ragionevole sospetto, ed anche il fondato timore, che all’interno dello Stato uzbeko alcune componenti politiche islamiche particolarmente radicali intendano esportare nella regione, per propri fini politici di destabilizzazione dell’area, un Islam militante che nuocerebbe gravemente alla stabilità dell’area, finora caratterizzata da una religiosità generalmente moderata e tollerante.
Proprio il timore del pericolo incombente rappresentato dal fondamentalismo islamico, rendono molto prudenti le maggiori potenze dell’area come Cina, Russia e Stati Uniti. Per motivi legati ai propri interessi geopolitici o alle concezioni politiche certamente non particolarmente liberali delle prime due, esse sono particolarmente caute nel promuovere la democrazia o perlomeno la transizione verso governi meno autoritari e corrotti rispetto a quelli che caratterizzano attualmente l’area in questione. Ciò, sul lungo periodo, non potrà però che facilitare la crescita del radicalismo islamico nella regione.
* Gregorio Baggiani attualmente si occupa d’un progetto di ricerca sulla guerra sovietico-afghana del 1979-89 presso la cattedra di Storia delle relazioni internazionali e dell’Europa Orientale all’Università Roma III. Svolge inoltre attività di ricerca e di analisi per le “Lettere Internazionali” de “Il Mulino”. Partecipa alle missioni di osservazione elettorale OSCE nell’area postsovietica per conto del Ministero degli Affari Esteri.
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