Gli USA continuano a navigare a vista, mantenendo come unica grande priorità la conservazione del controllo sulla penisola arabica e i suoi emirati, lasciando che l’Europa la ‘sfanghi’ da sola come può. In questo contesto, la diplomazia francese viene quasi completamente a screditarsi agli occhi della maggior parte del mondo, e per salvare la faccia, si mette in prima linea nel portare aiuto a una falsa rivoluzione che nasconde un golpe militare fallito, più o meno ispirato dagli inglesi. In tale contesto, l’umiliazione che rappresenterebbe la vittoria e la permanenza al potere di Gheddafi, permetterà alla Gran Bretagna, alla Francia e al Canada di ottenere una risoluzione dell’ONU che autorizza l’uso della forza in Libia, col sostegno riservato degli USA… Alea jacta est!”

Frédéric Stahl, direttore di ‘Navires et Histoire’

 


 

13 gennaio, esplodono delle rivolte a Derna e al Badya, appartamenti costruiti da ditte cinesi e coreane vengono saccheggiati. Gheddafi chiede ad aziende private di procurare alloggi per 3300 famiglie.30 Gennaio, il leader islamista tunisino Gannouchi, rientra in patria dopo venti anni di esilio a Londra.

7 febbraio, le forze armate tunisine richiamano tutti i riservisti, che dovranno essere disponibili a partire dal 17 febbraio.

12 febbraio il ministro degli esteri francese, François Fillon visita Gedda, dove si trova la Portaerei Charles De Gaulle, che partecipa alle esercitazioni congiunte con la marina e l’aviazione saudite.

15-17 Febbraio, su facebook, organizzazioni basate a Londra lanciano la parola d’ordine ‘Lybia Now’ e a Bengasi e Derna vi sono piccole manifestazioni antigovernative (500-600 persone coinvolte) che chiedono il rilascio di alcuni militanti islamisti arrestati nei giorni scorsi. Nella notte, sebbene il governo abbia deciso di assecondare le richieste dei manifestanti, rilasciando 110 islamisti detenuti, gruppi di individui prendono di mira, armati con coltelli, bastoni e molotov, edifici governativi e sedi della polizia, da dove saccheggiano delle armi. I mass media già iniziano a diffondere disinformazione parlando di decine di morti (in realtà, vi sono in tutto 38 feriti).

17 febbraio, il ministro degli interni e comandante delle forze speciali libiche, Abdel Fattah Younis al-Abidi, si reca a Bengasi dove guida la trasformazione delle manifestazioni in aperta rivolta contro il governo di Tripoli, alleandosi con la Senoussia, la famiglia clanistica da cui provengono gli ex-monarchi libici.

19 febbraio, la cittadina di Nalut, a sud di Tripoli, viene presidiata da un non ben specificato ‘comitato rivoluzionario’.

20 febbraio, il battaglione Faileq 36, del generale ribelle Ahmoud Qatrani, attacca la caserma dell’esercito ‘Katiba Fadil Bouaamar‘. Lo scontro provoca 80 morti. La brigata al-Fadhil, del generale Abdel Aziz al-Busta, di stanza a Tobruk e al-Badya, passa dalla parte dei rivoltosi. Cadono in mano ai golpisti depositi di armi, carri armati T-55 e T-62, blindati e artiglieria antiaerea leggera. La maggior parte dei soldati non si unisce alla rivolta golpista, ma semplicemente abbandona le caserme e torna a casa. Nelle basi di Misurata, al-Khums, Tharounah, Zenten, Zawia e Zouara, diversi militari si sollevano o se ne vanno. La brigata al-Sybil di 5000 uomini, costituita dalla Legione Africana e dal 32.mo reggimento corazzato, dotato di carri armati T-72, guidato da Kamis Gheddafi, si muove verso Sabratha, cittadina posta tra Tripoli e il confine tunisino, affinché non cada in mano ai golpisti.

21 febbraio, l’imam dei Fratelli Mussulmani, e star televisiva del network TV anglo-qatariota al-Jazeera, Yusif al-Qaradawi, invoca l’assassinio di Muammar Gheddafi, probabilmente dietro suggerimento del clan saudita dei as-Sudairi, che da mesi sta cercando di imporsi sulla monarchia di Riyad. Nel frattempo le basi aeree di Bengasi-Benina, Tobruk-Adam, Tobruk-Bumbah, Tobruk-Abraq cadono in mano ai ribelli, che recuperano 9 caccia Mig-23, qualche elicottero d’attacco Mil-24 e un paio di caccia leggeri Mig-21, oltre a diverse batterie di missili antiaerei SA-2 e SA-3, tutti inattivi, come è inattiva anche la fregata leggera al-Hani, ormeggiata nel porto di Bengasi al momento del golpe. Resta il mistero dei due Dassault F-1AD e F-1BD Mirage, temporaneamente basati ad al-Adam, che sono fuggiti a Malta. Si tratta effettivamente di disertori golpisti, o sono degli ufficiali piloti che, restando fedeli al governo, hanno fatto riparare i loro velivoli al sicuro? Fatto sta che i ribelli riescono a riattivare, con il probabile aiuto dei ‘consiglieri’ anglo-francesi ed egiziani infiltratesi negli ultime settimane, un paio di Mig-23, un Mig-21 e un Mi-24, gestiti dai 6/8 piloti che restano a fianco dei ribelli. Franco Frattini, ministro degli esteri di Roma, delira sproloquiando di ‘mille morti’; è il segnale madiatico che serve per iniziare la campagna diplomatica contro la Jamahiriya. Infatti, William Hague, ministro della difesa inglese, afferma ufficialmente (e falsamente) che Gheddafi è fuggito in Venezuela. Notizia falsa, ma che ha un peso data l”autorevolezza’ della fonte. Il ministro della giustizia, Mustafa Abdel Jalil, diserta e passa con i golpisti. A Sabratha, la 32.ma Brigata respinge e mette in rotta i ribelli che volevano occupare la cittadina. I morti, finora, sono 300, di cui 58 militari governativi.

22 febbraio, a Derna, Abdelkrim al-Hasidi proclama il califfato islamico.

23 febbraio, la tribù Toubou passa con i golpisti, Tripoli perde il controllo di Qufra. Ad al-Badya, i ribelli assassinano diversi civili e militari leali al governo. Il video dei corpi di questi martiri, viene diffuso dalle agenzie occidentali come la (falsa) prova del ‘massacro di 10000 civili inermi da parte dei mercenari negri di Gheddafi’. Non sarà l’unica mossa propagandistica di questo genere. A Marsa al-Brega un cacciabombardiere Su-22 viene abbattuto dalla milizia ribelle. Tale evento è all’origine di numerose storie di piloti disertori e di ‘successi’ dell’antiaerea ribelle. Rimane tuttora l’unico aereo governativo effettivamente abbattuto dalla contraerea dei golpisti.

24 febbraio, la fregata inglese HMS Cumberland arriva a Bengasi, dove sbarca dei commandos delle forze speciali (SAS) di sua maestà britannica. La TV libica mostra passaporti, CD e cellulari egiziani appartenenti a sospettati che avevano confessato di aver complottato azioni terroristiche contro il popolo libico.

26 febbraio, Abdel Jalil forma e guida il Consiglio di Transizione Nazionale, mentre a Misurata la brigata Al-Khuweildi al-Humaidi e unità eliportate libiche respingono i golpisti avvicinatisi all’aeroporto. A sud di Tripoli, due C-130 della RAF, guidati da un aereo AWACS della NATO, sbarcano altri gruppi di commandos delle forze speciali inglesi.

27 febbraio, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU vota l’embargo contro la Libia e il divieto di viaggiare alla famiglia Gheddafi. A Sirte, un elicottero della marina militare olandese viene catturato con tre uomini a bordo, mentre attuava un operazione di infiltrazione/esfiltrazione di agenti dell’intelligence.

28 febbraio, ad Aghedabia, l’aviazione governativa bombarda i depositi di munizioni prima che cadano in mano ai golpisti. A Malta, gli inglesi installano reparti del 3.zo Battaglione Reale Scozzese ‘Black Watch’ (appena rientrato dall’Afghanistan); una portavoce ha detto che i 200 soldati forniranno solo assistenza umanitaria e non saranno impegnati in alcun combattimento o intervenire militare.

1 marzo, Ahmoud Qatrani assume il comando di un ‘consiglio militare’ che dovrebbe guidare le operazioni belliche dei golpisti. Abdelsalam Jalloud respinge le sollecitazioni ad aderire alla ‘rivolta’, e dichiara la propria lealtà al governo di Tripoli.

2 marzo, 400 marines della 2.nda MEU statunitense arrivano a Creta, mentre le forze della Jamahiryia riprendono il controllo di Zintan e Ghariyan, una cinquantina di veicoli della milizia popolare assalta Marsa al-Brega (5 ribelli e 2 miliziani restano sul terreno) e l’aviazione governativa interviene ancora su Aghedabia. I tuareg di Mali, Niger e Libia si schierano con Gheddafi. A Bengasi arriva il cacciatorpediniere inglese York, che imbarca 11 cittadini di sua maestà.

3 marzo, un Su-22 governativo bombarda un deposito di munizioni di Marsa al-Brega.

4 marzo, un gruppo di otto agenti speciali britannici viene catturato da una fazione dei ribelli, mentre un libico con cittadinanza inglese viene ucciso a Marsa al-Brega. I ribelli-golpisti avanzano su al-Uqayla, mentre le forze governative riconquistano Zawia e avanzano su as-Sidrah, presso Ras Lanouf.

A Zawia, occupata da circa 200 golpisti, mentre i posti di blocco governativi, installati sulla strade che portano verso la città, sono controllati da autoblindo e pickup, una dozzina di carri armati T-72 appartenenti alla brigata Khamis vengono allineati sui nodi stradali presso la città. Dieci chilometri dietro di essi almeno otto lanciarazzi multipli BM-21 sono puntati verso la città. Quando la battaglia giunge al culmine, i ribelli vengono colti di sorpresa; invece di attaccare lungo la strada principale, nei pressi della Piazza dei Martiri, le forze governative sopraggiungono da ovest, attraversando il quartiere periferico di Harsha, cogliendo alle spalle i ribelli e uccidendo il loro comandante già nelle prime fasi dei combattimenti. Un deposito di razzi anticarro, ad Aghedabia, viene bombardato dall’aviazione governativa, mentre un altro deposito di armi, a Bengasi, esplode, causando 17 morti. Probabile sabotaggio della quinta colonna filo-Jamahiriya.

5/6 marzo, una colonna di veicoli ribelli, guidati dal generale Wanif bou Hanada, a Bin Jawad, 100 km ad est di Sirte, viene respinta dall’intervento di cacciabombardieri governativi. Dodici ribelli sono uccisi e tre veicoli sono distrutti. Mentre i ribelli ripiegano in disordine verso Ras Lanouf, gli inglesi recuperano il commando catturato dai golpisti il 4 marzo. Il premier francese Alain Juppè, a Cairo dichiara di approvare una no-fly zone sulla Libia.

7 marzo, a Bengasi arriva il pattugliatore Libra, con a bordo un distaccamento del battaglione San Marco, mentre a Ras Lanouf, i ribelli vengono circondati.

8 marzo, mentre l’aviazione governativa terrorizza i ribelli, sganciando bombe in prossimità delle loro posizioni, tra i ribelli si registrano i primi attriti e scontri.

9 marzo, le truppe governative riprendono il pieno controllo di Zawia, mentre il generale Rahman bin Ali al-Said al-Zawi, responsabile dell’approvvigionamento dell’esercito libico, si reca a Cairo per assicurarsi la neutralità dell’esercito egiziano.

10 marzo, mentre il governo francese riconosce Abdel Jalil ‘legittimo rappresentante’ della Libia e gli AWACS della NATO iniziano a spiare lo spazio aereo libico, tre carri armati e 150 uomini dell’esercito libico riprendono il controllo di Ras Lanouf, coadiuvati da civili e operai del terminale petrolifero che sparano sui golpisti del CNT, mentre quattro mezzi da sbarco depongono altri 180 soldati libici alle spalle dei ribelli, che si ritirano a Marsa al-Brega.

11 marzo, ad Addis Abeba, l’Unione Africana respinge qualsiasi ipotesi d’intervento esterno nella crisi libica.

13 marzo, i ribelli fuggono da Marsa al-Brega.

14 marzo, Zouara ritorna sotto il controllo delle forze governative, mentre le truppe della Jamahiriya riprendono Marsa al-Brega e sbarcano truppe, aerotrasportare su degli Antonov An-26, alle spalle di Aghedabia. Gheddafi promette l’amnistia ai soldati ribelli che si arrendono e invita (tardivamente) Russia, Cina e India ad investire in Libia. Gran Bretagna, Francia e USA affrontano la prospettiva di una bruciante sconfitta politico-militare di carattere geostrategico e geopolitico.

15 marzo, le truppe governative riprendono il controllo di Zintan, mentre Aghedabia viene liberata dalle truppe, dopo uno scontro che ha causato tre morti e quindici feriti tra i ribelli.

16 marzo, l’aviazione governativa bombarda la base aerea di Benina, distruggendo i velivoli caduti in mano ai ribelli, e concede al CNT di Bengasi 72 ore per arrendersi. Il 17 marzo viene approvata la Risoluzione 1973, che impone la no-fly zone sulla Libia, e che prevede l’imposizione di un ‘cessate-il-fuoco per tutelare la vita dei civili‘. Un mero pretesto a cui non crede nessuno degli sponsor dell’azione interventista in Libia: USA, Regno Unito, Francia, Arabia Saudita e Libano. Quest’ultimo ha votato a favore della risoluzione su indicazione di Tehran che, in un rapporto simbiotico col suo rivale regionale arabo, Riyad, ripropone lo stesso schema di ‘interventismo concorrenziale’ che si era registrato durante la guerra alla Jugoslavia (e probabilmente anche in Afghanistan e Iraq). Non a caso Tripoli accusa la presenza di militanti di Hezbollah e di Hamas tra i cosiddetti ‘ribelli’ di Bengasi.

Al 17 marzo 2011, il bilancio del mancato golpe in Libia è di 796 morti e 8800 feriti.

 


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