Premessa redazionale:
Quelle che seguono sono le conclusioni d’un più ampio studio del dottor Gregorio Baggiani su “Le conseguenze geopolitiche delle elezioni ucraine”.
Riportiamo quest’articolo in quanto parere di un esperto, ma la Redazione di “Eurasia” non ne condivide alcune premesse e giudizi di fondo.
Il voler fare dell’Unione Europea una potenza unitaria e a se stante è commendevole da parte di Baggiani, ma non se la Russia viene poi percepita come un competitore geostrategico.
La priorità per l’Europa aspirante “grande potenza” non è quella di mantenere frammentata l’area postsovietica, o di penetrarvi, per impedire il recupero di una sfera d’influenza da parte russa. Questa è la priorità della “talassocrazia” (per usare termini geopolitici), oggi rappresentata dagli USA. Semmai, gli Europei dovrebbero dare la priorità alla costruzione interna della propria potenza, prima che alla sua proiezione esterna.
Baggiani, con acume strategico, nota come l’inclusione della Turchia nel “grande spazio” europeo sarebbe fondamentale per farlo assurgere al rango di grande potenza. Ciò è assolutamente vero, ma rischia di precorrere i tempi (forse è la politica europea che non ha saputo stare al loro passo, ma la sostanza non cambia).
È fisiologico che, quanto più s’allarga, una costruzione politica perda di coesione. Ciò non è un problema se si riesce a far sì che l’acquisizione di potenza garantita dall’espansione controbilanci la perdita di coesione provocata dall’espansione stessa. L’espansione dev’essere perciò ragionata – tenendo presenti anche se non primariamente i criteri geopolitici e strategici – e ben fatta. Allo stato attuale, sembra che i più recenti allargamenti abbiano indebolito la costruzione europea, sebbene sia indubitale che l’Europa Centro-Orientale dovesse farne parte. L’accentramento dei poteri deve andare di pari passo con l’allargamento territoriale, pena lo sfaldarsi della costruzione politica. Finora l’UE è sembrata decisa ad “accentrare” un certo controllo poliziesco (vedi il mandato di cattura europeo), apparentemente lesivo delle libertà civili, dando poca attenzione all’imprescindibile accentramento di competenze politiche, economiche e strategiche.
Ma il problema più grave dell’UE non è purtroppo questo. L’UE continua a demandare la propria sicurezza e difesa ad un organismo il cui centro sta all’esterno dell’Europa: il Patto Atlantico. La NATO è uno strumento dell’egemonia statunitense sull’Europa, intesa come testa di ponte della talassocrazia sul continente eurasiatico. Diviene abbastanza ovvio e comprensibile che Mosca cominci a non valutare più tanto positivamente l’allargamento dell’UE verso o entro la sua storica sfera d’influenza politica e culturale, se l’UE continua a rimanere una parziale interfaccia economico-politica di un’alleanza strategico-militare che è nata apertamente per contrapporsi al Cremlino, e che oggi continua ad esistere ancora per quella ragione, benché non lo si proclami più ai quattro venti.
La forza militare rimane un elemento imprescindibile della potenza, e l’UE non può sperare di essere una grande potenza finché non si riapproprierà, tra le altre cose, del suo strumento militare e della conseguente condotta geostrategica, oggi demandati all’egemone d’Oltreatlantico.
Per quanto concerne l’Ucraìna, essa è storicamente, etnicamente, geograficamente, culturalmente e geopoliticamente connessa alla Russia. L’Ucraìna è europea, certo, ma europea è anche la Russia, come scrive Baggiani. A meno di immaginare un’Europa-Eurasia allargata anche alla Federazione Russa – e ciò appare fantapolitica, almeno allo stato attuale delle cose, perché tale prospettiva non piace a Washington e Pechino e non è ricercata né da Bruxelles né da Mosca – bisogna concludere che l’Unione Europea dovrà rinunciare ad almeno una parte dell’Europa Orientale: la Russia. Ma a nostro parere dovrà rinunciare anche a Ucraìna e Bielorussia (per Minsk vale lo stesso discorso di Kiev). In caso contrario, per l’UE – a maggior ragione se ancorata al Patto Atlantico, ma anche se finalmente affrancatasi da esso – non ci sarà altra prospettiva che quella di scontrarsi con la Russia.
Inglobare due marche di confine vale un suicidio geopolitico?
(D.S.)
Le conseguenze delle politiche attuate da Janukovič potrebbero ripercuotersi su tutta l’area che va dall’Ucraina, al Caucaso, all’Asia Centrale, rallentando per i decenni a venire il processo di europeizzazione politica e democratizzazione di tutta l’area postsovietica in cui Mosca potrà continuare ad esercitare la sua influenza politica ed economica. In particolare per quanto riguarda il suo modello essenzialmente burocratico-autoritario che esplicitamente cercherà di estendere a tutta l’area, in particolare dopo queste elezioni ucraine e l’esito, vittorioso per Mosca, della guerra russo-georgiana dell’estate 2008. L’Ucraina, perciò continuerà anche in futuro, come è stata in passato, divisa tra Russia da una parte e Polonia ed impero asburgico dall’altra, a rappresentare una sorta di faglia, un confine tra mondo europeo e quello russo e postsovietico, non intendendo con questo termine però indicare una differenza di tipo culturale, ma esclusivamente di tipo politico poiché la Russia, come è noto, costituisce parte integrante del continente europeo dal punto di vista culturale, ma non da quello della sua cultura politica ed istituzionale. Ucraina vuol dire appunto in russo, “ di confine” o “terra posta sul confine” e questo, sembra, continuerà ad essere il suo destino anche nei prossimi anni. Il Paese è diviso internamente quindi sia dal suo essere culturalmente composito, ma anche dalla sua posizione geopolitica che lo rende suscettibile delle attenzioni di Stati confinanti ed interessati al suo valore geopolitico e strategico per la sua posizione geografica vicina al Medio Oriente ed al Caucaso. Esso costituisce un punto nevralgico del traffico petrolifero ed al tempo stesso crocevia culturale del confronto tra Occidente ed Islam nelle sue varie sfaccettature e per questo, non certo a caso, è stato recentemente incluso nella Politica europea di Vicinato. Sarebbe comunque, a mio parere, interesse dell’Unione Europea, nonostante la evidente cattiva gestione politico-amministrativa del Paese da parte del governo ucraino e la presente leadership, dare la possibilità all’Ucraina di accedere in tempi relativamente rapidi all’UE poiché essa altrimenti si vedrà costretta a legarsi sempre più strettamente alla Russia, con la conseguente sostanziale perdita di indipendenza dello Stato. La sua stagnazione, inoltre, si ripercuoterà in qualche misura in una mancanza di crescita economica per l’Unione Europea e soprattutto in un’ancora maggiore dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia. Infatti la Russia potrebbe riuscire ad ottenere il controllo di tutti o buona parte dei gasdotti che transitano per l’Ucraina, anche di quelli che non trasportano gas proveniente dalla Russia stessa ma da altri Paesi dell’area postsovietica, rafforzando così il suo già quasi assoluto monopolio energetico nei confronti dell’Unione Europea. Inoltre l’Unione Europea potrebbe perdere l’occasione di introdurre un mutamento delle forme di governo postsovietiche che perdurano nell’area e di una sua possibile ulteriore proiezione strategica verso est, in particolare verso il Caucaso, il mondo islamico nel suo complesso, il subcontinente indiano e la Cina, divenuta nel corso degli ultimi anni sempre più il vero e proprio fulcro dell’economia mondiale. Con l’adesione dell’Ucraina, grazie alla sua capacità di trasformazione politica dell’area postsovietica, e forse anche con la Turchia, l’UE potrebbe infatti suggellare la sua definitiva entrata nel novero delle potenze mondiali, non soltanto dal punto di vista economico, ruolo che le è già unanimemente riconosciuto da anni, ma anche dal punto di vista politico e geopolitico a livello internazionale. Altrimenti, il risultato sarà di fatto quello di una lenta e progressiva reintegrazione dello spazio postsovietico attorno alla Russia, non più il nemico ideologico dell’epoca della Guerra Fredda, ma al tempo stesso partner e concorrente geopolitico dell’Unione Europea in questa importante area del mondo. Per questo motivo l’inclusione da parte dell’Unione Europea della Russia tra i Paesi che hanno voce in capitolo nelle future trattative di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea potrebbe dimostrarsi inevitabile o perlomeno sensata. Si tratta di una questione non di diritto, ma di fatto, di realpolitik. L’Unione Europea, con una mentalità spesso abituata a ragionare in termini di legalità e procedure burocratiche, non tiene in alcuni casi sufficientemente conto invece della complessa realtà geopolitica che si presenta ai suoi occhi, una realtà spesso fatta in primis di interessi geopolitici, ma anche di odi atavici, o perlomeno di storiche e reciproche incomprensioni tra le diverse popolazioni dell’area, di confini mutati arbitrariamente da un despota, (spesso da parte di Stalin che fece della tattica del divide et impera una vera e propria arte), od in seguito ad una guerra che ha provocato lo sradicamento di intere etnie, realtà di cui l’Unione Europea nel suo complesso non sempre riesce a rendersi conto o per le quali non è sempre sufficientemente preparata culturalmente o politicamente. Insomma si tratterebbe di un confronto tra un’Europa occidentale “postnazionale” e democratica ed un’area eurasiatica ancora in evoluzione e trasformazione, in sintesi una sorta di Europa versus Eurasia. Proprio questo fatto derivante da un’eredità storica tormentata e da una realtà geopolitica complessa rende l’area postsovietica estremamente volatile e quindi vulnerabile ad un possibile aumento della tensione locale ed internazionale, situazione di cui la Russia è invece rapida ad approfittare, presentandosi di volta in volta quale arbitro imparziale oppure quale protettrice dei propri cittadini o di una nazionalità oppressa da un micronazionalismo locale, quello georgiano, come è accaduto nel caso dell’Ossezia del sud.
Naturalmente ciò comporterà necessariamente per l’Unione Europea anche una profonda revisione della politica estera europea e forse anche una sua possibile militarizzazione a causa della eventualità che la UE debba ricorrere alle armi, (o, più probabilmente, alla minaccia del ricorso alle armi) quale fattore deterrente nel caso di una crisi politica o militare nell’ambito dello spazio postsovietico, ad esempio in Crimea, strategicamente fondamentale per il controllo dei traffici energetici provenienti dall’area del Caspio che transitano attraverso il Mar Nero. Il controllo di questa direttrice si rivela fondamentale per la Russia, schiacciata tra la potenza economica occidentale e le potenze asiatiche emergenti, perché le consente di controllare i traffici energetici e commerciali provenienti dal Caucaso e quindi di restare un interlocutore di riferimento per il mondo islamico che si trova a sud.
In conclusione, l’Ucraina è a tutti gli effetti un Paese europeo meritevole di adesione e pertanto, a mio parere, l’Unione Europea ha avuto negli scorsi anni ed ha tuttora tutto l’interesse a renderne possibile l’adesione entro 5 o 10 anni al più tardi. Proprio l’appoggio esplicito e pubblico dell’Unione Europea alle forze filoeuropee presenti nel Paese e soprattutto nella sua parte occidentale e centrale, potrebbe consentire alle forze modernizzatici e filoeuropee ucraine di vincere le prossime elezioni, quand’esse siano libere ed oneste e non già ipotecate dal Partito al governo come, con ogni probabilità, potrebbe purtroppo accadere in futuro. Infatti senza una chiara indicazione di un adesione all’UE entro alcuni anni, la vittoria del Partito delle Regioni, populista, autoritario e filorusso diviene per l’Ucraina pressoché l’unica possibile alternativa. E’ quindi interesse dell’Unione Europea uscire da questo circolo vizioso ed appoggiare esplicitamente le forze filoeuropee che, forti di questo appoggio, potrebbero forse in un futuro vincere nuovamente.
* Gregorio Baggiani attualmente si occupa d’un progetto di ricerca sulla guerra sovietico-afghana del 1979-89 presso la cattedra di Storia delle relazioni internazionali e dell’Europa Orientale all’Università Roma III. Svolge inoltre attività di ricerca e di analisi per le “Lettere Internazionali” de “Il Mulino”. Partecipa alle missioni di osservazione elettorale OSCE nell’area postsovietica per conto del Ministero degli Affari Esteri.
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