Fonte: http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=18505 5 Aprile 2010
Il governo indiano è tormentato dal problema fondamentale, che è divenuto disperato, alla propria sicurezza. Mentre i suoi funzionari guardano al Pakistan, all’ingresso del terrorismo attraverso i suoi confini, con la preoccupazione verso i movimenti jihadisti internazionali, esso ha ignorato la crescente rivolta maoista interna. Con almeno 6000 persone morte nella rivolta Naxalita, negli ultimi 20 anni, il Primo Ministro indiano, Manmohan Singh, ha deciso di collocare la minaccia alla sicurezza indiana del movimento maoista, in prima linea e nel dibattito pubblico ufficiale.
Verso la fine del 2009, il governo centrale indiano ha iniziato l’attuazione di forti misure per lottare contro i Naxaliti, che ora sono presenti in 180 dei 626 distretti indiani (Guardian, 6 dicembre 2009). L’istituzione di questo ‘Corridoio Rosso’ è certamente ben differente dal movimento delle origini, che nacque nella zona di Naxalbari, nel Bengala Occidentale, nel 1967. Allora, si trattava di un gruppo eterogeneo, discorde e incoerente, suscettibile di vendette e faide interne. Tramite il connubio tra ideologia marxista-leninista e tattica maoista, il movimento sfalsato e balbettante, sfiorando l’annichilimento, è emerso come una forza estremamente pericolosa.
A dicembre, le forze governative iniziavano le attività dell’Operazione Green Hunt, uno scontro militare con poco clamore e ancor meno azioni. I ribelli, suggeriscono fonti giornalistiche, si sono semplicemente confusi nella giungla. La soluzione militare, oggi, è tutto ciò di cui alcuni funzionari possono parlare. La logica della forza, piuttosto che la forza della logica, prevale in questi circoli.
Il ministro dell’interno dell’Unione, P. Chidambaram, ha insistito sul fatto che gli ultrà maoisti saranno schiacciati. Il suo più recente commenti, citato dalla stampa indiana, suggerisce che il tempo è contato per le loro buffonate rivoluzionarie. I Naxals sono dei ‘codardi disposti al dramma’, attori letali che passano il tempo meno per proteggere i poveri che per distruggere scuole, linee ferroviarie e infrastrutture di vitale importanza. ‘Se hanno coraggio, dovrebbero prendere parte al processo democratico e affrontare le elezioni. Chi gli impedisce di vincere le elezioni?’ (Indian Express, 5 Aprile).
Gli attacchi alle scuole da parte dei Naxaliti, certamente non portano loro alcun favore. I violenti attacchi in stati come il Chhattisgarh, che vede il bombardamento di decine di edifici scolastici, deve sicuramente alienargli un sostegno deciso. Ma i suoi membri, senza dubbio, hanno la sensazione che lo Stato deve essere attaccato ai centri vitali, fine che richiede la demolizione e l’eradicazione. L’istruzione è inevitabilmente uno degli obiettivi di questa strategia maoista.
La verità non è altro che una vittima di questa guerra, sicuramente un cadavere che giace alla vista di tutti i testimoni. Le forze paramilitari hanno sostenuto milizie e classi che sono state spietate nel perpetrare quello che Manmohan Singh ha ammesso essere gravi atti di ‘abusi sociali ed economici’, commessi da tutte le forze che partecipano a questo conflitto. Numerosi martiri sono stati creati, come Kursam Lakhi e Sukki Modiyam del villaggio di Pedda Korma, violentate e uccise dalle forze della milizia Judum Salway e dai loro omologhi della polizia, il 6 febbraio 2005 (The Observer, 29 Marzo 2009). Il messaggio Naxalita, per la ridistribuzione della ricchezza e dei terreni, ha un’attrazione naturale.
Chidambaram è convinto che la rivolta sarà spenta in due o tre anni. Questo sarà difficile, data la cresciuta dei Naxaliti da convenzionale forza di guerriglia, a qualcosa di corrispondente a un esercito. Ma il rifiuto di trattare su tutta una serie di riforme, il persistere della povertà negli Stati orientale del Nord e il perenne problema del conflitto etico, consentirà alla fiamma Naxalita di bruciare ancora a lungo. La forza militare si limiterà a svolgere il suo drammatico ruolo di repressione. I tavoli diplomatici saranno lasciati vuoti ancora più a lungo.
* Binoy Kampmark è ricercatore del Commonwealth presso il Selwyn College di Cambridge. È docente presso la RMIT University di Melbourne.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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