Marco Di Branco, Storie arabe di Greci e di Romani. La Grecia e Roma nella storiografia arabo-islamica medievale, Plus – Pisa University Press, Pisa 2009
Come è noto, la Rivelazione coranica afferma (Corano, XIV, 4; XV, 10; XXII, 35; XXII, 66) che ogni comunità umana ha ricevuto un insegnamento divino per il tramite di uno o più profeti inviati da Dio. Su tale asserzione si fondò l’idea, diffusa presso l’élite intellettuale islamica, che anche l’antica sapienza ellenica provenisse dalla ‘Nicchia delle luci della profezia’ e che fosse possibile riconoscere lo statuto di profeti o comunque di sapienti divinamente ispirati anche agli theioi andres della Grecia antica e classica: da Pitagora, Empedocle, Socrate, Platone, Plotino fino a Gemisto Pletone (del quale Mehmed il Conquistatore farà tradurre in arabo i frammenti dei Nomoi scampati al bruciamento decretato dal patriarca cristiano).
Fu così che Gialal al-Din Rumi, al quale Aflaki attribuisce la frequentazione dei saggi del “convento di Platone”, poté parlare dei Greci in termini di ammirazione e di solidarietà spirituale: “I Greci sono come i sufi: senza ripetizione e libri e apprendimento essi hanno lustrato i loro cuori, ripulendoli da avidità e cupidigia, da avarizia e da malizia, rifuggendo da profumo e colore. In ogni istante, subito, vedono la bellezza” (p. 37).
Di questo “atteggiamento di straordinaria ammirazione per la cultura greca classica ed ellenistica” (p. 41) si occupa un recente lavoro di Marco Di Branco, docente di Storia bizantina e di Archeologia bizantina, che viene ad aggiungersi ai numerosi studi sulla sopravvivenza del pensiero filosofico e scientifico greco all’interno della civiltà islamica. Il lavoro in oggetto affronta il tema della storia greca e romana (nel periodo compreso tra l’età classica e il principato di Costantino) “quale essa è percepita, narrata e rappresentata nella storiografia arabo-islamica medievale fra VIII e XIV secolo d.C.” (p. 10), cioè dalla più antica storia universale di matrice islamica, quella di Ya’qubi, fino alla celebre cronaca di Ibn Khaldun.
Personaggio centrale della storia greca vista dall’Islam è Alessandro Magno, per lo più identificato col Bicorne (Dhu’l-qarnayn) della Sura della Caverna. Il capitolo relativo ad Alessandro è preceduto da una significativa citazione: i versi (verosimilmente estratti dall’Iskandarnameh) con cui il persiano Nezami di Ganje rende omaggio alla cultura greca: “Per la civiltà di quel Re amator di sapienza – la fama della Grecia s’è levata alta al cielo – ed ora che quelle contrade han richiuso il loro quaderno – l’effimero Tempo non ha loro strappato la fama eterna di Scienza”. Nella poesia, nella letteratura, nell’arte e nella stessa storiografia del mondo islamico il Macedone viene presentato non solo come alchimista e filosofo allievo di Aristotele, ma anche come “un profeta che annuncia il Dio unico ed è pronto a sostenerne la causa con le armi in pugno, [mentre] la campagna persiana si muta in un vero e proprio gihad contro gli infedeli” (p. 73).
Per quanto riguarda i Romani, il primo storico musulmano in grado di distinguere al-Yunaniyyun (i Greci) da al-Rum (i Romani) è Ya’qubi, che inizia il capitolo della storia romana a partire da Cesare e da Augusto. Il periodo monarchico e repubblicano di Roma, che occupa uno spazio alquanto ridotto anche nelle successive opere di Tabari e di Mas’udi (il primo a menzionare la leggenda di Romolo e Remo), è d’altronde trascurato dalle cronache bizantine stesse, che costituiscono la fonte degli storici arabi e persiani del Vicino Oriente. In compenso, le storie universali di Miskawayh e di Tha’alibi rivolgono una maggiore attenzione al rapporto fra Persiani e Romani: dall’epoca mitica dei primi re della terra (in cui il sovrano iranico Faridun avrebbe concesso a suo figlio Salm il potere sul paese dei Rum) fino alle vicende romano-persiane d’età costantiniana e postcostantiniana.
Che il regno di Costantino inauguri una nuova fase nella storia dei Rum è nozione condivisa da quasi tutti gli storici musulmani del periodo preso in esame dall’Autore. L’interesse di Ya’qubi per la figura di Costantino è sostanzialmente connesso all’attività religiosa di questo imperatore, il primo che “si allontanò dalle dottrine greche per quelle cristiane (…); e fu per questo che egli mosse guerra contro dei consanguinei e vide in sogno come se dei giavellotti scendessero dal cielo con su di essi delle croci” (p. 136). Tabari invece ritiene degna di nota, oltre alla conversione di Costantino, la fondazione della nuova capitale dell’Impero, la cacciata degli ebrei dalla Palestina e l’inventio crucis. Da parte sua, Mas’udi conclude il bilancio dell’attività costantiniana con una “durissima requisitoria contro la religione cristiana, responsabile della distruzione dell’antica scienza dei Greci” (p. 138).
Il disinteresse della storiografia musulmana orientale per quella parte di storia greca e romana su cui avevano taciuto le fonti bizantine viene compensato dagli storici del Maghreb e dell’Andalusia. Questo filone occidentale, che sfocia nel Kitab al-‘ibar del tunisino Ibn Khaldun, ha alle proprie origini il Kitab Hurushiyush, una traduzione delle Historiae di Paolo Orosio rimaneggiata ed arricchita da notizie provenienti da altre fonti. “Non è senza emozione – scrive Di Branco – che si leggono, per la prima volta in lingua araba, i fatti della guerra di Troia e la vicenda del cavallo (…), le gesta dei difensori dell’Ellade contro i Persiani (…), il nome di Pericle (…), il racconto della Guerra del Peloponneso (…), le grandi imprese della Repubblica romana” (p. 160).
L’Autore fa notare che nell’opera di Ibn Khaldun (dove le prime due città di cui si faccia menzione sono Alessandria e Roma) le vicende dei Greci e dei Romani rappresentano “uno degli exempla storici più importanti su cui riflettere” (p. 190), in quanto danno modo di meditare sulle dinamiche politiche e costituiscono “un banco di prova per la celebre teoria halduniana dell’‘asabiyyah, lo ‘spirito di corpo’, la forza fondamentale che muove la storia umana” (p. 193). La Grecia, in particolare, viene esaltata da Ibn Khaldun come il centro da cui il sapere si è irradiato nel dar al-islam. “Dove sono le scienze dei Persiani? – egli si chiede – Dove quelle dei Caldei, degli Assiri, dei Babilonesi? Dove sono le loro opere e i loro risultati? Dove sono, prima di esse, le scienze degli Egizi? Le scienze che sono giunte fino a noi provengono da una sola nazione, la Grecia (…) Non conosciamo nulla della scienza delle altre nazioni” (p. 191).
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