Abbiamo posto alcune domande ad Alessandro Catto*, attento analista di politica internazionale, sul tema dei rapporti fra Europa e ideologia dell’Occidente e della globalizzazione
Occidente ed Europa, Occidente contro l’Europa: possiamo precisare in termini chiari la sostanziale differenza fra un Occidente continuamente tirato in ballo (a proposito dei “nostri valori”, del nostro “stile di vita” ecc.) e quanto sopravvive di realmente europeo ?
Parte della vulgata massmediatica e politica attuale spinge a far coincidere in maniera esatta il termine “Europa” con quello di “Unione Europea”. In realtà l’UE è un organismo recente, una sovrastruttura politica il cui destino è tutt’altro che sicuro o fissato in sacre ed immodificabili scritture. L’Unione Europea è una creazione politica e come tutte le creazioni politiche è passibile di accettazione, modifica o cessazione della sua esistenza. Non deve esserci nessuna remora o senso di colpa nel criticarne, anche pesantemente, i meccanismi e i destini, anche perché finora pesantissime problematiche strutturali, volute o non volute, ne hanno minato il cammino. Io sono scettico anche sull’utilizzo del termine “Europa” e di una comunanza rintracciata quasi per forza, credo siano creazioni culturali ed elaborazioni assolutamente opinabili, non vi è nulla di tecnico, scientifico o immodificabile in esse, solo un sentore più o meno forte, pareri più o meno discordanti ed utilizzi più o meno propagandistici. La mia ottica non è mai continentale, quanto piuttosto locale. Sono uno sponsor delle piccole comunità e delle piccole patrie, faccio fatica pure ad identificarmi totalmente nello stato nazionale italiano, figurarsi in una sorta di sovranazione europea, che pure può avere dei sistemi di collaborazione comune, ma senza questo strato di comunanza a tutti i costi, di cammino luminoso da intraprendere assieme, di chissà quale storia comunitaria fatta di ponti ed incontri da mostrare ad ogni benedetto spot da periodo natalizio. Bisogna superare questa credenza che senza unirsi, fondersi non si vada da nessuna parte, ci sono decine e decine di nazioni che dimostrano quotidianamente il contrario. Credo invece che proprio per la necessità di identità che il mondo oggi richiede, sia doveroso valorizzare e riconoscere le piccole realtà regionali e provinciali di cui disponiamo. Possiamo smetterla di vedere l’unione, l’ampliamento, l’agglomerato come il prossimo obiettivo da raggiungere, volenti o nolenti, perché non è così. Nazioni piccole, ben governate, con un forte senso di appartenenza, più facili da governare e da gestire. Il mio trend è quello, non vi è in me nessuna volontà di fusione o creazione di blob sovranazionali contro il volere dei popoli che dovrebbero farne parte. Se poi si pensa che sia la mera dimensione geografica a decretare il successo e la qualità della vita in un paese, credo che siamo lontani dal vero. Credo che le cose siano un tantino più difficili e che anche in passato la storia continentale ed extracontinentale abbia dimostrato che non sono le unioni raffazzonate, fatte a tutti i costi, a decretare le fortune dei popoli, anzi.
In che misura il progetto – presentato come ineluttabile – della globalizzazione è funzionale all’egemonia atlantista e alla subalternità europea ?
La globalizzazione è il naturale sbocco dell’economia capitalistica nell’epoca dell’informazione, della facilità dei trasporti e della conquista di mercati sempre nuovi, da saturare con beni più o meno necessari, anche tramite la creazione di bisogni indotti. La conquista di nuovi mercati e di nuove zone di produzione è da secoli la causa di guerre e conflitti, c’è da dire che negli ultimi decenni in particolare gli Stati Uniti hanno ricoperto il ruolo di nazione egemone in questo senso. La globalizzazione e la propaganda ad essa collegata sono sicuramente un parto delle elite al governo nelle nazioni occidentali, che più di tutte spingono per una economia sempre più finanziarizzata, globale e polarizzata nelle mani di poche persone, capaci di attrarre verso sé un profitto enorme, riducendo i costi e massimizzando i guadagni. La destra economica, liberista, è il braccio tecnico e operativo di questo percorso. La sinistra politicamente corretta ne è il braccio culturale e propagandistico, in un processo politico che possiamo notare nei principali stati occidentali negli ultimi decenni. L’imperialismo, proprio per la sua natura di mezzo con il quale conquistare nuovi scenari di mercato piegando le rimanenti resistenze, è una comune per entrambi, con giustificazioni quali la liberazione dei popoli, il dono della democrazia o altre maschere simili. Lo stesso Craxi qualche tempo fa metteva in guardia sulle comunanze tra globalizzazione ed imperialismo. Mi pare quindi lapalissiano che ci siano tutti gli interessi, da parte delle élites finanziarie e politiche occidentali, a mantenere questa situazione, difendendola con le unghie e coi denti pure dai recenti scossoni elettorali subiti.
Il passato Presidente del Consiglio italiano – non diversamente dai precedenti, del resto – definiva la globalizzazione come “la più grande opportunità che abbiamo, un grande valore e una grande occasione per noi”; Il Parlamento della UE ha recentemente votato – a maggioranza – il controverso accordo CETA, nominalmente un accordo con il Canada ma in realtà uno strumento destinato a spianare la strada delle grandi multinazionali d’Oltreoceano; che spazi di autonomia può presentare il mondo politico europeo di fronte ai dogmi liberali/liberisti ?
Finché la falsa dicotomia politica ed economica al potere oggi in occidente (quella, per l’appunto, della destra neocon-liberista e della sinistra liberal e politicamente corretta) conserverà una posizione egemone, ben poco. L’unica strada possibile è quella di promuovere il ritorno a valori redistributivi, socialisti ed identitari per combattere questo pensiero unico politico ed economico. Non vi è altra strada. Ha ragione chi dice che oggi vi è una lotta tra il popolo e le masse subalterne, sempre piuttosto critiche verso i processi di globalizzazione e le élites, spesso favorevoli. Bisogna semplicemente dare forma politica a questa istanza, c’è chi ci è riuscito e chi invece non l’ha ancora capito. Serve una fusione tra il portato storico socialista e il ritorno ad una identità comunitaria coesa, contrapposta al mito della “civiltà globale” liberale e liberista, della cultura unica, dell’istruzione unica e del pensiero unico. Chi oggi fa questo vince molto spesso e se non vince ci va veramente molto molto vicino. Comprensibilmente del resto, visto che chiunque abbia una minima conoscenza del mondo del lavoro salariato e dipendente e un minimo di capacità critica può rintracciare nella globalizzazione in atto un vero e proprio nemico più che una opportunità, con la conseguente “rabbia” popolare spesso sfociante in disaffezione politica, o in rabbia verso i partiti capaci di causare tale situazione e conseguentemente in voti a contenitori definiti come “populistici” usando la solita terminologia cara ai mass media. La democrazia non è negare la rabbia o insabbiarla, ma riconoscerne le cause agendo per rimuovere ingiustizie ed interessi speculatori.
L’imposizione della terminologia anglosassone ci fa dimenticare che quello che Oltreoceano è giustamente percepito come Medio Oriente, per noi è Vicino Oriente: ci sarà spazio nella cultura e nella politica europea per percepire questa vicinanza, ben diversa dal semplice subire un’immigrazione/deportazione di schiavi funzionale solo all’interesse di pochi ?
– Purtroppo negli ultimi anni nei confronti del Nordafrica e del Vicino Oriente abbiamo fatto di tutto per darci la zappa sui piedi, sospinti da operazioni “necessarie” per alcuni alleati ma assolutamente dannose per le nazioni del sud-Europa come la nostra. Io come detto prima sono contrario a comunanze esagerate o a sindromi da abbracci globali, al contrario rispetto chi nel proprio paese lotta per una reale emancipazione e per una liberazione nazionale da interessi altrui, politiche di destabilizzazione e depauperazione. Le nazioni europee non possono credere che le proprie istituzioni politiche, di già malsicuro affidamento e di incerta condivisione a casa propria, possano valere per nazioni mediorientali o arabe. È proprio questa cultura della somiglianza, dell’umanesimo valido per tutti a creare incomprensioni e danni enormi. Ci sono nazioni e comunità che non possiedono gli strumenti per far loro le nostre istituzioni, che possiedono culture diverse, storie diverse. Il rapporto va instaurato semplicemente sulla base di politiche di sviluppo ed investimento, di dialogo, crescita e risoluzione in loco delle problematiche presenti. . Diceva Samora Michel che assecondando la logica dell’emigrazione e della fuga, nessuna lotta anticoloniale avrebbe mai avuto successo in Africa e aveva ragione. La soluzione non può risiedere nell’importare la popolazione di un continente e mezzo nel nostro, anche perché ciò diventa funzionale all’abbassamento delle retribuzioni nel nostro paese e favorisce episodi di sfruttamento vergognoso delle persone in arrivo qui, funzionali all’interesse di quelle élites di cui si parlava prima, sempre sospinte dall’interessato e falso pietismo liberal-immigrazionista. L’unica soluzione possibile è quella di una immigrazione contingentata e della promozione di progetti di mutuo sviluppo, senza cadere in facili tranelli quali quelli delle famigerate “primavere arabe” o esportazioni democratiche di turno, che spesso nascondono solamente gli interessi di qualche altra nazione, pronta a finanziare gruppi ribelli e opposizioni pur di liberarsi di leader nemici.
*Alessandro Catto è fondatore e autore per “La Via Culturale al socialismo”, storica pagina di satira e critica politica su Facebook e Twitter. Presidente di “Politica è Comunicazione” – prima agenzia di servizi integrati alla politica – e “blogger” de “Il Giornale”,a breve uscirà con il volume “radical chic, come combattere il pensiero unico della sinistra globalista”.
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