Il 2 novembre di quest’anno si compiono cent’anni esatti dalla “Dichiarazione Balfour”, che, come tutti dovrebbero sapere, consisté nella promessa formale – indirizzata dal Ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour ad un importante referente della “comunità ebraica” inglese e del nascente Movimento sionista, “Lord” Lionel Walter Rothschild – concernente l’impegno inglese nella costituzione di un “Focolare Nazionale Ebraico” (Jewish National Home) in Palestina.
Per comprendere la portata di un simile impegno da parte della principale superpotenza dell’epoca a favore di un influente settore dell’Ebraismo le cui aspirazioni comprendevano l’edificazione di uno “Stato Ebraico” sulla cosiddetta “Terra Promessa” (da Yahwè agli Ebrei) bisogna collocare questo documento nel contesto che indubbiamente ne favorì la genesi.
Sul finire del 1917 l’Impero Ottomano, schierato nel campo della Triplice Alleanza col Reich tedesco e l’Impero d’Austria-Ungheria, non aveva ancora perso i territori palestinesi, per cui è opportuno sottolineare che l’Inghilterra “promise” ciò che ancora non possedeva, in quanto le sue truppe entreranno a Gerusalemme solo il 9 dicembre dello stesso anno. Ma tanto per mettere le mani avanti, nella solenne dichiarazione a garanzia delle aspirazioni sioniste si puntualizzava che le “comunità non ebraiche” colà residenti non avrebbero avuto leso alcun loro diritto.
Nella Dichiarazione Balfour troviamo dunque già due elementi caratteristici dell’ipocrisia moderna: vendere quello che non si possiede (come nel mercato finanziario dei “futures”) ed ammantare intenzioni non proprio benevole di altisonanti idealità candidate all’immediato sacrificio in nome della politica del “fatto compiuto”.
A parte la strana coincidenza del 2 novembre (Commemorazione dei defunti per il calendario cristiano cattolico), vi è da dire che in quei giorni di novembre di cent’anni fa si susseguirono e s’intrecciarono eventi di portata epocale, tra i quali la Rivoluzione cosiddetta “d’Ottobre” in Russia (la conquista di Pietrogrado e Mosca da parte dei bolscevichi avverrà tra il 7 e l’8 novembre). Una rivoluzione, quella dei bolscevichi, aiutata in ogni modo dalle grandi banche d’affari di proprietà ebraica stabilite in America e che vide tra i suoi agenti in loco il fior fiore del revanscismo anti-zarista caratterizzato da una preponderante presenza ebraica nel primo Soviet supremo. Dunque, nel giro di pochissimi giorni, l’Ebraismo aveva piazzato due carichi sul tavolo della partita per il dominio mondiale: da un lato l’impegno della principale superpotenza di assegnargli l’agognata “Terra Promessa”, dall’altro lo stabilimento in Russia di un centro di propalazione della “rivoluzione mondiale”. Il tutto con la benedizione ed i quattrini dei correligionari dell’alta finanza che con la Prima guerra mondiale erano riusciti a ridurre l’Inghilterra in una condizione d’indebitamento fino al collo, per cui ne andava ad ogni costo impedita la débacle…
Ora, se tutto questo, col clima insopportabile di caccia alle streghe dei nostri giorni, può sembrare una disamina “complottista”, vi è da dire che se si osservano quei fatti e la loro concatenazione scevri da ricatti moralistici ed autocensure si evince come la Prima guerra mondiale, tra i suoi esiti, rappresentò una vittoria su tutta la linea per l’Ebraismo, o meglio per un suo settore che a poco a poco finì per identificarsi col Sionismo e soppiantare, quanto meno nei rapporti di forza interni all’Ebraismo stesso, tutte quelle correnti e personalità indifferenti o addirittura ostili al Sionismo per vari motivi, che vanno dalla “profanazione del nome di Israele” al rifiuto di ridurre una religione ad una forma di nazionalismo esasperato.
La questione non è affatto di dettaglio, poiché è bene sapere che all’inizio (quanto meno simbolico) di tutta questa storia gli ebrei disseminati ovunque per il mondo (che naturalmente non potevano discendere dagli “ebrei della Diaspora” in quanto sono attestate ovunque conversioni di popoli interi all’Ebraismo) non erano affatto conquistati in maggioranza alla causa del “Focolare Ebraico” in Palestina (termine, quest’ultimo, che con gli anni avrebbero cercato di cancellare persino dalla memoria collettiva).
In tutti questi cent’anni, l’impegno dei fautori del progetto sionista, a cominciare proprio dai Rothschild, è stato quello di “convincere”, con le buone o le cattive, gli ebrei di tutto il mondo a stare dalla parte del loro progetto, sostenendolo idealmente e materialmente, per esempio rimpolpando i ranghi dell’emigrazione ebraica in Palestina col pretesto del “ritorno”. Con le buone o le cattive: si dà il caso, infatti, che le autorità del Terzo Reich attribuirono ad ebrei o mezzi ebrei la gestione della “questione ebraica”, a riprova che la carta sionista è stata giocata da tutti quanti, allo scopo di costituire – al di là delle attese “messianiche” dei più convinti sionisti – una base sicura per la propria influenza in un’area di vitale importanza dal punto di vista strategico, commerciale ed energetico.
Pertanto, se la Germania – prima e durante il Terzo Reich – non ha mai disdegnato l’appoggio del Sionismo per fondare una testa di ponte nell’area del Levante arabo, la Francia fece ancora di più, proponendo già alcuni mesi prima della Dichiarazione Balfour una sua analoga “dichiarazione” a favore delle aspirazioni sioniste, tant’è che quella britannica sembra ricalcata sul modello francese (com’è documentato nel libro di Philippe Prévost La France et l’origine de la tragédie Palestinienne. 1914-1922, Centre d’Études Contemporaines, Paris 2003).
Come sono andate le cose è storia risaputa: l’Inghilterra, senza tanti complimenti (ed alla faccia della “Cordiale Intesa” del 1904), ridimensionò le pretese francesi nella regione ed istituì un “Mandato speciale” per la Palestina dove, un poco per volta, il Sionismo impiantò la sua base operativa che perdura ancora oggi. Ciò a prescindere dagli atteggiamenti tattici dell’Inghilterra stessa, contro le cui rappresentanze civili e militari, al momento di realizzare lo “Stato d’Israele” – riconosciuto per primi, nel 1948, da Stati Uniti e Urss… -, si sarebbe scagliata la furia del terrorismo sionista, dentro e fuori la Palestina.
Ma nel 1917, con l’America che era entrata in guerra per un solo ed unico motivo – tutelare l’enorme massa di crediti che vantava nei confronti dell’Inghilterra – i giochi non sembravano ancora fatti. Ed ecco che per favorirli intervenne per l’appunto la Dichiarazione Balfour, che in fin dei conti non fu altro che il riconoscimento britannico per l’impagabile favore fatto dalla rete dei banchieri legati ai Rothschild ed influentissimi a New York con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti (ufficialmente, il 2 aprile 2017), per lungo tempo riluttanti a gettarsi nel teatro bellico europeo (il pretesto per entrare in guerra, ovvero l’affondamento del piroscafo Lusitania da parte di un sommergibile tedesco, era del 7 maggio 1915!). Un intervento, quello americano, praticamente senza senso se tentiamo di spiegarcelo solo con categorie come “l’imperialismo” e “l’espansionismo” a danno di altri Stati a Nazioni, oppure con la diffusione del Capitalismo e del Fordismo.
Nel frattempo, la stampa “autorevole” europea, e soprattutto i bollettini interni alle “comunità ebraiche”, denunciavano, riprendendo motivi già comparsi in altri precedenti contesti (anche vecchi di decenni), il “massacro di sei milioni di ebrei” in corso sul suolo europeo a causa delle violenze perpetrate dai tedeschi. Un particolare, questo, facilmente verificabile ma mai spiegato da coloro che, non appena qualcuno chiede conto di simili “coincidenze”, lanciano come un dardo mortale all’indirizzo del “blasfemo” studioso l’accusa di “complottismo” e, ovviamente, di “antisemitismo”.
Il contesto nel quale si colloca la Dichiarazione Balfour è dunque quanto mai interessante e ci induce a pensare che se per un verso i Rothschild ed i loro affiliati perseguono finalità (ricostruzione del Terzo Tempio, Gerusalemme capitale mondiale eccetera) che vanno oltre ciò che ingenuamente denunciano gli “antimperialisti” ed i vari “amici della Palestina”, per un altro è valida l’analisi, suffragata da dati storici, per la quale il “Focolare Ebraico” svolge la funzione di destabilizzare l’area vicino-orientale ma anche quella mediterranea onde evitare l’emersione di potenze contrarie al “dominio del dollaro” (trionfo della moneta-merce prestata ad interesse) che potrebbe sfociare in quell’integrazione eurasiatica a guida russa (di una Russia libera dal cappio al collo postole dagli usurocrati) in grado di serbare sgradite sorprese ai fautori di un “Nuovo Ordine Mondiale”. Sorprese tra le quali si annovera un’alleanza tra la Chiesa Ortodossa e l’Islam tradizionale non infettato dalle ideologie provenienti da un altro baluardo dell’influenza sionista nel mondo, l’Arabia Saudita.
In quest’epoca di riassestamento dei poteri mondiali, anche la Russia ha aumentato la sua influenza nello Stato Ebraico, a conferma che “Israele”, nazione ideocratica artificiale, sotto un certo aspetto funziona come una “società a quote” che ricorda la funzione degli Stati crociati di mille anni fa, con la non secondaria differenza che i ‘crociati’ di oggi sono armati fino ai denti – anche di testate nucleari – e capaci di coinvolgere a loro difesa la principale superpotenza militare, gli Stati Uniti d’America.
In tutto questo, resta da dire qualcosa su quelli che hanno subito le peggiori conseguenze dirette dalla Dichiarazione Balfour, ovvero gli abitanti della Palestina. Cominciamo col dire che forse, anche perché sono rimasti direttamente e pesantemente coinvolti, non sono riusciti a comprendere appieno la dimensione del problema che gli ha rovinato l’esistenza. Essi ovviamente hanno venduta cara la pelle (noi italiani ci saremmo estinti da un pezzo), opponendosi, coi limitati mezzi a disposizione, i tradimenti “arabi” ed un’incredibile faziosità interna, all’esproprio dei loro averi e persino della loro identità. I palestinesi (musulmani, cristiani, drusi eccetera, e persino ebrei!) hanno fatto la fine dei cosiddetti “pellerossa”. Umiliati, raggirati e diffamati anche quando avevano ragione al 100% di fronte a “coloni” che, per continuare la calzante analogia col Far West, somigliano per molti versi ai cowboy, sia come modalità d’intervento in terre non loro sia per l’ideologia “puritana” e “suprematista” che li anima.
I palestinesi hanno perso tutto (a parte le loro dirigenze ben pasciute dall’occupante), eppure, in questo mondo orwelliano di parole usate per esprimere il loro esatto contrario, dovrebbero perennemente “scusarsi” per non aver “accolto” i “poveri ebrei”, tant’è vero che la tesi dominante nella scuola e nell’intrattenimento mediatico è quella del “rifiuto arabo” che fa pendant con lo slogan della “terra senza popolo per un popolo senza terra”.
Trascorsi cent’anni dalla Dichiarazione Balfour, al di là di tutto, possiamo senza dubbio affermare una cosa: che il popolo senza terra è quello palestinese!
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