Fonte: Voltairenet
Israele ha pesato in anticipo le conseguenze dell’attacco che ha lanciato contro un convoglio umanitario marittimo. Quali sono i suoi obiettivi, che stanno scatenando una crisi diplomatica mondiale, perché ha sfidato il suo alleato turco ed il suo protettore gli Stati Uniti?
L’attacco condotto da tre incrociatori lancia-missili di classe Saar, il 31 maggio 2010, contro la flottiglia della libertà, nelle acque internazionali di Mediterraneo, esemplifica la fuga in avanti compiuta da Tel Aviv.
La flottiglia della libertà è un’iniziativa di militanti dei diritti dell’uomo [1] [2] , sostenuta dal governo turco. Il suo obiettivo è al tempo stesso di trasportare aiuto umanitario fino a Gaza e, ciò facendo, rompere il blocco posto illegalmente dall’esercito israeliano, nei confronti di 1,5 milione di Gazaouites.
La decisione d’abbordare delle navi civili nelle acque internazionali, costituisce un “atto di guerra” secondo il Diritto Internazionale, giuridicamente parlando c’è stato: furto di navi e del loro carico, rimozione e sequestro dei passeggeri, omicidi; o addirittura assassini, se si ammettono come veritiere le notizie della televisione turca, secondo la quale i commando avevano un elenco delle personalità da liquidare durante l’assalto.
Questo atto di guerra, contro le bandiere greche e turche garrenti su tali navi, è stato perpetrato per consolidare il blocco che costituisce in sé una violazione del Diritto Internazionale.
Scegliendo l’argomento della “legittima difesa”, le autorità israeliane hanno rivendicato esplicitamente la loro sovranità sulle acque internazionali a 69 miglia nautiche al largo della Palestina; tale annessione – temporanea o duratura – era necessaria per il pesreguimento del blocco, ritenuto necessario alla sicurezza dello stato dell’Israele.
Abbordando una nave turca ed uccidendo dei passeggeri, Tel Aviv ha innanzitutto scelto di rispondere militarmente alla crisi diplomatica che l’oppone da gennaio 2009 ad Ankara. Si ritiene che tale iniziativa possa provocare una crisi in seno allo Stato Maggiore turco e tra questo ed i governi turchi. Tuttavia, potrebbe portare ad una rottura completa delle relazioni militari tra i due paesi, proprio la Turchia che è stata per un mezzo secolo il migliore alleato dell’Israele nella regione. Fin da ora, le manovre congiunte turco-israeliane sono stati annullate sine die. Fra l’altro, questa crisi potrebbe avere delle conseguenze sulle relazioni commerciali tra i due paesi, mentre la Turchia è un partner vitale per l’economia israeliana.
Tuttavia, Tel Aviv doveva rompere la credibilità della Turchia nel momento in cui si avvicina a Siria e Iran, ambendo esercitare, insieme con suoi nuovi partner un’autorità regionale [3]. Nell’immediato, Israele doveva sancire il ruolo di Ankara nel negoziato del Protocollo di Tehran sull’industria nucleare iraniana.
Da parte turca, ci si aspettava un intervento israeliano energico ma non letale, ed il momento di porsi come protettore delle popolazioni palestinesi è venuto, perseguendo la dottrina neo ottomana teorizzata dal ministro degli Affari stranieri, il prof. Ahmet Davutoglu. Senza aspettare il ritorno del Primo ministro Recep Erdogan, in viaggio in America latina, l’ambasciatore Turco a Tel Aviv è stato richiamato ad Ankara ed una cellula di crisi è stata messa in posto, intorno al vice primo ministro, Bülent Arinç, ed è entrata immediatamente in contatto coi 32 governi degli Stati di cui i passeggeri sono provenienti. Tutto il personale diplomatico turco è stato mobilitato per coinvolgere nel problema il massimo di stati e di organizzazioni internazionali. In una conferenza stampa, M. Arinç ha voluto la restituzione immediata delle tre barche turche rubate e del loro carico, come anche e soprattutto la liberazione delle centinaia di cittadini turchi portati via e sequestrati. Ha scelto di qualificare l’attacco un atto di “pirateria”, e non di guerra, in modo da offrire al governo Netanyahu la possibilità di presentare l’affare come una “sbavatura” e non come una scelta politica. In questa logica, il presidente Abdullah Gül, da parte sua, ha richiesto che i tribunali israeliani giudichino i responsabile di questa carneficina.
Dal Cile, il presidente turco Erdogan ha dichiarato: “Questa azione è totalmente contraria ai principi del diritto internazionale, è terrorismo di un Stato disumano. Mi rivolgo a quelli che hanno appoggiato questa operazione, voi supportate il sangue, noi sosteniamo il diritto umanitario e la pace.”
Nel pomeriggio, Ankara ha interpellato il Consiglio atlantico. La Turchia è membro della NATO. Se non vi trova la risposta che si aspetta dal governo israeliano, potrebbe qualificare l’attacco un atto di guerra e richiedere l’aiuto militare degli Stati membri dell’alleanza, in virtù dell’articolo 5 del Trattato dell’atlantico Nord.
Il governo Netanyahu ha invitato i suoi cittadini residenti all’estero a lasciare la Turchia, mentre manifestazioni spontanee si moltiplicano davanti ai consolati israeliani, nella quali la folla chiede vendetta.
Dal lato degli Stati Uniti, questo affare ricorda quella dell’USS Liberty, 8 giugno 1967. Durante la guerra dei Sei giorni, gli israeliani attaccarono un edificio di sorveglianza elettronica dell’US Navy, facendo 34 morti e 171 feriti. Tel Aviv presentò le sue scuse per questo sgarbo sul campo di battaglia mentre, pure accettandole ufficialmente, Washington ci vide un oltraggio deliberato. Gli israeliani, all’epoca, avrebbero voluto sanzionare le stesse critiche statunitensi.
Questa volta, l’attacco della flottiglia della libertà potrebbe essere una sanzione dopo il voto per Washington di una risoluzione degli Stati firmatari del Trattato di non proliferazione che costringe Israele a dichiarare le proprie armi nucleari ed ad accettare i controlli dell’agenzia internazionale dell’energia atomica.
La decisione israeliana di attaccare delle navi civili nelle acque internazionali interviene dopo l’assassinio negli Emirati, di un dirigente palestinese da parte di un’unità del Mossad; la scoperta di un vasto sistema di copia di passaporti falsificati, a scapito degli stati occidentali; ed il rifiuto di assistere alla conferenza internazionale seguita al Trattato di non proliferazione. Questo insieme di fatti può essere interpretato come una successione di colpi perpetrati da un Stato sicuro della sua impunità – ed in questo caso, potrebbe trattarsi questa volta di un colpo di più o di troppo – , o come una montata, dopo una breve frizione pubblica con l’amministrazione US – si tratterebbe allora di rivendicare la leadership del movimento sionista, dimostrando che Tel Aviv decide e Washington ratifica – .
Il Primo ministro Benjamin Netanyahu, in viaggio in Nordamerica, ha deciso di finire la sua visita canadese e di annullare il suo appuntamento alla Casa-Bianca.. È stato raggiunto al telefono dal presidente Obama, che gli ha chiesto delle spiegazioni.
L’Alto commissario alle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo, Navi Pillay, ha dichiarato che l’operazione israeliana non poteva avere nessuna giustificazione giuridica. Il Relatore speciale sui Diritti dell’uomo nei territori occupati palestinesi, Richard Falk, ha tenuto a sottolineare che al di là dell’attentato alla libertà di circolazione sui mari, il problema centrale resta il blocco. “A meno che delle azioni pronte e decisive siano prese per mettere fine all’azione israeliana su Gaza, saremo tutti complici di una politica criminale, che minaccia la sopravvivenza di una comunità assediata”, ha affermato. Il Consiglio di sicurezza è stato convocato in emergenza, oggi (31.05.2010), alle 18h TU. Il ministro turco degli Affari esteri è partito a New York.
Giornalista e scrittore, presidente del Réseau Voltaire.
Traduzione per ComeDonChiciotte.org a cura di Filippo.
[1] « Dr. Arafat Shoukri : “Les conditions sont réunies pour faire de cette flottille un point de rupture” », entretien avec Silvia Cattori, Silviacattori.net, 23 avril 2010.
[2] Le pricipali organizzazioni della flotilla della libertà sono: Mouvement Free Gaza, Campagne Européenne pour Arrêter le Siège de Gaza (ECESG), Fondation turque d’Aide Humanitaire (IHH), Fondation malaisienne Perdana et Comité International pour Lever le Siège de Gaza.
[3] Thierry Meyssan “Cambiamento degli equilibri strategici del Medio Oriente”, Voltaire, 18 maggio 2010.
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