Nicolas Shumway è un amabile professore nordamericano che nel 1975 compì un viaggio in Argentina per indagare su “la nascita del sentimento di identità nel paese sudamericano” nel XX secolo. Grazie alle ricerche compiute sul terreno pubblicò il libro “L’invenzione dell’Argentina”. In linea generale il giudizio sul lavoro di Shumway non può essere del tutto negativo: considerando che è opera di un non argentino che per giunta si è cimentato nell’impresa senza tener in nessun conto gli scritti di Jorge Abelardo Ramos. Lo stesso Ramos che già nel 1975 aveva dato alle stampe diverse edizioni di “Rivoluzione e Controrivoluzione” e di “Storia della Nazione Latinoamericana” e che si era presentato come candidato alla presidenza della Repubblica nelle fila del FIP. Un personaggio che all’epoca stava attraversando il periodo di maggior popolarità sia come politico sia come saggista storico. Shumway non poteva non conoscerlo, anche perché non si dimenticò di citare autori meno importanti, come Puiggrós o Feimann.
“L’invenzione …” apprezza Artigas, ridimensiona Rivadavia e smitizza Mitre, anche se contiene delle inesattezze più o meno perdonabili (considera “positivo” il tentativo di Rivadavia di creare “uno Stato europeo nell’emisfero sud” e dichiara apertamente che José Hernández era “un rappresentante degli allevatori”, etc…). Però la disonestà intellettuale di Shumway (ossia: l’essere il rappresentante ideologico di una potenza dominante) viene fuori quando tenta di cancellare le colpe dell’imperialismo per l’arretratezza economica e per il fracasso della realtà argentina; ritenendo gli argentini come unici colpevoli dei propri mali.
En passant ammette “l’intromissione di potenze straniere come Gran Bretagna o Stati Uniti”; ma solo “l’intromissione”. Si dimentica però della colonizzazione pedagogica, dello sfruttamento e dell’appropriazione indebita delle nostre risorse naturali, né cita lo scambio ineguale. Parla solo di una piccola “intromissione”. Le denunce della nefasta subordinazione alle imprese transnazionali al Foreign Office prima e al Pentagono dopo, vengono relegate al rango di “teorie cospirative”. Shumway afferma che “i nazionalisti”, pur di non assumersi la proprie responsabilità, sarebbero capaci di demonizzare “gli inglesi, gli yankee, la CIA, il Vaticano, le multinazionali …” Tutte anime candide che non dovrebbero essere “demonizzate”, ovviamente. La tecnica per smontare il discorso dell’avversario è molto semplice: si porta all’estremo un’affermazione del rivale – in questo caso i bolivariani e “unitaristi” latinoamericani -, così facendo la si ridicolizza e quindi la si confuta facilmente. Nella fattispecie, l’imperialismo considera tutte le tendenze nazionali e antimperialiste come propugnatrici di “teorie cospirative”, una caratteristica propria del nazionalismo più arcaico, così facendo le discredita e elude di prendere in considerazione gli studi economici e sociali più seri che trattano il tema dell’occupazione straniera (Scalabrini Ortiz, gli Irazusta, Jorge Abelardo Ramos e decine di altri). Il buon cittadino nordamericano Shumway, lungi dal considerarsi un Noam Chomsky, non condanna ma anzi nasconde le responsabilità dell’imperialismo per la situazione di miseria e arretratezza in cui versano l’Argentina e l’America Latina in generale.
Durante una sua visita a Cordoba compiuta nel luglio scorso per indottrinare gli ignari cordobesi, Shumway ha nuovamente messo in mostra la sua malafede. In un’intervista rilasciata al periodico locale “La Voz del Interior” (11-07-2010), il simpatico professore yankee discredita con eccessiva disinvoltura i progetti di unificazione dell’America Latina che da sempre hanno visto impegnati le nostre migliori forze (menti); avendo la faccia tosta di affermare: “Credo che il termine Latinoamerica è molto fuorviante se lo si considera come una unità. La verità è che fa riferimento a molte nazioni differenti fra loro. Non esiste affatto una comunità capace di riunire in un tutt’uno l’insieme delle ex colonie inglesi. Sarebbe erroneo pensare di istituire un corso di cultura sui paesi anglofoni, essendo tanti e così differenti. Eppure alcuni pretendono di considerare l’America Latina come un’unità politica ed economica; in realtà non è così perché il concetto di unità va ben al di là della semplice prossimità geografica”.
Per quanto riguarda l’unità latinoamericana utilizza lo stesso metodo. Nega la possibilità del suo raggiungimento e la ridicolizza assimilandola all’impossibile tentativo di riunire “tutte le ex colonie inglesi come se fossero una cosa sola”. Avrebbe ragione se il nostro obiettivo fosse quello di unificare Argentina, Venezuela, le Filippine, le Isole Marianne (che il suo paese rubò alla Spagna nel 1898) e gli ebrei sefarditi ispanofoni… in realtà noi bolivariani non perseguiamo questo obiettivo. L’unica cosa che vogliamo è l’unità dell’America Latina; così che sembrerebbe più pertinente un parallelo non con tutte “le ex colonie inglesi”, come pretende Shumway ridicolizzando, ma solo con alcune di quelle colonie e precisamente quelle 13 colonie che si unificarono per fondare gli Stati Uniti d’America, suo paese natio. Del resto in America Latina non convivono “varie nazioni estremamente differenti fra loro”, bensì numerosi Stati molto diversi (uno dei quali, Panama, è un’invenzione dei suoi concittadini yankee); che evidentemente non è la stessa cosa. Decine di Stati però una sola Nazione Latinoamericana, la cui unità non si baserebbe esclusivamente sulla “prossimità geografica” (aspetto comunque importante considerando che anche le 13 colonie nordamericane sono geograficamente contigue, o no?) ma anche sull’economia in crescita, la cultura meticcia, la lingua spagnola parlata nella maggioranza dei paesi, l’ibridazione razziale e la religiosità popolare. In realtà, come recita lo stesso titolo dell’opera di Shumway in riferimento all’Argentina, sono “le nazioni” latinoamericane a poter essere considerate una “invenzione”; il frontespizio del libro dell’autore statunitense contiene più verità di quanta egli stesso abbia mai pronunciato. Queste “nazioni” sono un’invenzione delle oligarchie portuali delle grandi città europeizzate del litorale continentale, alleate e/o soggiogate all’imperialismo balcanizzatore di turno.
A tutto questo però l’accademico nordamericano non fa alcun cenno. Nel caso degli Stati Uniti, l’Unità rappresenta la base sulla quale fu costruito lo sviluppo del paese e della sua civilizzazione; però, come dice Trotsky, ora “i civilizzatori chiudono il passo a quelli che vogliono civilizzarsi”. Shumway è appunto uno di questi “civilizzatori” ed è la voce dell’imperialismo, della CIA, dell’ALCA e del Dipartimento di Stato. Questo è quanto e tutto il resto – alcuna posizione condivisibile/corretta del suo testo – non è altro che fumo negli occhi per rendere più vendibile la sua marcia mercanzia.
Cordoba, 12 luglio 2010
(traduzione di Vincenzo Quagliariello)
* Roberto A. Ferrero è presidente del Centro de Estudios para la Emancipacion Nacional (CEPEN).
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