La “primavera araba” devasta l’Ucraina portandosi dietro strascichi di contagio. Delinquenti e criminali rivoluzionari colpiscono le strade di Kiev, Poltava, Cherkasy ed altre città. Gli organi di stampa occidentali, ed alcuni locali, descrivono tali atti criminali come “protesta d’opposizione” o manifestazioni di “radicalismo”. La cosiddetta comunità internazionale si ostina a compiere la propria missione. I collaudati metodi di incitamento alla rivolta di piazza, facenti leva su una miscela provocatoria di contraddizioni sociali, vengono usati per il rovesciamento dell’ennesimo governo. Se i poteri in carica rifuggono dal prendere una ferma posizione per contenere l’infausto disordine che dilaga, allora la situazione potrebbe degenerare, con tragiche conseguenze.
Periferia come nuova zona
Tempo fa, Washington iniziò a pianificare una serie di “rivoluzioni colorate” al fine di facilitare la divisione del mondo in due zone di libero scambio – quella transatlantica e quella transpacifica. L’obiettivo era di espandere le aree periferiche sotto il suo controllo. Nel 2007, il progetto degli Stati Uniti di dare nuova forma alle mappe di Nord Africa e Medio Oriente trapelò su giornali e televisioni. Si diceva chiaramente che l’unico modo di ottenere il controllo della regione era di organizzare “cambi di regime” in Libia, Algeria e Marocco. La maggior parte dei territori appartenenti a questi paesi era da trasferirsi in un nuovo stato popolato da berberi, un micro stato della Nubia ai confini meridionali dell’Egitto e il micro stato governato da Polisario (dall’abbreviazione spagnola: frente popular de liberación de Saguía el Hamra – fronte popolare di liberazione di Saguia el-Hamra e Río de Oro). In alcuni casi il piano fallì, come accadde in Marocco, dove il governo fu abbastanza previdente da promulgare una nuova costituzione usata come esca per i liberali locali. Lo stesso avvenne in Algeria, dove le forze armate scesero tempestivamente in campo per riportare l’ordine e ristabilire la legge. Altrove, invece, ebbe successo come stabilito. È il caso di Libia e Tunisia. In altre situazioni ancora, componenti benestanti della società si consolidarono in tempi di bisogno e respinsero i propositi americani, ad esempio in Egitto. Infine, in paesi come la Siria, la ribellione che ne sfociò diede inizio ad un eterno conflitto sanguinoso.
Libia “prima” e “dopo”.
Vitali Klitschko, leader del partito politico UDAR, si è recentemente indirizzato all’Euromaidan (letteralmente: Europiazza. Movimento di manifestazioni pro europee in Ucraina) gremita di manifestanti. È stato molto chiaro nel dire che Victor Yanukovych potrebbe seguire lo stesso destino di Gheddafi. Magari lui non sa come sia stato vivere in Libia sotto Gheddafi. Lo ricordo io.
Nel 2010, il paese vantava il più alto tenore di vita in Africa. Il prodotto interno lordo pro capite eccedeva i 14 mila dollari (due volte quello dell’Ucraina). Lo stipendio medio era di 1050 dollari. Metà dei proventi derivanti dalla vendita di petrolio andava alla gente: ogni lavoratore riceveva 500 dollari ogni mese in aggiunta al proprio salario. Questo principio veniva adottato per distribuire la ricchezza fra le diverse fasce della società. La paga per badare ad un bambino nascente era di 700 dollari. Chi si era appena sposato ed aveva intenzione di comprare una casa, riceveva 64 mila dollari. 20 mila, invece, erano versati a chi volesse intraprendere un’attività agricola. Esisteva un sussidio di disoccupazione di 730 dollari. L’energia elettrica era gratuita. Non c’era affitto da pagare. Venivano concessi crediti senza tasso d’interesse. Il prezzo del gas era di 14 centesimi al litro. Assistenza sanitaria ed istruzione erano servizi gratuiti. L’aspettativa di vita raggiungeva i 74 anni. L’alfabetizzazione era all’89%.
Mu’ammar Gheddafi creò l’ottava meraviglia del mondo – un fiume artificiale. 5 milioni di metri cubi d’acqua provenienti dai laghi sotterranei del Sahara venivano trasportati quotidianamente a nord del paese. Il prezzo di un metro cubo d’acqua era di 35 centesimi. Prima che il fiume fosse scavato, gli europei vendevano acqua alla Libia al prezzo di 3.75 dollari al metro cubo.
In quali condizioni versa il paese dopo che gli americani e i loro alleati della NATO sono intervenuti per portare “libertà” e “democrazia”? La Libia è devastata dalla guerra e fazioni armate combattono fra loro. Il paese è diviso. Le tribù meridionali rifiutano di assoggettarsi al potere centrale. Nessuno sa con certezza chi combatta chi, né quale sia il bilancio delle vittime.
I ministri sono sequestrati nella capitale (persino il primo ministro fu rapito, una volta, per incutere paura). Gli aeroporti e le strutture militari sono assediati. Ufficiali e stranieri d’alto rango vengono uccisi. Coloro che hanno perso la propria famiglia abbandonano il paese per darsi al brigantaggio in quelli vicini. Ora, la Francia – che intervenne per prima in Libia – deve fare i conti con le bande armate che infuriano in Mali e Repubblica Centrafricana. I soldati francesi perdono la vita.
L’economia libica è in depressione. La produzione di petrolio è calata da 1.5 milioni di barili al giorno a soli 250 mila. Qualche tempo fa, il paese rappresentava il 12% della produzione mondiale; oggi, deve importare gasolio ed olio nero.
La civetta di Minerva sopra l’Egitto
Hegel, il celebre filosofo, disse che “la civetta di Minerva spicca il volo solamente quando le ombre della notte si raccolgono”. Minerva è il nome romano che viene dato alla greca Atena, dea della sapienza e della saggezza, associata all’immagine della civetta. Il concetto del filosofo sta nel fatto che solamente con la fine dell’umanità, l’essere umano sarà in grado di comprendere la logica evolutiva della storia. Ciò ricorda gli avvenimenti in Egitto. Mi è capitato di assistere alla deposizione di Hosni Mubarak e alla salita al potere dei Fratelli Musulmani. Ho altresì assistito al rovesciamento del regime islamico ad opera della “rivoluzione dell’esercito delle persone” guidata dal generale al-Sisi, il quale organizzò risolutamente proteste di strada in nome della tradizione, retaggio di Gamel Adbel Nasser. Ora, il generale ha tutte le possibilità di vincere le prossime elezioni presidenziali. Ai tempi di Nasser, chiunque studiava e fruiva dell’istruzione. Sotto Mubarak, cambiò ogni cosa quando lanciò il processo di liberalizzazione economica. Ufficialmente, il 30% della popolazione egiziana è analfabeta. Ma i sociologi indicano che il numero reale si aggira intorno al 50%, se non oltre.
Spesso incontrai persone che rabbrividivano al solo menzionare gli accadimenti di piazza Tahir al Cairo. Mi raccontavano con emozione di “tutti gli egiziani scesi in campo contro la tirannia”. Esattamente come coloro che partecipano alle proteste di Kiev. Proprio come adesso a Kiev, ai rivoluzionari del Cairo venivano distribuiti cibo, acqua, vestiti; inoltre, ricevevano denaro per le loro iniziative – grandi somme per gli standard egiziani. Come si dice, tutte le rivoluzioni hanno un costo.
C’erano così tanti cadaveri in piazza Tahir che fu un’impresa portarli via tempestivamente. Ce n’erano a dozzine, distesi nel ghiaccio preso dai frigoriferi della città. Ma il ghiaccio si scioglieva e l’acqua si colorava di sangue. Così, cani randagi andavano a leccare la miscela mentre centinaia di mosche gli ronzavano attorno.
Passarono sei mesi. Non c’era più luce negli occhi di quelle persone. La vita dopo la “rivoluzione” era peggiorata. Nel ramo dell’industria, chiusero molte imprese. Entro l’estate 2011, le province meridionali ed occidentali furono colpite dalla carestia, lo stato dovette distribuire il pane – una sterlina egiziana per 20 pagnotte. Se l’assistenza fosse stata mirata, si avrebbe potuto aiutare molte persone. Ma il paese non ha liste elettorali né liste di bisognosi. Il pane era venduto a tutti: le persone facevano file chilometriche per comprarne.
Il turismo ne sofferse molto. Il numero di turisti calò di quasi il 40%. All’epoca di Mubarak, il turismo rappresentava l’11.5% del PIL e dava lavoro al 14% di coloro che godevano di sana e robusta costituzione. Dopo il rovesciamento del governo, circa 100 mila persone persero il lavoro nel settore alberghiero e lasciarono Hurghada. I villaggi del sud, però, sovrappopolati ed affamati, non le vedevano di buon occhio. Proprietari e impiegati di svariati ristoranti, bar e negozi, guide ed autisti di bus e taxi, coloro che producevano vestiti e prodotti di pelletteria – ne risentirono tutti.
Si utilizzarono maniere consolidate per far esplodere l’infuocato crogiolo sociale, incitando musulmani contro cristiani copti, che furono uccisi, violentati e le cui chiese furono bruciate. La “comunità internazionale” tacque fingendo di non essere a conoscenza di ciò che stava succedendo, nello stesso modo in cui oggi ignora gli eventi di Kiev. Bande di rimostranti criminali picchiano i passanti, ostentano riprovevole antisemitismo ed irrompono nelle case della gente. L’Occidente suggerisce di interpretare tali atti come protesta d’opposizione intenta a proteggere “valori europei”.
Il generali al-Sisi salvò l’Egitto sottraendolo dagli abissi e dal pericolo del separatismo. Lo fece letteralmente all’ultimo istante. Ma gli islamici rimasero per darsi alla clandestinità. Ricevendo aiuto dall’esterno, costoro passarono al terrore e all’intimidazione. Nel clima di protesta di Kiev, alcune voci fanno intendere che si sia pronti anche qui a continuare la lotta in maniera illegittima.
Traduzione di Oscar Mina
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