“Sarà molto più difficile che [la Russia] accetti l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, in quanto ciò equivarrebbe a riconoscere che il suo destino non è più organicamente legato a Mosca … E se la Russia sarà disposta ad accettare questo nuovo stato di cose, ciò significherà che anch’essa sarà davvero propensa a divenire parte integrante dell’Europa, anziché scegliere una solitaria vocazione eurasiatica(1)”.
“La sovranità dell’Ucraina rappresenta per la geopolitica russa un fenomeno a tal punto pernicioso che, in linea di principio, può facilmente innescare un conflitto armato. L’Ucraina, come Stato autonomo e non privo di qualche ambizione territoriale, costituisce un enorme pericolo per tutta l’Eurasia. Sotto il profilo strategico l’Ucraina non deve essere che una proiezione di Mosca verso Sud e verso Occidente(2)”.
“I risultati delle elezioni non possono essere accettati come legittimi(3)”.
“Il presidente russo Vladimir Putin si congratula con il vincitore delle elezioni Victor Yanukovic(4)”.
Se qualcuno non capisse le reali motivazioni del tam tam mediatico di questi giorni sulle elezioni ucraine, dovrebbe forse correre a leggere il noto saggio di Zbigniew Brzezinski, “La grande scacchiera”, dove l’ex consigliere per la sicurezza nazionale statunitense avverte dell’importanza della posta in gioco.
Queste le sue considerazioni più interessanti: “L’Ucraina assumeva un’importanza decisiva. La crescente propensione degli Stati Uniti ad assegnare un’alta priorità ai rapporti con questo Paese e ad aiutarlo a difendere la sua nuova indipendenza veniva visto da molti a Mosca – filo-occidentali compresi – come una politica contraria all’interesse vitale della Russia a reintegrare col tempo l’Ucraina nel suo campo: un obiettivo che rimane ancora un articolo di fede per molti esponenti dell’élite politica russa … Tra il 2005 e il 2010, l’Ucraina, specie se avrà fatto progressi significativi sulla via delle riforme, assumendo sempre un carattere di Stato centroeuropeo, dovrebbe essere pronta ad avviare seri negoziati sia con l’U.E. sia con la NATO … L’indipendenza dell’Ucraina ha privato inoltre la Russia della sua posizione dominante sul Mar Nero, dove Odessa costituiva un avamposto strategico per gli scambi con il Mediterraneo e il più vasto mondo. La perdita dell’Ucraina ha avuto anche enormi conseguenze geopolitiche, poiché ha drasticamente limitato le opzioni geostrategiche della Russia. Anche senza i Paesi Baltici e la Polonia, una Russia che avesse conservato il controllo sull’Ucraina poteva ancora cercare di fungere da guida di un impero eurasiatico risoluto, dove Mosca avrebbe dominato i non slavi del Sud e nel Sud-Est dell’Ex Unione Sovietica(5)”.
Ubi maior minor cessat, si sarebbe detto in altri tempi, senonchè riteniamo doveroso svolgere alcuni considerazioni su quello che sta succedendo in Ucraina, dove le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria del candidato filo-russo Victor Yanukovic sul candidato filo-occidentale Victor Yushenko, affermazione subito contestata dall’opposizione spalleggiata da OCSE, NATO, Casa Bianca e mass media atlantisti.
I sondaggi che subito dopo il voto attribuivano il successo a Yushenko e la repentina calata in piazza dei suoi sostenitori, fanno innanzitutto pensare a un complotto ben organizzato dagli apparati spionistici mondialisti, alfine di mettere in difficoltà il neoeletto Yanukovic e il suo padrino di Mosca, Vladimir Putin, vero obiettivo della manovra destabilizzante.
Chiunque abbia la pazienza di ascoltare e leggere i commenti delle tv e della stampa occidentale sulla situazione ucraina non può che giungere a due conclusioni:
1) la vittoria è stata scippata a Yushenko grazie a brogli clamorosi e la stragrande maggioranza della popolazione lo appoggia nelle sue rivendicazioni;
2) l’obiettivo di Putin è quello di annettere antidemocraticamente l’Ucraina alla Russia al fine di ricreare una sorta di Impero zarista o Unione Sovietica.
Se sul secondo punto le citazioni sopra riportate sono sufficientemente esplicative, sul primo è invece doverosa un’analisi di controinformazione, visto che le numerose manifestazioni di sostegno a Yanukovic sembrano essere state “oscurate” dai mass media nostrani.
Appare prematuro ora fare previsioni sulla possibile evoluzione della crisi, fermo restando che l’eventuale degenerazione della disputa elettorale (soluzione militare, spaccatura del paese …) ricade tutta sulle spalle dell’Occidente, pronto ad appoggiare o a contestare i risultati delle urne esclusivamente in funzione del proprio interesse contingente (Algeria docet).
Subito dopo l’indipendenza concessa da Mosca nei primi anni Novanta, la classe dirigente ucraina fece tutto il possibile per lasciarsi alle spalle gli stretti legami culturali, economici e religiosi che la legavano alla Russia, ma per vari motivi ottenne scarsi risultati.
Iniziamo col ricordare che almeno ¼ della popolazione dell’Ucraina è russa o russofona, specie nelle regioni orientali di Doneck e Dnepetrovsk, che sono anche le più ricche e industrializzate, così come nei territori costieri sul Mar Nero (conquistati dall’Impero zarista nel XVIII secolo) vi è una predominanza linguistica russa.
Secondo un censimento del 1989, i russi in Ucraina sono il 67,9% nella regione di Doneck, il 65,5% in quella di Lugan, il 50,1% in quella di Charkov, il 53,4% in quella di Zaporoz e il 67% tra gli abitanti della Crimea.
Risultano perciò vani i tentativi governativi d’ imporre l’ucraino come lingua di Stato, di considerare nell’ambito della scuola media la letteratura russa come straniera e di sottolineare grazie all’uso dei mass media le peculiarità della cultura ucraina.
I russi che abitano in Ucraina non si sentono una minoranza etnica e tantomeno sono percepiti come tali dagli stessi ucraini, se si fa eccezione per le regioni occidentali del paese.
Sondaggi condotti nel 1999, dimostrano che il 61% degli abitanti dell’Ucraina hanno una percezione positiva della Russia, più di 1/3 di essi desidererebbe vivere con i russi in unico Stato e la maggioranza assoluta si dice favorevole a frontiere con Mosca del tutto trasparenti, vale a dire senza controlli doganali o richieste di visto(6).
La situazione più complicata è sicuramente quella dei russi di Crimea, che rifiutano ogni forma di ucrainizzazione e tendono piuttosto alla creazione di una loro forma di autonomia, sia per la passata politica di Kiev sia per le pretese avanzate dai tatari che rivendicano le loro terre di origine e vorrebbero trasformare la regione in un’entità statale poggiante sulla propria eredità culturale.
Qui i russi hanno creato non solo propri organi di stampa quotidiani e periodici, ma anche partiti politici, perciò un’eventuale inasprimento della contrapposizione potrebbe creare conseguenze pericolose.
Anche sotto il profilo religioso i risultati ottenuti dagli indipendentisti non sono così lusinghieri, malgrado lo sforzo congiunto della dirigenza ucraina e dell’uniatismo cattolico(7).
Già dal 1990, il Patriarcato di Mosca ha concesso alle proprie diocesi e parrocchie sul territorio ucraino lo status di chiesa autonoma, il che presuppone la piena sovranità nelle questioni riguardanti la vita interna e l’ambito amministrativo e finanziario.
Tuttavia, dal momento stesso in cui l’Ucraina ha avuto la propria indipendenza statuale, una parte dei vescovi della Chiesa ortodossa ucraina – sostenuta dai politici locali – ha sollevato più volte il problema dell’autocefalia, cioè della piena autonomia canonica dal Patriarcato russo.
Sono così sorte nel 1993 tre chiese ortodosse reciprocamente ostili: la Chiesa ortodossa ucraina (UPC-MP) sotto la giurisdizione di Mosca, che resta ancora alla fine degli anni novanta nettamente la maggiore organizzazione religiosa del paese con 7.986 parrocchie; la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev (UPC-KP), alla quale appartengono 2.187 parrocchie e la Chiesa ortodossa ucraina autocefala (UAPC) che di parrocchie ne conta 1.026(8).
Per ritornare invece a un quadro più strettamente geopolitico, occorre ricordare che se per la Russia la perdita dell’Ucraina era stata assai grave per ragioni strettamente economiche, Kiev dipendeva completamente da Mosca per le sue forniture di petrolio e gas naturale.
Senza l’Ucraina, la Russia non solo perde le sue terre più fertili, ma anche i tradizionali sbocchi portuali di Odessa, Mariupol e Ilicevsk, nonché quelli della Crimea.
Inizialmente il governo moscovita aveva perciò deciso di sviluppare un asse alternativo, Pietroburgo-Mosca-Voronez-Rostov-Novorrosijsk che, contribuendo al declino dei porti ucraini, aveva aumentato l’attrazione delle regione orientali e russofone dell’Ucraina verso di esso.
Il compromesso, firmato nel 1997, prevedeva che la Russia affittasse per 20 anni le infrastrutture portuali all’Ucraina, in parziale pagamento dell’immenso debito energetico che Kiev stava accumulando verso Mosca, mentre la quasi totalità delle unità della flotta rimanevano in mano russa(9) : ricordiamo che nella rada di Sebastopoli la flotta sovietica aveva le sue basi migliori.
Gradatamente i legami economici tra le due nazioni hanno ripreso a tornare forti.
Dalle statistiche emerge che nel 1997 i paesi aderenti alla CSI hanno investito nell’economia russa 55,6 miliardi di rubli, di essi 26,2 sono dell’Ucraina (47,1% del volume complessivo) e malgrado una lieve discesa nel 1998 (6,2 miliardi pari al 23,4% degli investimenti totali operati dai paesi della CSI), ancora nel 1999 l’Ucraina riceve dalla Russia il 40% delle sue importazioni, mentre quest’ultima continua a sua volta ad essere il principale importatore della produzione di Kiev(10).
L’ultimo sgarbo arriva perciò nel 1999, quando l’Ucraina si segnala come il membro più attivo del GUUAM (Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbajdzan e Moldavia), un blocco che intende fare da contrappeso geopolitico all’influenza della Russia nello spazio postsovietico.
Ad esso segue la virata operata dallo stesso presidente ucraino Leonid Kuchma, che rilancia la cooperazione con Mosca in vari settori.
Prima con la firma di un accordo per la riunificazione delle reti elettriche dei due paesi, poi garantendo l’acquisto da parte della Lukoil (la maggiore compagnia petrolifera russa) di quote della raffineria di Odessa(11), infine con la sottoscrizione di un rilevante pacchetto di accordi intergovernativi fra i quali spicca un’intesa per il transito del gas per un periodo di 15 anni(12).
Si deve perciò concludere che gran parte delle suggestioni instillate dall’opinione pubblica mondialista in questi giorni non sono veritiere e a riprova segnaliamo l’atteggiamento prudente mantenuto dai vari capi di governo europei (Chirac e Schroeder in testa) sull’esito delle elezioni, a dispetto dell’arrogante aggressione condotta dagli sgherri atlantisti Barroso e Solana.
La decisa opzione strategico-militare adottata proprio recentemente da Vladimir Putin(13) lascia ben sperare sulla possibile evoluzione della crisi ucraina, malgrado le forti pressioni diplomatiche statunitensi e la cecità dei burocrati di Bruxelles, autori di una politica europea evidentemente suicida nel suo supino adeguarsi alle logiche di Washington.
Per Mosca, d’altronde, potrebbe essere l’ultimo treno utile, prima di essere definitivamente inghiottita dall’espansione occidentalista.
Note
(1)Zbigniew Brzezinski, “La grande scacchiera”, Milano, 1998, p. 165.
(2)Aleksandr Dugin, citato in Vladimir A. Kolosov, “La collocazione geopolitica della Russia”, Torino, 2001, p. 17.
(3)Dichiarazione di Colin Powell, Segretario di Stato USA, riportate dall’ANSA il 24/11/2004.
(4)Notizia riportata dall’ANSA il 25/11/2004.
(5)Brzezinski, op. cit., pp. 117-127-141-142.
(6)Kolosov, op. cit., p. 324.
(7)Per comprendere il ruolo dell’Uniatismo in Ucraina, bisogna ricordare che nel XVI secolo, nel quadro della Controriforma, la Chiesa cattolica – appoggiata dalle potenze dell’epoca come Austria e Polonia – tentò di sottrarre intere regioni all’ Ortodossia. Il meccanismo era molto semplice; in cambio di vantaggi materiali concessi dagli Stati cattolici, i fedeli dovevano riconoscere l’autorità di Roma, pur conservando la totalità delle loro tradizioni, dei loro costumi, riti e rituali, cfr. Francois Thual, “Geopolitica dell’Ortodossia”, Milano, 1995, p. 95. Significativo in questo momento della crisi ucraina, l’arrivo a Kiev di Lech Walesa …
(8)Kolosov, op. cit., p. 201.
(9)Aldo Ferrari in Autori Vari, “Il grande Medio Oriente”, Milano, 2002, p. 74.
(10) Kolosov, op. cit., p. 324.
(11) La Lukoil sta peraltro valutando anche la possibilità di acquistare la raffineria di Cherson,in Crimea, cfr. Aldo Ferrari, ibidem.
(12) Fabrizio Vielmini, ibidem, p. 235.
(13) cfr. Giulietto Chiesa, “Torna la superpotenza russa e non è un bluff”, www.lastampa.it, 24/11/2004. Il nuovo missile antiportaerei costruito dai russi, sarebbe stato venduto oltre che all’Iran anche alla Cina, cfr. Maurizio Blondet, su www.effedieffe.com.
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