L’agenzia di rating “Standard and Poor’s” ha recentemente creato un certo scompiglio a Wall Street, dopo aver rivisto l’outlook del deficit statunitense da stabile a negativo. La notizia arriva alla vigilia di una intensa campagna elettorale che culminerà con l’elezione del nuovo presidente nordamericano nel 2012. Immediata è giunta la risposta della Casa Bianca, con il suo portavoce che ha tentato di spiegare come l’economia della nazione sia molto più forte di ciò che è stato detto e che dalla crisi si potrà uscire agevolmente.
Nel frattempo lo stallo del Congresso sulla manovra fiscale sembra protrarsi, con il rischio che gli USA non riescano a raggiungere un accordo in materia. Il moderato ottimismo di Obama non cambia, però, lo stato delle cose: in merito alla disastrata situazione finanziaria, durante un discorso tenuto in Virginia, il capo di Stato ha affermato che i tagli alle tasse, le due guerre combattute nell’ultimo decennio, nonché l’approvazione della riforma sanitaria (definita dai Democrats come la riforma sanitaria più importante della storia) hanno messo a dura prova le casse del Paese.
Il presidente statunitense, dunque, ha invitato i cittadini a fare un ulteriore sforzo nel ridurre le spese, ma ha anche rivolto un messaggio ai rappresentanti del Congresso, i quali dovrebbero condividere le responsabilità sui tagli nonché comprendere la necessità di non sprecare inutilmente denaro pubblico.
Gli analisti, comunque, ritengono la situazione statunitense critica, ma è da ritenersi una cosa “normale”, in quanto l’intero sistema mondiale sta ancora risentendo dei pesanti strascichi della recente crisi economica. Se queste affermazioni non bastassero già a creare un alone di incertezza intorno alle parole del presidente nordamericano, recenti sondaggi riportano che il 57% degli statunitensi disapprova le scelte di Obama in campo economico. Sebbene alcune fonti affermino che tale situazione sia politicamente meno grave di quello che si pensi (fermo restando che l’entusiasmo verso i Repubblicani sarebbe davvero scarso), è indubbio che il capo dello Stato dovrà sfoderare tutte le sue armi migliori al fine di conquistare un numero sempre maggiore di sostenitori. Il presidente, che riparte nella sua campagna elettorale anche con l’ausilio di social network come Facebook, è fiducioso che gli USA riusciranno nel giro di un decennio a ridurre il disavanzo di 4 mila miliardi di dollari.
I dati, sino a oggi, ribadiscono che uscire dalla crisi e, quindi, aumentare anche i tassi di occupazione è un cammino lungo e non senza ostacoli. Il risanamento delle finanze statunitensi, d’altronde è necessario, anche dal punto di vista politico. Obama, infatti, non può ritenere plausibile una sua ri-elezione se la situazione finanziaria del Paese non si risolleverà. D’altro canto, se veramente di tagli alla spesa si parlerà, anche la politica estera della nazione potrebbe subire un ridimensionamento nel suo lato “interventista”. Se questo aspetto così tradizionalmente ed endemicamente condiviso dell’esportazione della democrazia all’estero subisse un qualche arresto, i Repubblicani sarebbero subito pronti a sfoderare qualche arma in più nella corsa alle presidenziali. Il compito della Casa Bianca, dunque, non sembra facile, nonostante le parole incoraggianti che vengono proposte all’opinione pubblica e a dispetto del decadente, ma ancora forte, protagonismo a livello mondiale della potenza egemone statunitense; infatti stiamo assistendo ad un rafforzamento del dollaro nei confronti degli Stati appartenenti alla coalizione atlantica, in particolar modo l’Europa occidentale ed il Giappone, periferie del sistema anglo-americano, che si trovano a perdere investimenti a favore degli States, obbligati a concentrare gli utili della propria rete economica per preservare il predominio, anche a costo di farne pagare le conseguenze ai propri “alleati”.
*Eleonora Peruccacci è laureata in relazioni internazionali (Università di Perugia) ed è analista dell’ISAG
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