Fonte: ripensaremarx
Su questo blog (ripensaremarx) abbiamo spesso parlato del gasdotto South Stream, progetto di pipeline russo-italiano (con il coinvolgimento dei due colossi nazionali del settore degli idrocarburi quali sono Gazprom ed Eni), che partendo dalla stazione di compressione di Bregovaya, sulla costa russa del Mar Nero, passerà sotto le profondità marine lungo 900 Km raggiungendo, in alcuni punti, i 2000 metri sotto la superficie del mare, per sbucare in territorio bulgaro. Da qui poi il sistema di dotti si diramerà in due propaggini, una a sud che transitando per la Grecia sfocerà a Otranto, in Puglia, ed una a nord che attraversando paesi come la Bulgaria, l’Ungheria, la Serbia e la Slovenia sboccherà infine nel nord – Italia.
Vi sono ormai solo poche incertezze sulla possibilità di rendere operativo questo gasdotto (entro il 2015 sarà in grado di trasportare 63 mld di metri cubi di gas), sia in termini infrastrutturali che per quantità di materia prima da far passare nei tubi, garantendo così la massima profittabilità degli investimenti e le economie di scala.
In concorrenza a questo progetto se ne è sviluppato uno alternativo, il Nabucco, voluto dall’Austria, dalla Turchia, dalla Bulgaria, dalla Romania, dall’Ungheria, dalla Germania le quali hanno costituito il Consorzio Gmbh con l’appoggio della Comunità Europea e dell’amministrazione statunitense.
Questo sistema di dotti, sulla cui fattibilità nutrono dubbi gli stessi paesi produttori (come alcune repubbliche caucasiche che sono, al tempo stesso, partner commerciali di Mosca e che non dispongono delle quantità necessarie per rifornire i tubi di entrambi i clienti) è divenuto strategico più per motivi geopolitici che per ragioni prettamente economiche.
Difatti, gli Usa temono che la dipendenza energetica dell’Europa da Mosca possa veicolare istanze politiche antistatunitensi nel Vecchio Continente, mandando in frantumi quella “linea Maginot”, pazientemente costruita all’indomani della caduta dell’URSS, pensata soprattutto per isolare la terra degli zar tanto dall’UE che dal suo estero prossimo (destabilizzato con le numerose rivoluzioni colorate). A testimonianza del dato che il Nabucco segue queste regole geopolitiche piuttosto che quelle economiche si possono portare le affermazioni di Vitaliy Baykarbayov, vice-presidente della SOCAR (State Oil Company of Azerbaijan Republic), impresa di un paese che dovrebbe contribuire ad alimentare le sue pipelines: “Nabucco était un projet sans base légale. C’était simplement un consortium de compagnies qui avaient réuni leurs ressources pour ce projet. Il ne pouvait ni faire de proposition sérieuse, ni prendre d’engagement quant à la capacité de transport. Désormais, des accords intergouvernementaux ont établi certaines règles pour soutenir ce projet[2], mais il faut encore beaucoup de travail avant qu’il ne se concrétise. Des accords sur les modalités et les capacités de transport sont nécessaires avec les pays producteurs et transporteurs ainsi qu’avec des compagnies de construction et les banques qui le financent.[1]”
Traditi i principi del liberismo da quegli stessi personaggi che per anni ci hanno propinato i loro dogmi sulla sovranità assoluta del mercato, oggi veniamo rieducati sugli scopi dell’iniziativa economica che può anche contemplare la rinuncia agli investimenti sicuri laddove essi non coincidono con gli interessi della super potenza americana.
Stessa situazione si sta verificando con il gemello nordeuropeo del South Stream, il progetto russo-tedesco North Stream. Anche quest’ultimo gasdotto approvvigionerà l’Europa con il gas di Mosca grazie ad un tubo sottomarino che collegherà direttamente la Russia alla Germania. Ma la partnership tra quest’ultimi due paesi si trova sempre più in difficoltà, a causa dell’azione di alcuni stati membri dell’Ue ( Polonia in primo luogo, ma anche Estonia, Lettonia, Lituania) che percepiscono ogni iniziativa di Mosca come un tentativo per riappropriarsi di quella sfera strategica frantumatasi con la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
La materia prima di questo gasdotto sarà prelevata dai giacimenti di Ioujno-Rousskoe e da Shtokman[2] (nel mar di Barents) e trasporterà gas, per 1200 km da Vyborg in Russia a Greifwald in Germania. Il progetto doveva essere concluso già nel 2010 ed i soci russi hanno lavorato intensamente, sul loro versante, per rispettare questa data. I problemi maggiori sono sorti invece sul troncone marittimo, ma non si è trattato esclusivamente di un fatto tecnico. In effetti, ciò che più ne ostacola la realizzazione è la posizione intransigente degli stati summenzionati che stanno tirando in ballo una serqua di pretesti per far fallire, o almeno ritardare, il programma del Consorzio Nord Stream AG. Questi Stati hanno, per esempio, proposto una alternativa al progetto russo-tedesco, il gasdotto Ambre che invece viaggerebbe sulla terra ferma e raggiungerebbe in ogni caso la Germania, ma ovviamente passando dal loro territorio.
Ma è su un altro tema che i paesi da poco entrati a far parte dell’UE giocano le loro chances di avere ancora un ruolo centrale nella partita energetica, quello dell’impatto ambientale. Il Parlamento europeo ha ricevuto nel 2008 una petizione proposta dalla “banda dei quattro” che lo ha spinto ad adottare una risoluzione sull’impatto ambientale dell’opera, demandando ad una Commissione indipendente le valutazioni del caso. Adesso, il Consorzio dovrà dimostrare che le attività di costruzione delle condutture non comportano il pericolo di un disastro naturale, sottraendo tempo prezioso alla realizzazione effettiva del progetto. Non è difficile capire che Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia, più che ispirate dagli alti principi della salvaguardia dell’ecosistema sono ancor più preoccupate di perdere quel ruolo di spina nel fianco nei confronti della Russia affidato loro dalle corrotte burocrazie Ue e dagli stessi USA.
Non per niente il più acerrimo nemico del North Stream è la Polonia. E’ stato proprio questo paese a mettersi di traverso alla candidatura del finlandese Paavo Lipponen, che avrebbe dovuto sostituire Javier Solana nel ruolo di alto rappresentante della diplomazia europea, in ragione della collaborazione offerta dalla Finlandia al Consorzio russo-tedesco artefice del North Stream.
Inoltre, nonostante l’Ue abbia più volte dichiarato la strategicità dell’impianto non ha mai versato un euro per favorire la sua attuazione, mentre si è dimostrata più generosa col Nabucco, il gasdotto senza gas che attira gli investimenti “oculati” dei nostri organi unitari.
Dalla descrizione di questa situazione emerge l’incapacità dell’Ue di dotarsi di una linea d’azione concordata su un settore fondamentale come quello energetico. Anzi, gli organismi europei quando mettono becco in questi affari è solo per ostacolare quegli Stati nazionali che, in assenza di una politica sovrastatale comunitaria, agiscono per almeno salvaguardare i loro immediati interessi economici. E c’è, stante l’attuale spappolamento politico dell’UE, da essere ancor più preoccupati poiché con l’entrata in vigore del famigerato trattato di Lisbona le alte gerarchie europee pretenderanno di gestire, senza nessuna visione propria, la politica energetica di tutti i paesi membri. Chi ci guadagnerà da questo deserto strategico europeo? Certamente gli Usa i quali, grazie alle nostre debolezze, continueranno a controllare il nostro continente, ostacolando il raggiungimento di quegli obiettivi volti all’accrescimento della potenza necessaria per muoversi adeguatamente nella fase multipolare. Nei prossimi giorni tradurremo un bel dossier sul gas e sugli interessi geopolitici che ruotano intorno a tali problematiche, per ora questo assaggio può essere sufficiente.
[1] Nabucco era un progetto senza base legale. Era semplicemente un consorzio di società che avevano riunito le loro risorse per questo progetto. Non poteva né fare proposte serie, né prendere impegni quanto alla capacità di trasporto. Ormai, accordi intergovernativi hanno stabilito alcune norme per sostenere questo progetto (2), ma occorre ancora molto lavoro prima che si concretizzi. Accordi sulle modalità e le capacità di trasporto sono necessari con i paesi produttori e trasportatori come pure con società di costruzione e le banche che lo finanziano. Entretien avec Vitaliy Baykarbayov, vice-président adjoint de la SOCAR Dossier : “Dépendance énergétique à la Russie” di Alix DRUGEAT – Revue: Regard sur l’est
[2] Dal sito fondionline: “Shtokman è un giacimento gigante scoperto nel 1988 a est di Murmansk, nel del Mare di Barents, a circa 550 chilometri dalla terraferma, oltre il circolo polare artico. Si trova ad una profondità di circa 2.000 metri, in un punto in cui le acque dell’Oceano Artico si inabissano fino a 320-340 metri. La zona è soggetta al passaggio di iceberg che possono raggiungere anche un milione di tonnellate di peso.
Shtokman contiene 3.200-3.700 miliardi di metri cubi di gas naturale, più altre 31 milioni di tonnellate di cosiddetto “condensato” (idrocarburi liquidi che possono essere raffinati tramite appropriati processi chimici). Per sviluppare questa grande riserva di gas naturale serviranno circa 50 miliardi di dollari. La durata commerciale del giacimento è stimata in 50 anni, ad un tasso di produzione annua pari a circa 70 miliardi di metri cubi di gas e a 600mila tonnellate di condensato”.
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