Jim Gray, il creatore di Google Earth, nel febbraio 2007 scomparve con la sua barca a vela, la “Tenacious“, mentre navigava verso le Farallon Islands, a venticinque miglia al largo di San Francisco; e sebbene fosse scattata una gigantesca operazione di soccorso, non venne mai più ritrovato, benché la barca avesse a bordo l’EPIRB, un sistema di allarme radio che viene attivato automaticamente qualora la barca stia iniziando ad affondare, o se l’equipaggio si dovesse trovare in difficoltà. Niente lasciava pensare a una tragedia, il mare era calmo, la barca era perfettamente equipaggiata e in ottime condizioni. E la moglie non si  preoccupò di lanciare subito l’allarme. Nonostante diverse unità della guardia costiera, un C-130 e un paio di elicotteri avessero pattugliato un’area di 40mila miglia quadrate del Pacifico, dall’Oregon fino a Point Conception, a 200 miglia a sud di San Francisco, nulla, di Gray e della sua barca non furono trovate tracce. Jim Gray, co-fondatore di Google assieme a Sergei Brin, mise online il motore di ricerca delle immagini satellitari ad alta definizione (Google Map e Google Earth). La Microsoft voleva inviare alcune barche private per partecipare alla ricerca, la guardia costiera lo sconsigliò: “Non vorremmo finire per dover cercare anche i ricercatori”.
Ecco Google Earth: le mappe di Google sono state utilizzate dal Nicaragua per realizzare una base militare in un’area confinante con il Costa Rica che, apparentemente per errore, era stata assegnata da Google Earth a Managua, sebbene il Costa Rica lo rivendicasse. Il confine passerebbe più a nord di quanto indicato da Google Earth. È nato così un contenzioso tra Managua e San José, che ha accusato la prima di aver invaso il territorio costaricense: circa 2,7 chilometri di discordia, tanto è l”errore‘ cartografico di Google Earth. Sebbene l’azienda californiana di Mountain View avesse iniziato a porre rimedio al pasticcio, Managua ha chiesto di non modificare i confini.
Una controversia vecchia di 200 anni sul fiume San Juan, che costituisce il confine tra i  due stati, almeno secondo il trattato Cañas-Jerez firmato nel 1858. Il Nicaragua, evidentemente poco soddisfatto della sistemazione, cerca di basare la propria rivendicazione sulla mappatura digitale effettuata da Google. Sarebbe la prima volta che internet verrebbe utilizzato per sancire i trattati internazionali e per stabilire relazioni diplomatiche. Ma non è il primo caso, già c’era stato un precedente, quando nel febbraio 2010, sempre un ‘erroreGoogle suscitò una contesa territoriale tra  la Cambogia e la Thailandia.
L’America centrale è già stata teatro di contese territoriali tra gli stati che vi risiedono. Il caso più eclatante fu la ‘Guerra del Calcio o degli Stadi‘, esplosa nel luglio 1969 tra Honduras e San Salvador. Anche in quel caso la causa scatenante furono le multinazionali statunitensi, quando le varie compagnie bananifere nordamericane come la famigerata United Fruits (oggi meglio nota come Chiquita) favorirono l’immigrazione di mano d’opera salvadoregna nei loro immensi latifondi aziendali in Honduras.
Nel 1969 più di 300.000 salvadoregni vivevano in Honduras, costituendo il venti per cento della popolazione rurale dell’Honduras. In Honduras, United Fruit Company controllava il dieci per cento dei terreni, e nel 1966, essa creò la Federación Nacional de Agricultores y Ganaderos de Honduras (FENAGH), anti-contadina e anti-salvadoregni, che fece pressioni sul presidente honduregno, il blandamente riformista Generale Lopez Arellano, affinché ne proteggesse i diritti di proprietà. Difatti parecchi terreni furono occupati, sai da honduregni che da immigrati del Salvador, in forza di una legge del 1962, ma la versione emendata di questa, nel 1967, tolse i terreni occupati dagli immigrati per ridistribuirli agli honduregni. Migliaia di lavoratori salvadoregni furono così espulsi dall’Honduras, generando tensioni che causarono il conflitto militare.
La scintilla il Campionato del Mondo per il 1970, quando le nazionali di Honduras ed El Salvador s’incontrarono per il secondo turno nordamericano di qualificazione per la Coppa del Mondo. L’8 giugno 1969 vi furono scontri tra tifoserie nella capitale honduregna di Tegucigalpa, dove l’Honduras vinse 1-0. Subito dopo la partita, la diciottenne salvadoregna Amelia Bolanos si sparò al cuore, venendo così elevata al rango di martire di El Salvador, con tanto di funerale trasmesso in  televisione, con la relativa partecipazione del presidente salvadoregno e della nazionale di calcio. Il secondo turno, del 15 giugno 1969 nella capitale San Salvador, vide la goleada del Salvador, che vinse 3-0, con relativo strascico di  violenze. Il tutto era forse frutto di un’operazione di manipolazione mediatica e delle coscienze pubbliche attuata dai centri di guerra psicologica statunitense? Non è da escludere, visto che l’intelligence e le comunità scientifiche psichiatriche e psicologiche statunitense (dottor Cameron e Gottlieb) e inglese (Tavistok Institute) erano impegnate in intese e ampie campagne di manipolazione e di esperimenti, sia in Europa che in Vietnam del sud.
Il 26 giugno 1969, lo stesso giorno in cui il Salvador vinse 3-2 ai playoff, a Città del Messico; El Salvador ruppe le relazioni diplomatiche con l’Honduras, affermando che “il governo dell’Honduras non ha preso misure efficaci per punire questi crimini che costituiscono un genocidio, né ha fornito garanzie di indennizzo o risarcimento per i danni causati ai salvadoregni“. Iniziava la guerra delle 100 ore.
Il 14 luglio 1969 iniziarono le operazioni belliche, e lì si vide che il vero obiettivo erano alcune aree territoriali di confine. L’esercito salvadoregno lanciò la sua offensiva lungo le due principali strade che collegano i due stati. L’esercito salvadoregno, più grande e meglio attrezzato rispetto a quello honduregno, conquistò la capitale del dipartimento di Nueva Ocotepeque e altre otto città. Gli honduregni reagirono bombardando l’aeroporto militare salvadoregno di Ilopango e i depositi di carburante, distruggendo il 20% delle riserve di benzina del Salvador.
Un certo numero di piloti statunitensi, tra cui Chuck Lyford, Bob Love, Lynn Garrison e Ben Hall, affiancarono l’aviazione salvadoregna. Questi piloti si presero carico dei caccia a pistoni statunitensi Cavalier F-51 Mustang, e divennero protagonisti degli scontri con i velivoli honduregni Vought F4U Corsair, anch’essi caccia a elica ex-statunitensi, residuati della seconda guerra mondiale. Tali missioni videro gli ultimi combattimenti al mondo tra aerei a elica. L’aiuto statunitense non dovette essere troppo ben apprezzato, poiché i vecchi Corsair honduregni inflissero qualche perdita all’aviazione salvadoregna (almeno tre caccia). Inoltre, Anastasio Somoza, l’allora dittatore del Nicaragua, aiutò materialmente l’Honduras, forse su sollecitazione di Washington, applicando così, su scala sperimentale, la teoria poi avanzata negli anni ’80 dagli ambienti reaganiani, di veder logorarsi in una guerra inutile due suoi avversari regionali come l’Iraq e l’Iran.
In definitiva, la guerra che durò poco più di quattro giorni, causò 3000 morti tra civili e militari e 50 milioni di dollari di danni, e ci vollero undici anni per firmare il trattato di pace tra Tegucigalpa, dove i militari rafforzarono la loro presa sulle istituzioni, e San Salvador, la quale era già sprofondata nella guerra civile risultante della crisi economico-sociale causata proprio dalla guerra con l’Honduras.
Che qualcuno, a Langley o Wall Street, voglia riproporre oggi simili scenari, non va escluso. Visto anche l’esempio dell’Honduras post-Zelaya, riportato nell’ovile di Zio Sam dai fidi Micheletti e Lobo, dopo la ‘pericolosa scivolata‘ verso la tentazione integrazionista bolivariana dell’ALBA.

8/11/2010
Alessandro Lattanzio, storico, esperto di questioni militari. È autore di Terrorismo sintetico (Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2007), Potere globale. Il ritorno della Russia sulla scena internazionale (Fuoco Edizioni, Roma 2008) e Atomo Rosso. Storia della forza strategica sovietica (Fuoco Edizioni, Roma 2009)


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