JP Morgan Chase all’attacco proprio dopo un recente rialzo della Borsa di Istanbul: la grande banca d’affari ha consigliato gli investitori di vendere le azioni turche, in forza di un asserito indebolimento della lira turca, del deficit delle partite correnti e …dell’aumento del costo del petrolio. Identica indicazione proviene dalla Goldman Sachs, che già a dicembre 2011 pronosticava l’hard landing, il pesante atterraggio dell’economia turca con conseguente recessione causata dall’impatto della crisi dell’Eurozona sull’export di Ankara.
“Il PIL nel 2012 subirà un netto calo” ha sentenziato Ahmet Akarlı, analista turco della Goldman Sachs. Il Fondo Monetario Internazionale, da parte sua, aveva parimenti suonato campane a morto con una previsione di crescita del 2,2 % per il 2012 (nel 2010 è stata dell’8,9 %, la percentuale più alta del G20 dopo la Cina, e nel 2011 non risulta essere di molto inferiore), reclamando tassi più alti dalle banche per “non surriscaldare” l’economia.
Le richieste degli “analisti internazionali” – quelli sui libri paga delle grandi banche d’affari – sono sempre le stesse, e suonano uguali in tutto il mondo: attenzione parossistica al “debito pubblico”, austerità, riduzione del “peso” dello Stato. E anche disincentivazione dei finanziamenti a buon mercato al mondo produttivo: in Turchia i dati del 2010 parlano di un aumento dei prestiti al consumatore pari al 42 %, il che ha garantito un impulso molto forte all’espansione economica del Paese, e questo viene considerato eccessivo – e visto con disappunto – da detti analisti.
La Turchia è un obiettivo importante della speculazione finanziaria: una nazione in crescita, dotata di grande liquidità, che in passato (in particolare negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso) ha dimostrato una spiccata propensione all’indebitamento nei confronti del Fondo Monetario Internazionale ma che ora sembra aver cambiato strada.
Una nazione che – per la sua importante e delicata posizione geopolitica – va controllata e messa sotto tutela, “globalizzandola” e sradicandone le pretese di sovranità; la tutela di tipo politico – ben visibile nei casi delle emergenze libica e siriana, in cui la Turchia si è conformata ai dettami occidentali, a dispetto di un’opinione pubblica alquanto perplessa – va completata con la tutela di tipo economico/finanziario, e in questo senso gli appelli provenienti dal mondo della speculazione internazionale si moltiplicano.
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