Il 10 giugno scorso il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad si è recato in Cina per la “giornata nazionale dell’Iran” all’Expo di Shanghai. Il suo arrivo è avvenuto all’indomani dell’approvazione in sede ONU di nuove sanzioni contro l’Iran per il suo programma nucleare, a favore delle quali ha votato anche Pechino, tradizionale alleata di Teheran.


Nuove sanzioni al programma nucleare iraniano

Il presidente Ahmadinejad, in occasione della sua visita in Cina, avrebbe dichiarato che la risoluzione sulle sanzioni non ha alcun valore legale e che il Consiglio di Sicurezza sarebbe “uno strumento nelle mani degli Stati Uniti”. Secondo Ahmadinejad, infatti, “le potenze nucleari vogliono tenere per sé la tecnologia e non vogliono che altri paesi utilizzino il nucleare in maniera pacifica”.

Dopo cinque mesi di colloqui tra Usa, Gran Bretagna, Germania, Russia e Cina, 12 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 9 giugno hanno votato a favore di ulteriori sanzioni contro il paese islamico; la Turchia e il Brasile hanno espresso voto contrario; il Libano è stato l’unico paese ad astenersi. Alla base della deliberazione vi è il timore delle potenze occidentali e di Israele che l’Iran possa produrre armi atomiche. Nonostante le nuove sanzioni, tuttavia, l’Iran non ha mostrato alcuna intenzione di porre fine al suo programma. Il nuovo documento impone sanzioni a 15 aziende collegate alla Guardia Rivoluzionaria Iraniana (i Pasdaran), a 3 sussidiarie della maggiore compagnia di navigazione iraniana e ad una delle sue banche. Viene esteso anche il bando alla vendita di armi e vengono fissate nuove regole per le interdizioni in mare. Si tratta del quarto pacchetto di sanzioni contro l’Iran. Nelle precedenti risoluzioni 1731 del 2006, 1747 del 2007 e 1803 del 2008, il Comitato sanzioni del Consiglio di Sicurezza aveva già imposto all’Iran una serie di misure: un embargo contro lo sviluppo dei suoi piani di missili balistici e di materiale sensibile ai fini della proliferazione nucleare; un divieto all’importazione di armi convenzionali; sanzioni individuali contro soggetti ritenuti “pericolosi”, ai quali sono stati impediti viaggi e sono stati congelati i conti bancari.

Dunque i rapporti tra Iran e Nazioni Unite si fanno sempre più tesi, ma anche la tradizionale amicizia con la Cina potrebbe essere messa in discussione alla luce dei nuovi eventi. Il voto cinese in favore delle sanzioni è stato una sorpresa per l’Iran, vista la posizione di primo partner commerciale di Teheran assunta da Pechino negli ultimi anni. Tuttavia, il presidente iraniano Ahmadinejad ha minimizzato l’appoggio di Pechino alle sanzioni ed ha dichiarato che, da un accordo tra i due Paesi, potrebbe nascere un mondo migliore.

La Cina è stata a lungo restia sulla questione delle risoluzioni per non compromettere i rapporti bilaterali con la Repubblica islamica. Infatti, ha sempre posto l’accento sul diritto di Teheran, rivendicato ufficialmente da Ahmadinejad, di utilizzare l’energia nucleare per scopi pacifici. Anche se la Cina ha votato a favore di ulteriori sanzioni, lo ha fatto nella consapevolezza che la questione del nucleare iraniano si possa risolvere attraverso il dialogo e il negoziato. Dunque, una soluzione diplomatica è l’unica via per garantire pace e stabilità nella regione. La potenza asiatica in tal modo cerca di tutelare i propri interessi di approvvigionamento energetico nel Vicino Oriente.


Il fabbisogno energetico di Pechino

Negli ultimi anni del XX secolo, la Cina ha cominciato a guardare con interesse l’area del Vicino Oriente, in particolare quella che si affaccia sul Golfo Persico, per la ricchezza di risorse energetiche di cui dispone. E l’Iran, principale potenza in quella regione, è divenuto l’oggetto delle ambizioni sia cinesi sia statunitensi nel Golfo Persico. Il successo della rivoluzione khomeinista nel 1979, che ha provocato il rovesciamento della dinastia Pahlevi, ha interrotto i legami tra l’Iran e gli Stati Uniti. Da quel momento, ha avuto inizio un periodo di tensioni tra i due paesi che persiste ancora oggi. Di fronte a questa tensione, Washington ha più volte chiesto la collaborazione di Pechino per isolare Teheran. Allo stesso tempo, nel corso degli anni ’90, la Cina ha sviluppato una crescente relazione con l’Iran, attraverso accordi di cooperazione energetica, economica e tecnologica.

La Repubblica islamica rappresenta ormai il più importante alleato della Cina nel Vicino Oriente per il mantenimento degli attuali tassi di crescita economica.

La crescita cinese degli ultimi anni ha fatto aumentare in maniera esponenziale i consumi energetici. Anche se il carbone è la principale fonte di energia per la Cina, che ne è anche primo produttore e consumatore al mondo, il petrolio è divenuto di importanza vitale per il gigante asiatico. Si tratta della risorsa strategica per eccellenza; ciò significa che chi controlla il mercato petrolifero è, di fatto, leader nelle relazioni internazionali. Fino ad oggi, sono stati gli USA a controllare le fonti di approvvigionamento energetico avvalendosi di strumenti militari, mentre la Cina, che ancora non dispone di sufficiente capacità militare, partecipa alle dinamiche geopolitiche mondiali attraverso strategie prevalentemente tecnico-produttive e commerciali.

Di fronte al crescente fabbisogno energetico da parte cinese, è cresciuta dunque l’importanza strategica dell’Iran, principale fornitore di petrolio e gas naturale, oltre che per la Cina, anche per l’India e il Giappone. Il paese è dotato delle più grandi riserve petrolifere al mondo, dopo l’Arabia Saudita e il Canada, ed ha la capacità produttiva con il maggior margine di crescita in assoluto. Questo potenziale di crescita è particolarmente significativo per il gas naturale che, nei prossimi anni, diventerà una risorsa più importante del petrolio, aumentando il valore strategico delle relazioni con la Cina. Le compagnie cinesi, da parte loro, riforniscono l’Iran di benzina e altri combustibili di cui ha bisogno perché, nonostante gli immensi giacimenti di greggio, le raffinerie nazionali non sono in grado di soddisfare il fabbisogno interno. L’Iran, per sviluppare le proprie risorse energetiche, ha bisogno di investimenti esteri ed è stato costretto a creare una rete di rapporti al di fuori dell’orbita statunitense, a causa delle continue condanne dei programmi nucleari iraniani. Pertanto, di fronte alle sanzioni, agli embarghi e ai vincoli imposti, l’Iran non permette agli Stati Uniti di sfruttare le sue risorse, le quali, invece, vengono utilizzate per coltivare relazioni con i più importanti paesi asiatici.

Fino al 1993, la Cina era un paese esportatore di petrolio; oggi, invece, ne importa il 40%. Secondo l’AIE, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, entro il 2030 Pechino avrà bisogno di importare l’80% del fabbisogno petrolifero. A partire dal 2008, la Cina rappresenta il secondo maggiore importatore di greggio al mondo (con un consumo che si aggirava intorno ai 7 milioni di barili al giorno), dopo gli Stati Uniti (il cui consumo nello stesso anno ammontava a circa 20 milioni di barili al giorno). Metà del petrolio esportato in Cina proviene dalla regione del Golfo Persico; da qui l’importanza dell’Iran come partner commerciale della Cina.

Negli ultimi anni sono aumentati gli accordi siglati tra i due paesi. Nel 2001 il volume del commercio sino-iraniano ammontava a 3,3 miliardi di dollari e nel 2005 ha raggiunto i 9,2 miliardi di dollari. Nello stesso anno, le esportazioni cinesi in Iran hanno rappresentato l’8,3% del mercato totale di importazione iraniano. Nel 2004, l’azienda cinese Zhuhai Zherang ha firmato un accordo di 25 anni per l’importazione di 110 milioni di tonnellate di gas naturale liquido. Nello stesso anno, la Sinopec, importante gruppo petrolifero cinese, ha siglato un accordo da 110 miliardi di dollari per l’importazione di 250 milioni di tonnellate di gas naturale. Successivamente la Sinopec ha concluso un altro accordo – in compartecipazione con l’indiana ONGC (Oil And Natural Gas Corporation) – per sviluppare il giacimento di Yadaveran, a sud dell’Iran, assicurandosi il 51% dei diritti sul giacimento, stimato in circa 30 miliardi di barili. Il commercio tra i due paesi è cresciuto del 35% dal 2009 e sono centinaia le compagnie petrolifere cinesi che operano sul territorio iraniano. Nel 2008, la China National Petroleum Corporation ha firmato un contratto con la National Iranian Oil co.,del valore di 17 miliardi di dollari, per lo sfruttamento del giacimento dell’Azadegan; nell’agosto del 2009, ne è stato siglato un altro per lo sviluppo delle raffinerie di Abadan.


La cooperazione economica e militare

La Cina ritiene che i rapporti bilaterali con l’Iran non solo rispondano agli interessi di entrambi le nazioni, ma siano decisivi per la pace, lo sviluppo e la stabilità della regione. La Cina ha sempre cercato di mantenere e rafforzare i legami economici con il paese islamico. Da un lato, la Repubblica popolare cinese, a causa della sua incessante crescita, ha bisogno di nuovi mercati e di sempre maggiori risorse energetiche; dall’altro, l’Iran può usufruire dei beni di consumo provenienti dalla Cina.

Pechino non si limita ad importare il petrolio grezzo e il gas naturale, ma partecipa, attraverso investimenti diretti, all’estrazione dell’energia iraniana, alla ricerca di nuovi giacimenti e alla costruzione di infrastrutture. È coinvolta, infatti, nell’erezione di dighe; collabora con Teheran nella costruzione delle autostrade nazionali iraniane, nella realizzazione delle linee metropolitane nella capitale, nello sviluppo di porti e aeroporti e nella costruzione di navi e aeroplani civili.

Di non poca importanza è anche la collaborazione militare, iniziata ai tempi della prima Guerra del Golfo tra Iran e Iraq (1980-1989). In quel periodo, la Cina si è imposta sui vari tentativi statunitensi di stabilire un embargo sulla vendita di armi all’Iran, ed ha permesso al paese di assorbire circa il 90% del totale delle esportazioni militari cinesi. Nel corso degli anni ’90, Pechino è diventato il principale venditore di armi del paese ed ha continuato a fornire materiali per la costruzione di missili e lo sviluppo della tecnologia militare. Attualmente gli accordi riguardano diverse forniture: armi leggere e artiglieria, sottomarini e carri armati, caccia bombardieri e piccole navi da guerra, sistemi balistici e missili. La collaborazione sino-iraniana riguarda la fornitura da parte cinese non solo della tecnologia, ma anche della competenza per lo sviluppo di programmi nucleari civili.


Relazioni politiche

Gli interessi politici cinesi nel Vicino Oriente si riflettono oltre che nella questione nucleare iraniana, anche nella volontà cinese di porre fine all’egemonia economico-politica degli Stati Uniti nella regione mediorientale e di creare un mondo multipolare. L’ascesa della superpotenza cinese ha condotto anche l’attività politica e diplomatica ad assumere caratteristiche globali, per cercare di mantenere l’accesso alle materie prime e ai mercati esteri. Ne è derivata, dunque, una naturale competizione con gli Stati Uniti. A favore della Repubblica popolare cinese vi sono, poi, i buoni rapporti con l’Iran che, essendo l’unico paese della regione che si affaccia sul Mar Caspio, sul Golfo Persico e che controlla lo Stretto di Hormuz, ha una posizione centrale nello scacchiere mondiale.

Nel 2000 Pechino e Teheran hanno siglato la “Dichiarazione congiunta tra la Repubblica popolare cinese e la Repubblica islamica iraniana”. Si tratta di un documento in cui viene sottolineata la collaborazione per una maggiore equità politica, per un mondo più libero dall’egemonismo. Si evidenzia, inoltre, la centralità di una comunità internazionale fondata sulla cooperazione e il dialogo e l’importanza del rispetto dei diritti umani, tenendo conto della storia, della cultura e della religione di ciascun paese.

L’interesse cinese nei confronti nell’Iran e, più in generale della regione mediorientale, dimostra dunque che la Cina ha iniziato a sviluppare un’idea di politica internazionale, dopo decenni di politica che non si è estesa oltre il Mare della Cina. Ora, invece, attraverso l’alleanza con l’Iran, la Cina potrebbe estendere la propria influenza, da un lato, verso l’area del Golfo Persico e, dall’altro, verso il Mar Nero e il Mediterraneo, quindi in Europa.

L’insieme dei cambiamenti, degli interessi e delle ambizioni della politica cinese dimostra come il paese stia emergendo a livello globale non solo come superpotenza economica, ma anche come uno dei principali attori politici nel panorama internazionale. La crescente influenza cinese nel Vicino Oriente sta modificando gli equilibri politici nel continente e non si esclude che in futuro possa superare l’egemonia degli Stati Uniti.


* Silvia Bianchi è dottoressa in Editoria e giornalismo (LUMSA di Roma)

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