Fonte: “Il Fondo Magazine”, 10.06.10
La lectio magistralis di Sua Eccellenza Ali Akbar Naseri, Ambasciatore iraniano presso la Santa Sede – svoltasi ieri, 9 giugno, a Roma e centro della conferenza “L’Iran e la pace nel mondo” (ottimamente organizzata dal Coordinamento Eurasia [in realtà dalla rivista “Eurasia”, NdR) – è stata certo un’importante quanto rara possibilità di informazione ’senza filtro’ e riflessione riguardo la controversa questione iraniana, e più in generale islamica, in rapporto al “nostro” occidente… civilizzato.
“L’Iran e la pace nel mondo”, per la stringente attualità, può essere il tema-sunto delle più scottanti questioni geopolitiche, cruenti giochi dello spettacolo bellico e politico nel mondo globale. Parlare oggi dello “stato canaglia” Iran significa aprire il confronto su una realtà che appare complessa e intricata in quanto costellata di pregiudizi, etichette, e tanta, tantissima disinformazione.
In questo senso, la lectio magistralis, introdotta e inquadrata col consueto focus geopolitico di “Eurasia” da Tiberio Graziani e coadiuvata da un breve quanto denso intervento di Pietrangelo Buttafuoco che ben ha saputo sintetizzare la geopolitica con la questione culturale-religiosa, riportandole poi alla situazione italiana, è stato ottima e coinvolgente occasione di conoscenza.
Non solo riguardo il tema scottante della politica mediorientale, ma, anche e soprattutto, come stimolo di comprensione religiosa e culturale reciproca. I due temi, come ha notato Graziani, vanno anzi di pari passo e si coniugano in quello spirito identitario cardine delle strutture geopolitiche. In questo senso Teheran va ogni giorno di più a inserirsi nel teatro mediorientale come una forza che non vuole essere succube delle mire occidentali ed ergersi a baluardo della rivincita dei popoli arabi mediorientali, proponendosi come potenza regionale.
La lectio dell’Ambasciatore, uomo di grande cultura e dalla profonda educazione, si è snodata su due “binari paralleli”, in ottemperanza alla stessa struttura di uno Stato, quello persiano, sulla cui politica vige ancora una guida religiosa. L’enunciazione di passi significativi del Corano è stata quindi affiancata alla spiegazione delle politiche iraniane, che sono state illustrate spoglie dalla presunta aggressività di cui vengono additate dalla stampa filo-usraeliana.
Aggressività piuttosto imputabile all’arrogante plutocrazia mondialista, che incurante dei popoli autoctoni ha da anni reso il medioriente – regione chiave per l’egemonia globale – campo di battaglia dei propri particolari interessi. In questo senso, la lotta del popolo iraniano – che in 400 anni di storia, viene ricordato dall’Ambasciatore, mai ha preso parte a una guerra di aggressione – si configura come lotta di difesa, del suolo patrio e della propria cultura, dagli attacchi delle forze materialiste incarnate dagli USA e dall’occidente allineato.
Una lotta che affonda le proprie radici nel Cielo della metafisica. Una lotta che ha nelle Leggi Divine il proprio cardine morale; tanto che i colonizzatori occidentali vengono, ben poco metaforicamente, additati come il Diavolo, come il Cancro che imperversa nel mondo e rende impossibile una reale fratellanza tra le diverse stirpi umane. La politica e la guerra iraniane sono al contrario «caratterizzate da un istinto di pace, sono guerre di difesa che ogni popolo libero e amante della libertà dovrebbe combattere». «La violenza e il bellicismo con cui vengono dipinte le culture islamiche quando esse non si asservono ai dettami del liberismo, sono perciò da considerarsi come un pregiudizio funzionale alle pretese espansionistiche degli USA e ai suoi fini diabolici». Fini distruttori, «mossi dall’avarizia e dall’egoismo», «fini che non comprendono idea di giustizia alcuna» se non l’arrogante legge del più forte, se non la volontà di sottomettere gli altri popoli per mantenere il proprio opulento status, mesta povertà spirituale di «uomini ormai privi di compassione».
Per la cultura islamica persiana il Sacro viene prima del politico, è il cardine su cui tesserne le umane trame. La legge morale è unico fondamento possibile per la realizzazione della giustizia sociale. Come spiega, ben figurando la questione, Akbar Naseri: «la burocrazia dello stato è certo necessaria, ma solo un autentico spirito religioso può portare alla pace dei popoli». E dalle parole dell’Ambasciatore emergono sempre in questo senso – lo si sente a pelle – una sensibilità e un’apertura eccezionali.
Una forte sacralità, – nota giustamente Buttafuoco – che è stata al contrario dimenticata da un Italia e da un Europa ormai succubi di una cultura che poco riguarda le proprie radici. Alla «viva tradizione che si incarna e tramanda nei popoli, si è invece sostituita una sterile erudizione», o al più una scienza funzionale agli interessi del mercato, che mai potrebbe colmare il vuoto imperversante sulle spaesate genti d’occidente. Dio, un tempo principio unificante, è stato rinchiuso nella banconota da un dollaro dove campeggia un inquietante “in god we trust”. Questa la significativa metafora suggerita dal giornalista siciliano. E che si sia atei o credenti, la cosa è alquanto angosciante. Il dio Dollaro è ormai l’unico simbolo di una religione e di una cultura divenute così il proprio stesso simulacro, di una Storia barattata con il frigorifero, la televisione e le velleitarie comodità consumistiche. Buttafuoco vede invece nell’Islam – che in quanto siciliano sente cultura a sé vicina: «uno scavo nelle mie stesse radici» – , come il baluardo di una politica ancora genuinamente identitaria, di una spiritualità e di un radicamento presenti nonostante la modernità, anche nella sua Sicilia. Identità locali e spiritualità arcaiche sono così i radicali da porre in contrapposizione all’uniformità di un mercato globale che tutto vorrebbe a sé inghiottire.
La convinzione di Buttafuoco, a mio avviso pienamente condivisibile, è invece che «la spiritualità e la sacralità siano ancora gli unici validi moventi per la folla» e che per la cultura «sia più che mai urgente, oggi, riscoprire quelle radici greco-romane che abbiamo ingiustamente accantonato».
In questo si ha molto da imparare dall’Iran, «che mai si sognerebbe di dimenticare la sapienza zoroastriana, mentre noi, oltre ad Omero, abbiamo dimenticato anche Virgilio». Iran che è consapevole delle comuni radici greco-romane insite sia nell’Islam che nel Cristianesimo e si preoccupa di studiare i Greci con la stessa virtù dei propri ascendenti più immediati. È così che «Platone si studia meglio a Teheran», dove la metafisica può ancora avere un senso, mentre qui è stato ‘razionalizzato’, reso ‘utile’, ossia «succube della nostra mentalità laico-borghese». Non quindi un artificioso dialogo di stampo democratico, conclude infine lo scrittore, ma «la fatica della conoscenza reciproca consente ai popoli di affratellarsi, per riconoscersi».
In conclusione, che si sia religiosi o atei, che si sia critici o meno verso l’Iran e l’Islam, è indubbio quanto sia estremamente importante fare nostre le fondamentali ‘direttive’ che sono emerse da questa conferenza e che la realtà geo-politico-culturale ci pone innanzi. Sia per superare la dilagante islamofobia instillata dai media e dagli apparati pseudo-culturali, sia per metterci in strada per la riscoperta delle nostre radici più autentiche.
Identità che ogni giorno di più andiamo perdendo, trasformandoci inesorabilmente da popolo cosciente della propria cultura a massa intenta a soddisfare improprie e meschine mire materiali. Solo così potrà essere riconquistata quella Libertà che da noi stessi ci stiamo negando e per cui solo, veicolata da vera conoscenza, la vita è degna di essere vissuta.
Libertà che l’Iran si sta conquistando sfidando il mondo intero e al cui confronto quest’Italia pigra e satolla non può che impallidire.
Le opinioni espresse sono dell’autore e potrebbero non coincidere con quelle di “Eurasia”
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