La “normalizzazione” del Giappone, che appariva chiara già nei mesi scorsi, è giunta ad un momento topico con le esercitazioni congiunte Usa-Giappone dei primi giorni di dicembre e la successiva approvazione delle nuove “Linee guida programmatiche della difesa nazionale” che saranno alla base delle scelte militari e di difesa per i prossimi cinque anni.
Messo da parte il premier Hatoyama e le sue promesse di ripensare i rapporti con gli Stati Uniti considerati troppo succubi, con il nuovo governo (anch’esso del Partito Democratico) di Naoto Kan il Giappone sembra aver ceduto ogni velleità sovrana per riallinearsi completamente agli interessi degli Stati Uniti. Quest’ultimi infatti, nel perseguire la propria strategia geopolitica, hanno il fondamentale bisogno di controllare la parte più orientale del continente eurasiatico, così come ne controllano la parte più occidentale ossia l’Europa, in modo da contenerne le forze interne e scongiurare l’emergere di nuovi poli geopolitici capaci di mettere in pericolo l’unipolarismo eredità vincente della guerra fredda. Insieme al Mediterraneo, la Turchia, l’Asia centrale, uno dei perni principali intorno a cui ruota la strategia Usa è proprio l’Oceano Pacifico, occupato attraverso la presenza massiccia sulle isole giapponesi.
Le esercitazioni
Proprio le esercitazioni congiunte fra Tokyo e Washington, novità assoluta per la modalità in cui si sono svolte, chiariscono la natura degli attuali equilibri nell’area; le manovre si sono tenute dalla parte meridionale dell’isola di Kyushu ed hanno simulato la riconquista di una delle piccole isole giapponesi a sud, teoricamente occupata da una potenza straniera. Il massiccio numero di militari coinvolti e la partecipazione della Settima Flotta Usa, nonché della superportaerei USS George Washington, sommati ad uno sguardo all’atlante rendono bene l’idea dell’importanza di tali esercitazioni e della loro natura apertamente anti-cinese. Infatti in un’area di 1600 chilometri si estendono le piccole isole giapponesi, comprendenti quelle chiamate dai nipponici Senkaku e rivendicate anche dalla Cina con il nome di Diaoyu. La zona è particolarmente calda anche perché fra l’isola di Okinawa e quella di Miyako si estende uno corridoio, conosciuto anche con il nome di Canale di Miyako grande abbastanza per consentire la presenza di acque internazionali nelle quali però il passaggio della marina statunitense non potrebbe non sembrare una provocazione e dove in aprile avvenne un incidente diplomatico fra pescatori cinesi ed un cacciatorpediniere giapponese.
Gli Stati Uniti, vista l’enorme crescita cinese, hanno l’obiettivo di mettere maggiormente in sicurezza questa zona che si estende dal sud del Giappone e quindi stanno ripensando con l’amministrazione nipponica l’entità della presenza nel Pacifico. In particolare sembra perdere di importanza il controllo dell’isola di Hokkaido nel nord dell’arcipelago giapponese, servita durante la guerra fredda in funzione anti Urss nell’estremo oriente, e invece si impone uno sforzo maggiore nella parte meridionale; qui Tokyo ha ampliato la ADIZ (Air Defense Identification Zone) zona nella quale identificare aeromobili in transito, sta ampliando la marina protendendola verso le acque cinesi (isole come Yonaguni, Okinawa, Sakishima sono considerati i punti di forza fondamentali). Gli stessi Stati Uniti dopo le esercitazioni con la Corea del Sud, si sono fatti notare con sottomarini anche nelle Filippine e dell’Oceano Indiano oltre che per la sempre più massiccia presenza proprio nel Pacifico. Il legame Giappone-Usa in questo scacchiere, legame che l’entourage dell’ex premier Hatoyama (sostenuto dalla cittadinanza) aveva provato ad allentare, è sorretto anche da rapporti consolidati come l’articolo 5 del Trattato di sicurezza che prevede l’intervento Usa in difesa delle aree giapponesi e che, secondo il ministro degli esteri H. Clinton, copre anche le isole rivendicate sia da Tokyo che Pechino.
Evidentemente la costruzione delle minacce nord-coreana e cinese viene utilizzata dagli Stati Uniti per compiere una maggiore stretta con i suoi alleati/cani da guardia Corea del Sud e Giappone, nel quale è stato soffocato in pochi mesi il dibattito che mirava a ripensare la sudditanza agli Usa. Ed a poco vale richiamare la Costituzione “pacifista” giapponese, scritta dopo la seconda guerra mondiale proprio a Washington e che è servita inizialmente ad indebolire l’ex nemico nipponico e che oggi allo stesso tempo permette la presenza massiccia di militari e armi nucleari americane nonché, se utilizzata in accordo con la Casa Bianca, l’incremento della forza militare giapponese da sempre osservata speciale.
Il Nuovo Programma di Difesa Nazionale
Proprio a sancire ufficialmente questa “restaurazione” dei rapporti fra Giappone e Usa, Tokyo ha approvato la nuova programmazione di difesa nazionale. In questa è possibile rintracciare la strategia statunitense nel considerare la Corea del Nord e la Cina rispettivamente minacce a breve e medio termine, e la volontà di rendere i militari giapponesi più responsabili nel controllo e pattugliamento del Mar del Giappone e del Mar Cinese Orientale. Per far questo aumenterà la propria flotta (da 16 a 22 sottomarini, un cacciatorpediniere, in totale la flotta sarà composta da 48 unità), riorganizzerà il bilancio per il piano di difesa (necessario in una situazione di recessione come quella odierna), acquisterà aerei da combattimento, rinforzerà il parco missilistico e renderà le proprie forze più flessibili e capaci di agire velocemente; tutto questo perseguendo una più stretta alleanza con gli Usa (definiti il più grande alleato del Giappone) e gli altri suoi partner Corea del Sud e Australia.
Nel piano la Cina viene definita come “una fonte di preoccupazione per la regione e la comunità internazionale” cosa che ha fatto allarmare i diplomatici di Pechino che subito hanno definito la nuova politica come “irresponsabile” ed hanno sottolineato che la crescita cinese è pacifica e non vuole essere minacciosa per nessuno. A considerarla minacciosa sono però, per quanto detto in precedenza, proprio gli Stati Uniti interessati a controllare l’intera regione per mantenere l’attuale unipolarismo e che vorrebbero far partecipare le forze giapponesi ad una ancora più stretta e minacciosa alleanza militare a tre insieme a Seul. Questo potrebbe essere il primo gradino del nuovo utilizzo statunitense del Giappone, che si appresta a superare quindi gli stessi limiti imposti dalla costituzione “americana” aumentando considerevolmente la forza militare e troncando il divieto all’esportazione di armi per perseguire al meglio la strategia segnalata. Nelle linee guida si sottolinea infatti chiaramente come l’emergere di nuove potenze sottopone a cambiamenti l’influenza Usa anche relativamente alle “sempre più robuste attività militari della Russia” che gli Stati Uniti sono da sempre intenzionati a controllare.
Queste nuove linee guida probabilmente sarebbero state rilasciate l’anno passato se non fossero state rallentate dalla vittoria dell’ex premier democratico Hatoyama Yukio, che cavalcando l’opinione pubblica chiedeva maggiore autonomia da Washington; successivamente sarà sostituito dall’altrettanto democratico Naoto Kan, che invece sta portando a compimento l’attuale “normalizzazione” giapponese sotto l’artiglio degli Stati Uniti d’America interessati oggi più che mai al contenimento dell’emergente multipolarismo che nello scacchiere orientale vede la Cina come protagonista.
*Matteo Pistilli è redattore di Eurasia rivista di studi geopolitici.
Note:
Per ricostruire l’evoluzione della politica estera giapponese nell’ultimo anno è utile navigare a ritroso attraverso le note da questo contributo: http://www.eurasia-rivista.org/5535/il-giappone-fra-normalizzazione-e-richiesta-di-sovranita
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